Pubblico impiego
A seguito delle trattative sindacali riprese, nel II° semestre dell’anno
2017, tra le organizzazioni sindacali più rappresentative e L’ARAN, lo
scorso 23 dicembre è stata firmata, come è noto, “l’Ipotesi di Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro del personale del Comparto Funzioni
Centrali”. L’intesa definitiva è stata sottoscritta da FP CGIL, CISL FP,
UILPA, UNSA Confsal e INTESA FP il 12 febbraio 2018 e rappresenta un
segnale di discontinuità con il nostro passato che ha visto bloccate, per
una decina d’anni, le trattative sindacali a fronte di un ricorso molto
marcato alla decretazione legislativa in tema di rapporto di lavoro.
A
titolo informativo si rammenta che il 26 gennaio 2018 è stato firmato il
CCNL del Comparto Difesa e Sicurezza e durante la notte del 10 febbraio
u.s. è stato firmato il CCNL del Comparto Scuola e Ricerca. La ripresa
delle trattative sindacali rappresenta, quindi, un passo avanti nella
restituzione ai lavoratori, dei diritti e delle tutele faticosamente
conquistati. Rappresenta, altresì, il recupero della centralità del
contratto di lavoro e della contrattazione rispetto ai vincoli, alle
incursioni e ai tagli imposti al dialogo partecipativo. Punti fondamentali
delle trattative sono stati: le Relazioni Sindacali, il Nuovo Ordinamento
Professionale, la Retribuzione, i Diritti dei lavoratori.
Con il nuovo Contratto viene definito, per la prima volta, un nuovo modello di relazioni sindacali che, da ora in poi, avranno carattere “stabile e partecipativo”. Si evidenzia in tal senso che tutte le materie oggetto del rapporto di lavoro che, in questi anni, hanno contribuito a creare demotivazioni o, peggio, contenzioso per le interpretazioni spesso unilaterali delle amministrazioni, sono ora (art. 3) oggetto di confronto tra le parti datoriali e sindacali e oggetto di valutazione dell’Osservatorio paritetico istituito presso l’Aran, a cui si aggiunge la costituzione presso ogni amministrazione (art. 6) di un Organo paritetico con il compito di valutare e definire le proposte in materia di organizzazione, servizi, qualità del lavoro, processi formativi ecc..
L’ipotesi firmata è, in realtà, il primo tempo di un Contratto che necessariamente vivrà una seconda fase. Infatti, i firmatari hanno scelto di istituire (art. 12), per il nuovo modello di ordinamento professionale, una Commissione Paritetica che, partendo dall’analisi delle varie realtà confluenti nel nuovo comparto (Stato, Parastato e Agenzie Fiscali), procederà a sviluppare entro il prossimo futuro una proposta organica che integrerà la parte economica del Contratto. Il nuovo ordinamento prevede lo svuotamento della prima area e la possibilità di un’ulteriore crescita economica per quei lavoratori inquadrati nella fascia apicale dell'area di appartenenza tenendo presente anche la necessità di omogeneizzare le fasce oggi esistenti all’interno delle aree: 7 nello Stato, 9 nel Parastato e 6 nelle Agenzie Fiscali. Con tale Commissione si lavorerà per la creazione di un nuovo modello ordinamentale ma, nell’immediato, si è voluto garantire ai lavoratori un contratto di lavoro, dopo quasi nove anni di fermo con un nuovo modello di relazioni sindacali e con gli aumenti stipendiali.
In sintesi, con il nuovo contratto sono stati introdotti istituti innovativi e mantenuti quelli già in essere, salvaguardando il corretto esercizio dei diritti del lavoratore. Confermati, ad esempio, all’art. 32 dell’ipotesi di contratto i cc.dd. “permessi retribuiti per motivi personali/familiari” (18 ore annui) con contenuti migliorativi rispetto all’ultimo contratto (ex art. 46), avendo ripristinato nell’ipotesi di utilizzo per “intera giornata” che il monte ore sia convenzionalmente quantificato in 6 ore anche se il profilo orario della giornata fosse superiore.
