Pubblico impiego
La Riforma Brunetta del pubblico impiego. Il D.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150
ha portato a compimento la terza riforma del lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni, dopo la prima stagione di privatizzazione
culminata con il D.lgs. 29/1993 e la sostanziale riscrittura del sistema
del lavoro pubblico operata nell’ambito delle leggi Bassanini. La riforma
Brunetta ha cercato di rinnovare le Pubbliche Amministrazioni italiane
attraverso gli strumenti della misurazione e valutazione delle performance,
la trasparenza, la rendicontazione e il controllo sociale, la premialità,
il ridisegno della contrattazione collettiva: regole nuove volte a
normalizzare i rapporti tra politica/dirigenza, ad implementare i poteri
gestionali della seconda e a creare meccanismi più incisivi per far
emergere le responsabilità, specialmente disciplinari, dei pubblici
dipendenti. Con la riforma Brunetta torna in primo piano il principio del
rispetto della ripartizione tra le diverse sfere di competenza (cfr. art. 3
co.1 legge delega n. 15/2009) nel senso di restituire alle fonti
unilaterali pubblicistiche uno spazio più ampio e al tempo stesso di
salvaguardare la facoltà decisionale del dirigente negli atti di gestione
privatistica, rientranti nella c.d. micro organizzazione. Nucleo portante
della riforma è l’intervento sul sistema delle fonti di disciplina del
lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni con l’intenzione di
assicurare una più congrua “ripartizione” tra le materie sottoposte alla
legge, gli atti organizzativi di autonoma responsabilità del dirigente
nella gestione delle risorse umane e le materie oggetto della
contrattazione collettiva – cfr. art. 32 e art. 53 del D.lgs. 150/2009 –.
Inizialmente, durante la I tappa della riforma, si è dato ampio potere
discrezionale al contratto collettivo il quale poteva derogare le
disposizioni di legge riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti
pubblici. Ora, invece, con la legge Brunetta si è stabilito il meccanismo
inverso, in quanto il contratto collettivo può regolare diversamente la
materia sia che sia stata precedentemente regolata dalla legge o da un
precedente contratto collettivo, solo su espressa autorizzazione della
legge.
L’intervento del D.lgs. 150/09 sulle sanzioni e sul procedimento disciplinare – gli interventi più importanti del D.lgs. 150/09 sono stati quelli che hanno modificato gli artt. cfr. artt. 40, 54bis, 55, 55bis, 55ter, 55quater, 55quinquies, 55sexies, 55septies e 70 del D.lgs. 165/01. Lo scopo di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo sono il fondamento della nuova disciplina dettata in materia di sanzioni disciplinari e di responsabilità dei dipendenti pubblici, contenuta nel capo IV – rubricato “Sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici” – del decreto “Brunetta”. Tra le novità del decreto in materia di sanzioni disciplinari spiccano: la previsione di nuove fattispecie di condotte illecite - falsa rilevazione della presenza in servizio, falsificazioni di documenti per concorsi e progressioni di carriera ecc. - la responsabilità dei dipendenti pubblici e l’ampliamento dei poteri del dirigente che può irrogare direttamente le sanzioni meno gravi. Con la riforma, l’originario art. 55 del Dlgs n. 165/2001 ha lasciato spazio ad una nuova versione a cui si sono aggiunti gli artt. dal 55-bis al 55-septies, (sul procedimento disciplinare e sulla responsabilità del dirigente) o che costituiscono – per espressa volontà legislativa – norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c., e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all’art. 2, co. 2 del D.lgs. 165/01, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Inoltre, non si può tralasciare l’art. 54 che ha modificato l’art. 40 del D.lgs n. 165/2001: in esso è espressamente previsto che “Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”. Le prime osservazioni critiche sulla normativa del decreto “Brunetta” pongono in rilievo la responsabilità disciplinare che è quella forma di responsabilità in cui incorre il lavoratore per non avere osservato obblighi contrattualmente assunti, indicati nel contratto collettivo e recepiti nel contratto individuale di lavoro, ed ora anche per avere violato specifici precetti previsti dalle nuove disposizioni in esame. Il fondamento del potere disciplinare in capo al