
     Il problema dell’applicabilità dell’art. 2112 del codice civile alla
    successione dei contratti d’appalto di servizi è un tema che ritorna nella
    prassi di frequente. Esso è infatti strettamente connesso con la
    complessità delle questioni relative all’identificazione dell’oggetto del
    negozio traslativo d’azienda e dell’inadeguatezza delle soluzioni offerte
    dalla dottrina[1]. Questo fenomeno è stato infatti profondamente
    influenzato dai dibattiti giurisprudenziali e dottrinali
    sull’identificazione dell’ambito d’applicazione della fattispecie di cui
    all’art. 2112 del codice civile. Per comprendere correttamente la questione
    è necessario esaminare quanto disposto nel contratto collettivo nazionale
    per i dipendenti delle imprese di pulizia. L’art. 4 del CCNL in vigore
    prevede un complesso sistema volto a garantire i limiti occupazionali
    effettivi in un settore in cui sono frequenti i cambi di gestione fra
    imprese che si succedono nella titolarità di distinti contratti di appalto
    in favore dello stesso committente. Tale disposizione prevede una procedura
    di informazione e consultazione sindacale che opera in ogni caso di
    cessazione d’appalto a prescindere dalla tipologia giuridica dell’impresa
    cedente o subentrante. L’impresa cessante deve comunicare alle strutture
    sindacali aziendali e territoriali competenti il personale dell’impresa
    “cessante” coinvolto nell’appalto da almeno quattro mesi e il suo orario di
    lavoro. L’azienda che subentra, alla scadenza del precedente contratto
    d’appalto, avrà di fronte a sé due possibilità. Queste dipendono
    dall’uguaglianza o meno del nuovo contratto d’appalto rispetto a quello
    precedente. Se il nuovo contratto è assolutamente identico per parità di
    termini, modalità e prestazioni contrattuali, la nuova impresa appaltante
    si impegnerà a garantire l’assunzione degli addetti esistenti in organico a
    condizione che tutto risulti dalla documentazione probante. Se al
    contrario, il nuovo contratto d’appalto differisce dal precedente in quanto
    prevede una modificazione di termini, modalità e prestazioni contrattuali,
    l’impresa subentrante sarà tenuta soltanto all’effettuazione di un esame
    congiunto con le OO. SS territoriali ed aziendali al fine di armonizzare le
    mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento di
    livelli occupazionali anche facendo ricorso a varie forme di flessibilità.
    Si nota dunque come l’art. 4 del CCNL determina l’obbligo di subentro nella
    titolarità dei rapporti all’accertata sussistenza di due rigorosi
    presupposti: il “nuovo” contratto d’appalto deve essere uguale rispetto a
    quello stipulato precedentemente con l’impresa cessante e il personale
    della precedente azienda potrà essere assunto se risulta da documentazione
    probante la sua effettiva adibizione al servizio oggetto di appalto. Tale
    previsione pattizia si colloca dunque all’esterno della problematica
    relativa alla qualificazione o meno come trasferimento d’azienda di queste
    vicende. Tale previsione si inserisce su un piano parallelo prevedendo un
    diritto di assunzione di fronte pattizia e non legale in favore delle
    maestranze coinvolte in successioni di appalti di servizi di pulizia.
    Questa clausola può essere interpretata come clausola a favore dei terzi ex
    art. 1411 del codice civile[2].