Così come sono confermati, all’art. 33, i permessi retribuiti
previsti da specifiche norme di legge (es.: donazione sangue, ecc.). Il
successivo art. 34, invece, introduce un nuovo istituto relativo a congedi
e specifiche forme di tutela per le donne vittime di violenza. L’art. 35,
ai commi da 1 a 10, prevede un nuovo istituto relativo ai permessi
orari/giornalieri (ulteriori 18 ore rispetto al precedente CCNL) per visite
mediche, specialistiche, ecc. assimilati alle assenze per malattia che, se
presi ad ore, non saranno soggetti a trattenute. Si tratta di un istituto
innovativo non previsto nel precedente contratto e costituisce una
ulteriore possibilità di effettuare visite mediche. Nell’ambito dell’art.
37 è regolata l’assenza per malattia. È interessante, in particolare, il
comma 11 con cui sono stati introdotti ulteriori istituti a tutela della
salute del lavoratore, avendo previsto, oltre la conferma dell’ormai
consolidato “day-hospital”, la possibilità di accedere a nuove modalità di
svolgimento delle visite mediche ambulatoriali quali il “day-surgery” e il
“day-service”. Con l’art. 30 “ferie e riposi solidali” è stata inserita la
possibilità di cedere a titolo gratuito, a colleghi che abbiano l’esigenza
di prestare assistenza a figli minori che necessitano cure costanti, alcune
giornate di ferie. Con l’art. 38 si è voluto garantire tutti i lavoratori e
le lavoratrici che si trovano in particolari condizioni di salute. L’art.
38 riguarda le assenze per malattia in caso di gravi patologie richiedenti
terapie salvavita. Considerata la delicatezza della materia trattata, si
ritiene di aver visto una miglioria nell’aver escluso dal computo delle
assenze per malattia, ai fini della maturazione del periodo di comporto,
oltre i giorni di ricovero ospedaliero e i giorni di assenza dovuti
all’effettuazione di terapie salvavita, anche 4 mesi per gli effetti
collaterali delle terapie stesse.
Ciò premesso, ritengo utile delineare, anche attraverso un excursus
storico, lo sviluppo del rapporto di pubblico impiego da quando è nato
(anni 1950) ad oggi, per evidenziarne le peculiarità e lo sforzo di
avvicinamento al rapporti di lavoro privato, avvenuto soprattutto ad opera
del lavoro portato avanti dai Sindacati. Il rapporto di pubblico
impiego rientra nei “rapporti speciali di lavoro” in cui oltre ad essere
garantita una tutela diversa del lavoratore, è coinvolto un interesse
pubblico, a causa della natura pubblica del datore di lavoro, quale lo
Stato, un Ente territoriale, come le regioni, le Province e i Comuni. Da
sempre la figura dell’impiegato pubblico è stata al centro di un lungo
dibattito, per la sua duplice funzione di funzionario e di lavoratore subordinato. Per questo motivo sono due (2)
sostanzialmente i rapporti intercorrenti tra la P.A. e il lavoratore: a) un rapporto organico o d’ufficio (d’immedesimazione) in base al
quale il lavoratore era inserito nell’organizzazione amministrativa
dell’Ufficio ed era quindi legittimato ad esercitare i poteri connessi alla rappresentanza delle scelte della p.a., e b) un rapporto di servizio quello per cui sia sul dipendente sia
sull’Amministrazione gravavano diritti e obblighi precisi, non diversi da
quelli del rapporto di lavoro subordinato d’impresa ex art. 2094 c.c. La
prevalenza del rapporto organico su quello di servizio ha
determinato la sistemazione del rapporto di pubblico impiego all’interno
del diritto pubblico (e precisamente nel diritto amministrativo) e ha
impresso al rapporto di lavoro un carattere autoritativo (c.d. supremazia
speciale della pubblica amministrazione).