datore di lavoro, come è noto, si rinviene nell’art. 2106 c.c. e deve intendersi come il potere di irrogare sanzioni disciplinari nel caso di accertata violazione da parte del prestatore dei propri doveri contrattuali e, più in generale, degli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà. Presupposto per l’irrogazione della sanzione è, pertanto, l’accertamento di una condotta colpevole del lavoratore. Il nuovo art. 55, come nella precedente versione, dopo aver ribadito la salvezza della disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile, fa menzione della diretta applicazione dell’art. 2106 c.c. senza fare riferimento, però, all’art.7, co. 1, 5 e 8, dello Statuto dei lavoratori che, tuttavia, viene sostanzialmente rispettato. La previsione espressa dell’art.7 St. Lav. comportava automaticamente l’applicazione dei seguenti principi:
Leggendo attentamente il nuovo testo normativo, si osserva che i principi
espressi nella legge n. 300 del 1970 sono gli stessi a cui si ispira il
legislatore delegato nella redazione delle nuove norme procedurali ma
geloso della propria autonomia, il legislatore si mostra tutto proiettato
nella creazione di un corpus organico in materia, senza che ci sia più la
necessità di operare rinvii ad altri testi normativi.
La legge Fornero. La legge 28 giugno 2012 n.92, contenente “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, si prefigge una molteplicità di obiettivi. Fra essi spiccano, da un lato, quello di favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili nel segno del “contratto dominante” costituito dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, dall’altro lato, quello di adeguare al mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento. La relazione fra i due obiettivi costituisce forse il tratto caratterizzante della riforma: uno scambio politico fra una maggiore rigidità in entrata e una maggiore flessibilità in uscita. La rigidità in entrata si basa essenzialmente su una forte compressione del lavoro autonomo, parasubordinato e non, ma viene poi in qualche modo smentita dalla pur controllata liberalizzazione nell’ambito del lavoro a termine. La flessibilità in uscita viene mitigata attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali, pensata come riparo dai licenziamenti facili ma è per molti aspetti, troppo proiettata nel futuro (Cester Carlo)[1]. Anche Arturo Maresca[2] afferma che la “modifica dell’art. 18, così come la modifica di altre norme, ben poco possono fare per la crescita dell’occupazione, cioè per favorire l’incremento dei posti di lavoro. Come tutti sappiamo, sono le politiche industriali mirate a sostenere lo sviluppo che si palesano idonee a promuovere tale incremento, peraltro con quella gradualità tipica dello scostamento temporale che sempre si verifica tra la ripresa della produzione e l’aumento della domanda di lavoro. Con il nuovo art.18, si intende instillare la flessibilità nei gangli vitali (il licenziamento) del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’intento di renderlo attrattivo per le imprese ed arginare, così, da arginare la fuga in atto da questa forma contrattuale che, invece, dovrebbe, nella visione del legislatore, ritornare ad essere la modalità ordinaria di acquisizione del lavoro nell’impresa (cfr. art. 1, co.1 lett.a). Tra le finalità della legge vi è quella del rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato, cd. “contratto dominante”, quale forma comune di rapporto di lavoro”. A completamento di un complesso disegno, di cui fanno parte interventi di modifica del sistema degli ammortizzatori sociali e una nuova regolamentazione di alcune figure contrattuali, tese a ridurre la cd. flessibilità in entrata nel mercato del lavoro, la legge Fornero ha introdotto altre importanti novità in tema di licenziamenti modificando sostanzialmente (tutele) e processualmente (rito, termini ecc.) l’art. 18 della L. 300/70. La legge 92/2012 voleva incidere su almeno due distinti ambiti: 1) la procedura per il licenziamento; 2) le tutele giurisdizionali. Le norme citate hanno rappresentato un nodo centrale della legge Fornero, ma questo è stato sciolto dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n.11868 del 2016, la quale ha stabilito che la legge Fornero, nella fattispecie, non si applica ai dipendenti pubblici per i quali permane la vigenza dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori.