Il problema dell’applicabilità dell’art. 2112 del codice civile alla
    successione dei contratti d’appalto di servizi è un tema che ritorna nella
    prassi di frequente. Esso è infatti strettamente connesso con la
    complessità delle questioni relative all’identificazione dell’oggetto del
    negozio traslativo d’azienda e dell’inadeguatezza delle soluzioni offerte
    dalla dottrina[1]. Questo fenomeno è stato infatti profondamente
    influenzato dai dibattiti giurisprudenziali e dottrinali
    sull’identificazione dell’ambito d’applicazione della fattispecie di cui
    all’art. 2112 del codice civile. Per comprendere correttamente la questione
    è necessario esaminare quanto disposto nel contratto collettivo nazionale
    per i dipendenti delle imprese di pulizia. L’art. 4 del CCNL in vigore
    prevede un complesso sistema volto a garantire i limiti occupazionali
    effettivi in un settore in cui sono frequenti i cambi di gestione fra
    imprese che si succedono nella titolarità di distinti contratti di appalto
    in favore dello stesso committente. Tale disposizione prevede una procedura
    di informazione e consultazione sindacale che opera in ogni caso di
    cessazione d’appalto a prescindere dalla tipologia giuridica dell’impresa
    cedente o subentrante. L’impresa cessante deve comunicare alle strutture
    sindacali aziendali e territoriali competenti il personale dell’impresa
    “cessante” coinvolto nell’appalto da almeno quattro mesi e il suo orario di
    lavoro. L’azienda che subentra, alla scadenza del precedente contratto
    d’appalto, avrà di fronte a sé due possibilità. Queste dipendono
    dall’uguaglianza o meno del nuovo contratto d’appalto rispetto a quello
    precedente. Se il nuovo contratto è assolutamente identico per parità di
    termini, modalità e prestazioni contrattuali, la nuova impresa appaltante
    si impegnerà a garantire l’assunzione degli addetti esistenti in organico a
    condizione che tutto risulti dalla documentazione probante. Se al
    contrario, il nuovo contratto d’appalto differisce dal precedente in quanto
    prevede una modificazione di termini, modalità e prestazioni contrattuali,
    l’impresa subentrante sarà tenuta soltanto all’effettuazione di un esame
    congiunto con le OO. SS territoriali ed aziendali al fine di armonizzare le
    mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento di
    livelli occupazionali anche facendo ricorso a varie forme di flessibilità.
    Si nota dunque come l’art. 4 del CCNL determina l’obbligo di subentro nella
    titolarità dei rapporti all’accertata sussistenza di due rigorosi
    presupposti: il “nuovo” contratto d’appalto deve essere uguale rispetto a
    quello stipulato precedentemente con l’impresa cessante e il personale
    della precedente azienda potrà essere assunto se risulta da documentazione
    probante la sua effettiva adibizione al servizio oggetto di appalto. Tale
    previsione pattizia si colloca dunque all’esterno della problematica
    relativa alla qualificazione o meno come trasferimento d’azienda di queste
    vicende. Tale previsione si inserisce su un piano parallelo prevedendo un
    diritto di assunzione di fronte pattizia e non legale in favore delle
    maestranze coinvolte in successioni di appalti di servizi di pulizia.
    Questa clausola può essere interpretata come clausola a favore dei terzi ex
    art. 1411 del codice civile[2].
I lavoratori sono infatti estranei alla conclusione del contratto e acquistano il diritto ad essere assunti dal nuovo appaltatore soltanto per effetto della stipulazione conclusa tra le parti. Questo diritto soggettivo presuppone la sua esigibilità in forma specifica ex art. 2932 del codice civile a patto che gli elementi del negozio come la qualifica, le mansioni, la retribuzione e il patto di prova siano specificati in maniera chiara nell’accordo che la sentenza costitutiva ex art. 2932 del codice civile dovrebbe sostituire[3]. Se questi elementi non dovessero essere rinvenuti non sarà possibile pervenire ad una pronuncia costitutiva ma sarà possibile soltanto individuare una responsabilità contrattuale da compensare a livello risarcitorio[4].
Avendo chiaro questo quadro si può certamente affermare che la fonte negoziale collettiva abbia apprestato autonome garanzie ai lavoratori coinvolti nelle vicende successorie rispetto a quelle previste dall’art. 2112 del codice civile.