La peculiarità di tale rapporto trova fondamento nelle norme della Costituzione le più importanti delle quali sono quelle contenute negli artt. 54, 97 e 98 che consacrano in tal modo la funzione del rapporto di lavoro del pubblico dipendente alle esigenze e alle finalità dell’Amministrazione, una peculiarità che è stata trasfusa nella normativa ordinaria speciale – cfr. D.P.R. 30 giugno 1957, n. 3, il T.U. sugli impiegati civili dello Stato e che ha sancito notevoli differenze rispetto al rapporto di lavoro privato.
Innanzitutto:
Il rapporto di pubblico impiego ha conservato a lungo, nei suoi tratti
essenziali, la sua struttura originaria grazie soprattutto agli
orientamenti della giurisprudenza amministrativa ma a partire dagli anni ’70 (anni in cui c’è l’affermazione progressiva del sindacato), il
Legislatore sollecitato da forti pressioni sindacali, dirette a rivendicare
un maggior spazio alla negoziazione sindacale ma anche dall’esigenza di
perseguire migliori obiettivi di efficienza per la P.A., avvia un primo
tentativo di riforma del pubblico impiego, prima con interventi di settore,
poi con la legge 29 marzo 1983, n.93, la legge quadro sul pubblico impiego,
che riconosce per la prima volta il ruolo della contrattazione collettiva
nella disciplina di quegli aspetti del pubblico impiego non soggetti alla
riserva di legge e agli atti unilaterali della P.A.
La legge quadro pur ribadendo l’unità giuridica del pubblico impiego e la distinzione del lavoro pubblico da quello privato ha apprestato nuovi strumenti sia per favorire l’omogeneizzazione delle posizioni giuridiche, la perequazione e la trasparenza dei trattamenti economici, il riassetto dei profili professionali e l’efficienza amministrativa del personale pubblico, sia per avvicinare, nei contenuti, la normativa dei rapporti di p.i. al rapporto di lavoro privato. A distanza di un decennio e in concomitanza con la grande riforma che ha investito tutta la Pubblica Amministrazione, (v. per es. L. 241/90), la disciplina del pubblico impiego conosce una importante trasformazione con la legge delega 23 ottobre 1992, n.421 e, soprattutto, con il Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n.29 e le sue successive modificazioni e integrazioni.
Altri interventi normativi importanti si sono
avuti con il D.lgs. 51 e 80 del 1998 e la L. 241/90 sul giusto procedimento
amministrativo e sul diritto di accesso agli atti e ai documenti pubblici.
Il processo riformatore si è completato con il D.lgs. n. 165/2001 che ha
fissato le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
Amministrazioni Pubbliche rappresentando tutt’ora (anche se modificato dal
D.lgs. 150/2009) il testo normativo di riferimento per la disciplina dei
pubblici uffici e del lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni. In esso
vengono fissati i principi fondamentali del nuovo rapporto di lavoro: si ha
l’estensione delle norme del diritto privato al lavoro pubblico e lo
spostamento della relativa disciplina dall’ambito amministrativo a quello
privatistico, la piena applicazione della disciplina della contrattazione
collettiva, l’attribuzione al Datore di lavoro pubblico degli stessi poteri
di gestione del rapporto propri del Datore di lavoro privato. Le linee di
fondo della disciplina sono costituite dalla separazione tra materie
riservate alla legge e agli atti unilaterali della P.A. (l’organizzazione
degli Uffici, le dotazioni organiche, le procedure concorsuali) e le
materie assoggettate alla disciplina privatistica (la disciplina del
rapporto di lavoro), dalla separazione tra compiti di indirizzo
politico-amministrativo, riservati al Governo, e compiti di organizzazione
e gestione degli Uffici e dei rapporti di lavoro, che spettano alla
Dirigenza; dall’ampliamento delle norme della contrattazione collettiva e
dalla semplificazione della relativa procedura con la previsione di un
apposito organo, l’ARAN, delegato a rappresentare la Pubblica
Amministrazione nella contrattazione collettiva, dalla fruizione piena dei
diritti sindacali previsti dal Titolo III dello Statuto dei Lavoratori, la
legge 300 del 1970, che secondo il disposto dell’art. 51 co.2 del D.lgs.
