Effemeridi • Pillole di satira e costume
Finito il volontario esilio del periodo estivo, ho ripreso la mia vita quotidiana con alcuni elementi che stanno diventando delle vere o priore ritualità, come gli incontri col mio amico brontolone di sempre che mi diverto a stuzzicare, in qualche caso con un pizzico combinato di sadismo e masochismo, tirando in ballo i temi scabrosi dell’attualità. Questa volta l’ho trovato più arrabbiato di sempre; forse, ho pensato, sono andate male le vacanze o al contrario, chi lo sa, sono state così belle che ancora non riesce a riadattarsi alla routine quotidiana. Fatto sta che questo suo stato d’animo così esasperato lo ha spinto questa volta, diversamente dal solito, a precedermi e a dare il via al dialogo.
Siamo diventati più di sempre – ha iniziato – un popolo di chiacchieroni inconcludenti. L’ultimo stupido dibattito di moda tra i politici è il dilemma se ammodernare o no il Paese con l’adeguamento e la costruzione delle necessarie strutture, le cosiddette grandi opere. Intanto, mentre da tempo prevale il chiacchiericcio, l’Italia rischia di andare definitivamente in malora. Cadono i ponti e le strade sono ridotte peggio del groviera, provocando vittime e danni ingenti in termini economici e di credibilità internazionale per le nostre imprese.
Fino a qualche tempo fa eravamo ritenuti, ritengo a ragione, dentro e fuori i confini, fino nei punti più remoti del pianeta, i più abili costruttori di opere pubbliche, soprattutto legate alla viabilità, un’eredità trasmessaci dai romani; quest'unanime credibilità, ci faceva vincere ovunque grandi commesse che significavano lavoro, benessere e sostegno della bilancia dei pagamenti. Adesso dopo i tanti disastri, spesso annunciati, ben pochi si fideranno di noi in questo campo.
La realtà è che dopo le grandiose trasformazioni del ventennio d’oro del dopoguerra in cui le infrastrutture furono un elemento determinante per la rivoluzione italiana che da nazione contadina si trasformò in uno dei grandi paesi industriali del mondo, tutto si è fermato o quasi proprio dal momento in cui ci eravamo illusi di essere diventati non con la bacchetta magica delle favole, ma con lavoro, sacrifici, perseveranza e intelligenza. Si ha la sensazione che quella trasformazione da rospo a principe si sia esaurita e che rischiamo di tornare alle sembianze originarie.
Siamo, stati informati dopo il crollo del ponte di Genova, che gli addetti ai lavori sapevano da tempo della sua pericolosità dovuta a una serie di cause, compresa quella dell’età ormai di mezzo secolo. Sebbene venisse chiamato, per una certa somiglianza, ponte di Brooklin, si è visto amaramente che non aveva nulla di simile o peggio non veniva curato come l’originale che resiste dal 1876, per non parlare di quelli romani che hanno duemila anni di vita. Alcuni ne conoscevano le condizioni e i più avveduti, pochi per la verità, hanno cercato di correre ai ripari con un progetto alternativo, ma l’Italia delle fazioni è riuscita a bloccare tutto. E per i responsabili è il momento dello scaricabarile, un altro degli sport preferiti dagli italiani.
Sei sempre il solito pessimista che vede più nero di quel che è in realtà; – ho risposto al mio amico – d’accordo, non stiamo attraversando un bel periodo, sicuramente abbiamo più problemi di sempre, ma le tue affermazioni danno l’idea ingiusta di un popolo senza speranza. Sei come sempre un disfattista.
Mettila come ti pare – mi ha risposto – ma non vedo salvezza. Prendi le dichiarazioni del ministro che più ci riguardano da vicino. Di fronte alle tante morti legate al mondo del lavoro come quelle degli extracomunitari in Puglia, chi dovrebbe rappresentare il nuovo che avanza se n'è uscito con la solita banalità di sempre: occorrono più ispettori. Forse ne occorrono veramente di più, ma questo è solo la punta dell’iceberg di un problema molto più complesso che dovrebbe essere affrontato in modo radicale e rapidamente.
Sarà che sono un inguaribile ottimista – ho concluso – ma so che dopo che si è toccato il fondo non c’è altro che la risalita.
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