    
Dopo aver esaminato le tutele che a livello pattizio sono previste per la
    successione di appalti nei servizi di pulizia è opportuno esaminare come la
    giurisprudenza di legittimità[5] abbia cercato di dirimere alcuni nodi
    interpretativi posti nell’applicazione pratica. La questione affrontata
    ruota attorno all’interpretazione dell’art. 4 del CNNL (vedi supra). Nel
    caso di specie una società aveva motivato il licenziamento per giustificato
    motivo oggettivo in ragione della cessazione di un appalto. Questa aveva
    proceduto però a disporre nuove assunzioni contrastando in tal modo con la
    precedente dichiarazione con la quale rilevava l’impossibilità di
    ricollocare i lavoratori licenziati. Tale impresa replicava sostenendo di
    aver effettuato tale nuove assunzioni in base all’obbligo pattizio
    dell’art. 4 del CCNL. Questa inoltre sosteneva che il lavoratore licenziato
    aveva il diritto di essere assunto da parte dell’impresa subentrante e
    dunque tale circostanza avrebbe impedito ogni possibilità di contestare il
    recesso. La suprema Corte si è trovata dunque dinnanzi alla soluzione di
    due questioni. Bisognava stabilire se il diritto all’assunzione presso
    l’impresa subentrante facesse venire meno il diritto ad impugnare il
    licenziamento. Ed inoltre occorreva verificare la corretta modalità di
    coordinamento tra la disciplina legale in tema di licenziamento per
    giustificato motivo oggettivo e la previsione dell’art. 4 del CCNL. Questa
    previsione secondo alcuni[6] potrebbe autorizzare le nuove assunzioni
    nonostante l’intervento dei precedenti licenziamenti andando contro
    l’obbligo di repêchage più volte richiamato dalla giurisprudenza come
    presupposto per il recesso dovuto a motivazioni prettamente organizzative.
    I giudici di legittimità nel risolvere la prima questione hanno stabilito
    che l’obbligo dell’impresa subentrante di assumere i nuovi lavoratori non
    fa venir meno per i lavoratori il diritto di impugnare il licenziamento
    intimato dall’impresa che precedentemente gestiva il servizio di pulizie.
    Il datore di lavoro deve infatti attenersi, a prescindere, al rispetto
    della disciplina sul licenziamento e al rispetto dei principi sul
    giustificato motivo oggettivo. Per quanto concerne invece la seconda
    questione si può affermare che l’obbligo imposto dall’art. 4 del CCNL
    prevale rispetto all’obbligo di reperire una differente collocazione per i
    propri dipendenti a rischio di licenziamento. Dunque, l’impresa non più
    assegnataria di un appalto che nel frattempo abbia ottenuto una nuova
    commessa sarà certamente vincolata dalle previsioni del contratto
    collettivo nazionale di categoria non potendole disattendere. Questa non
    sarà però esentata dalla ricerca della possibilità di assegnare i propri
    dipendenti al secondo appalto invece che licenziarli.
    Con tale pronuncia la Corte di Cassazione ha fornito un esempio di
    equilibrismo giuridico contemperando gli interessi opposti di due gruppi di
    lavoratori. Nonostante non abbia con la propria scelta apertamente
    avvantaggiato un gruppo rispetto all’altro, è certamente configurabile nei
    risvolti pratici una migliore situazione per i dipendenti protetti
    dall’art. 4 del CCNL. Questi vedranno conservati i propri diritti di
    origine contrattuale a prescindere dall’operazione di neo-assegnazione
    portata avanti nei confronti dei precedenti dipendenti.

[1] S. Nappi, Successione di appalti di servizi e trasferimento d’azienda, in D&L, 2001.
[2] A. Vallebona, successione nell’appalto e tutela dei posti di lavoro, cit.
[3] E. Pasqualetto, il collocamento obbligatorio, in Diritto del Lavoro, a cura di Carinci, 1997.
[4] F. Chiacchieroni, Avviamento al lavoro. Ritardo nell’assunzione e responsabilità contrattuale, in Riv. Giur. Diritto del lavoro, 1988.
[5] Cass, 9 giugno 2005, n. 12136.
[6] A. Morone, Avvicendamento di appalti nel settore delle pulizie e licenziamento dei lavoratori alle dipendenze dell’impresa cessata, in Osservatorio di Giurisprudenza Italiana, 2006, pp. 448-449.
Tratto dal libro: “Trasferimento d’azienda e appalti nell’ordinamento multilivello, tra problematiche aperte e possibili evoluzioni” Marco Cuttone. Roma, 2018. Fondazione Massimo D’Antona.
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