165/01 trova applicazione in tutte le Pubbliche Amministrazioni
indipendentemente dal numero di dipendenti, dal riallineamento della
disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici a quella
privatistica sotto il profilo della mobilità individuale e collettiva;
dalla devoluzione del contenzioso in materia al Giudice Ordinario, in
funzione di Giudice del Lavoro, con la sola eccezione di quello attinente
alla procedure concorsuali e di quello relativo ai rapporti di lavoro
sottratti alla c.d. privatizzazione e dalla applicazione anche alle
controversie in materia di lavoro pubblico del tentativo obbligatorio di
conciliazione, (condizione di procedibilità della domanda giudiziale),
dalla disciplina della Dirigenza Pubblica ispirata a criteri di
managerialità e assoggettata a controlli volti a verificare l’attività
dirigenziale non solo in base ai parametri della legalità, ma anche sotto
il profilo dell’efficacia/efficienza ovvero della rispondenza dei risultati
effettivamente conseguiti rispetto agli obiettivi programmati, alla
capacità di organizzare le strutture, alla capacità di valorizzare il
patrimonio umano e professionale a disposizione.
Il processo di avvicinamento del pubblico impiego al rapporto di lavoro
privato
ha trovato la sua massima espressione e realizzazione nella disciplina
della contrattazione collettiva.
Nel 1995 è stato stipulato il I° CCNL comparto Ministeri e la
contrattazione collettiva, ad oggi, rimane una delle fonti primarie di
regolamentazione del rapporto di pubblico impiego. La perdita del primato
della contrattazione collettiva a favore della legislazione sulla
regolamentazione del rapporto di lavoro, si è avuta con la emanazione delle
“leggi brunetta”. Ma questo aspetto verrà trattato in seguito. L’art. 4 del
D. Legislativo 165/2001 ha stabilito che la contrattazione collettiva si
svolgesse su tutte le materie attinenti al rapporto di lavoro e alle
relazioni sindacali e si sviluppasse su due livelli, i contratti nazionali
collettivi di comparto e i contratti integrativi. La contrattazione
nazionale si fonda, in via principale, sui contratti di comparto, per
settori omogenei o affini, determinati mediante appositi accordi tra l’ARAN
(l’Agenzia per la rappresentanza negoziale della Pubblica Amministrazione)
e le Confederazioni e le Organizzazioni Sindacali che abbiano una
rappresentatività non inferiore al 5% considerando la media tra il dato
associativo e quello elettorale. La contrattazione collettiva disciplina,
in via principale, la durata dei contratti nazionali e di quelli
integrativi, la struttura centrale, i rapporti tra i diversi livelli di
contratto, il trattamento economico dei dipendenti.
Il procedimento della contrattazione è regolato dall’art. 47 del D. Legislativo 165/2001. Il contratto collettivo ha efficacia erga omnes: ciò per la Corte Costituzionale risiede nelle specifiche disposizioni del D. Legislativo 165/2001, nell’art. 46 che individua nell’ARAN il soggetto investito ex lege della rappresentanza negoziale della P.A.; nell’art.40 che stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni devono adempiere agli obblighi assunti con i contratti collettivi, nazionali e integrativi, dalla data della loro sottoscrizione definitiva; nell’art.45 che obbliga le predette Amministrazioni a garantire parità di trattamento contrattuale o, comunque, trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi c.d. minimi tabellari. Anche il CCNL del p.i. è inderogabile ai sensi dell’art. 2113 (inderogabilità in peius rispetto allo Statuto protettivo del lavoratore subordinato ex art. 2094 c.c. (nei singoli contratti individuali stipulati con i dipendenti pubblici, è sempre presente un clausola di rinvio al contratto collettivo).
(Segue nel prossimo numero)
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