La riforma Madia. La legge n. 124 del 7 agosto 2015 (c.d. Legge Madia) ha
delegato il Governo ad adottare più decreti legislativi ed atti
regolamentari al fine di “ristrutturare” alcuni istituti tipici del
procedimento amministrativo. Il primo dei decreti attuativi approvati ieri
riguarda le modifiche al Testo Unico del pubblico impiego: pezzo forte
della riforma è in particolare il nuovo piano di assunzioni che risolva una
volta per tutte il precariato “storico” nel settore pubblico. In sostanza,
viene stabilito il divieto per le PA. di stipulare contratti di
collaborazione e viene incentivata l’assunzione a tempo indeterminato del
personale che già lavora a tempo determinato. Si tratta, nelle parole della
Madia, di “consentire alle amministrazioni che già pagano queste persone,
di poterle assumere. Nel 2017 il Consiglio dei Ministri ha approvato gli
ultimi cinque importanti decreti attuativi della riforma della pubblica
amministrazione voluta dal ministro Madia (in totale 11 decreti attuativi).
I decreti introducono un nuovo Testo Unico del pubblico impiego, cambiano
la valutazione della performance dei dipendenti statali, prevedono
modifiche per Vigili del fuoco e Polizia e regolamentano l’introduzione del
nuovo documento unico per l’auto. I punti principali dei decreti della
riforma Madia: il primo dei decreti attuativi approvati riguarda le
modifiche al Testo Unico del pubblico impiego: come già accennato,
particolare attenzione, infatti, è stata posta al nuovo piano di assunzioni
che risolva una volta per tutte il precariato “storico” nel settore
pubblico. ll nuovo Testo Unico prevede inoltre il progressivo superamento
dell’attuale sistema di “dotazione organica” in favore del nuovo Piano
triennale dei fabbisogni che disciplini le spese per il personale. Il Piano
triennale dovrà tenere conto di precisi vincoli finanziari e della
disponibilità delle risorse per definire nuove spese e nuove assunzioni in
base agli effettivi fabbisogni della P.A. Al mutare delle risorse
disponibili, i Ministeri della P.A. e dell’Economia potranno poi adottare
le necessarie misure correttive. In sintesi, con la Riforma della Pubblica
Amministrazione sono stati approvati gli 11 decreti attuativi dedicati ad
una generale riorganizzazione dei servizi pubblici locali. Le principali
novità del corposo pacchetto di norme prevedono una serie di misure per il
controllo ed i provvedimenti sui cosiddetti furbetti del cartellino con
una accelerazione della procedura di espulsione e un inasprimento delle
pene per i dipendenti e i dirigenti pubblici. Numerose sono le novità sulle
Pensioni, sulle assunzioni e gli esuberi. La riforma prevede, inoltre, la
creazione dei così detti distretti, dell’accorpamento della Forestale nel
corpo dei Carabinieri, dell’apertura degli archivi pubblici ai cittadini,
per quello che ora si prospetta come uno “Stato più semplice”. La riforma
Madia sulla pubblica amministrazione ora entra in una fase cruciale,
inizialmente passerà al vaglio dei sindacati e poi del Consiglio dei
ministri. Il Testo Unico della PA, in aggiunta al decalogo per i
licenziamenti, mette sul tavolo anche una misura per le famiglie rivolta a
circa 3 milioni di dipendenti pubblici. In tal senso, le novità previste
riguardano telelavoro e alcune formule flessibili per aiutare i genitori
dipendenti pubblici a conciliare vita privata e professionale. Hanno un
analogo obiettivo anche le previste convenzioni con gli asili nido e le
azioni volte a rendere più facile la richiesta del part-time. Dietro le
nuove misure a favore della famiglia c’è lo scopo di raggiungere dei target
per i servizi pubblici più performanti ed efficienti. Su questo solco,
infatti, l’Esecutivo sta lavorando su una specifica direttiva prevista
dalla riforma Madia, che mira proprio a incentivare lo smartworking, vale a
dire su manovre flessibili per venire incontro a chi è dipendente e ha
figli. Il Ministero della Pubblica amministrazione, di concerto con il
dipartimento per le Pari opportunità, è attualmente al lavoro su alcune
novità importanti per i dipendenti del pubblico impiego. Infatti, oltre al
Testo Unico arriveranno a breve anche specifiche misure per ottimizzare la
conciliazione vita-lavoro. Tra le novità, arriveranno direttive nuove su:
telelavoro; part-time più semplice; accordi tra amministrazioni, asili nido
ed enti per campi estivi (che garantiscano, ad esempio, servizi aperti nei
periodi in cui le scuole sono chiuse) riservati ai figli dei dipendenti
pubblici. Da ultimo il rinnovo dei contratti della PA. Presumibilmente
anche la parte relativa al rinnovo contrattuale della Riforma P.A. potrebbe
recepire alcuni cambiamenti grazie alla flessibilità oraria. Anzitutto,
almeno il 10% dei dipendenti entro il 2018, qualora vi siano richieste,
deve essere messo in condizione di poter prestare servizio con nuove
modalità di gestione lavorativa.
Per quanto riguarda la parte economica del nuovo CCNL, oltre all’aumento
tabellare, che mediamente sarà di 80/85 Euro mensili, l’art. 88 co. 5 del
CCNL incrementa dello 0.30% del monte salari del 2015, il Fondo Risorse
Decentrate da utilizzare in contrattazione integrativa. Sono ulteriori
risorse fisse e ricorrenti utilizzabili per le progressioni economiche.
Risultato importante è stato il conglobamento dell'indennità vacanza
contrattuale (IVC) nello stipendio tabellare, utile ai fini pensionistici,
ed è aggiuntiva rispetto agli aumenti contrattuali; nel precedente rinnovo,
al contrario, gli incrementi economici comprendevano l’IVC (indennità di
vacanza contrattuale). Altro elemento solidaristico è “l’elemento
perequativo” finalizzato al sostegno economico per le fasce retributive più
basse. Infine, è utile sottolineare che nella legge di bilancio appena
approvata, tre norme riguardano direttamente il sistema retributivo diretto
ed indiretto. Ci si riferisce: 1) all’innalzamento delle fasce di reddito
utili per accedere al cosiddetto BONUS di 80 euro, che di fatto neutralizza
l’effetto di superamento dovuto al rinnovo contrattuale; 2) allo
stanziamento di 20 milioni di euro per completare le progressioni
economiche di tutto il personale delle Agenzia delle Entrate. Nonostante le
lamentele e le delusioni di alcuni lavoratori sull’Ipotesi di CCNL Funzioni
Centrali, firmata il 23 dicembre 2017, perché gli aumenti previsti
risultano insufficienti e di fatto non ristorano minimamente la perdita di
potere d’acquisto conseguente a più di otto anni di mancati aumenti
stipendiali, perché contestano la mancanza di qualsivoglia riconoscimento
della professionalità e l’assenza di carriere degne di questo nome, o
perché denunciano la mancata tutela dei diritti dei lavoratori, su tutti
quello costituzionalmente riconosciuto alla salute e alle cure, minato
dalla disciplina del controllo pedissequo sulle assenze per malattia e dal
trattamento le visite diagnostiche e specialistiche nonché dal trattamento
delle assenze dovute a terapie salvavita, la sottoscritta, funzionario del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si ritiene oltremodo
soddisfatta della ripresa delle trattative tra parti sociali e ARAN,
bloccate per oltre nove anni, poiché è stato fugato il rischio temuto
dall’applicazione della legge Brunetta e di tutte le norme costruite contro
i lavoratori dai Governi che si sono succeduti nel periodo del blocco
contrattuale che ha tolto dignità alle norme contrattuali a fronte di norme
unilaterali e punitive del lavoro pubblico.
La prima parte di questo articolo è stata pubblicata sul N. 26 di
Lavoro@Confronto
[1] Carlo Cester in “I licenziamenti dopo la legge n. 92/2012”
[2] Maresca ne “Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche dell’art. 18 Statuto dei lavoratori”
[*] Funzionario amministrativo in servizio presso la DG per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale - Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le considerazioni contenute nell’articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non impegnano in alcun modo l’amministrazione di appartenenza.
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