Libera circolazione delle persone e regimi di sicurezza sociale nell’ambito dell’UE con particolare riguardo ai rapporti di lavoro
di Tiziano Argazzi [*]
1. Premessa
Quali sono i miei diritti pensionistici se ho lavorato in vari Stati membri? Quale Stato UE deve corrispondere la mia indennità di disoccupazione se sono un lavoratore frontaliero? È possibile continuare a ricevere l’indennità di disoccupazione mentre si cerca un impiego in un altro Stato della Comunità europea? Quale Stato membro deve pagarmi gli assegni familiari se i miei figli risiedono in uno Stato membro diverso da quello in cui lavoro? In quale paese devo versare i miei contributi previdenziali, in che lingua devo presentare le domande di indennità ed entro quali termini?
Queste sono solo alcune delle questioni inerenti i diritti in materia di sicurezza sociale che potrebbe affrontare un cittadino nello spostarsi, o nel trasferirsi, da un Paese all’altro della Comunità europea.
La recente entrata in vigore del Trattato di adesione della Croazia alla Unione europea[1] offre lo spunto per affrontare tematiche che diventeranno sempre più rilevanti e coinvolgenti[2].
Al riguardo occorre precisare che le norme europee in materia di coordinamento non introducono nuove prestazioni e non modificano le legislazioni, in materia, dei singoli Stati membri. Il loro unico scopo rimane quello di proteggere il cittadino europeo che lavora, risiede o soggiorna in un altro Stato membro e di stabilire quale legislazione si applica nei confronti dei lavoratori con una situazione che coinvolge diversi Stati. Si tratta di un’informazione importante sia per il versamento dei contributi previdenziali, ma anche per il diritto a prestazioni e la maturazione di un trattamento pensionistico futuro.
Innanzi appare doveroso evidenziare che le legislazioni nazionali in materia non sono sempre in grado, in modo autonomo, di rispondere a questi interrogativi: si correrebbe dunque il rischio di trovarsi assicurati simultaneamente in due Stati diversi o, privi di una qualunque tutela in entrambi, perdendo i diritti acquisiti alle prestazioni previdenziali senza poter maturarne altri. C’è quindi la necessità di disposizioni applicabili in tutto il territorio UE che garantiscano la completa applicazione dei diritti garantiti dai regimi di sicurezza sociale previsti dalla legge. Nel successivo paragrafo 5) verranno illustrati alcuni dei principi cardine afferenti la materia del lavoro e dei correlati diritti.
2. I diritti di chi si sposta nell’Unione europea
La libera circolazione delle persone ed i regimi di sicurezza sociali sono da sempre capisaldi dell’azione della Comunità economica europea. Nel Trattato istitutivo della CEE[3] veniva chiaramente evidenziato che l’azione della Comunità doveva essere, tra l’altro, indirizzata alla eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, al ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune ed alla creazione di un Fondo sociale europeo, allo scopo di migliorare le possibilità di occupazione dei lavoratori e di contribuire al miglioramento del loro tenore di vita.
Il Titolo III del Trattato - dedicato alla “Libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali” - sanciva, all’art. 48, la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità da attuare mediante “l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”. Tale principio comportava il diritto (fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico pubblica sicurezza e sanità pubblica) per i lavoratori comunitari di rispondere a offerte di lavoro effettive, di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri, di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro ed, infine, di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.
Il successivo art. 51 stabiliva che il “Consiglio, con deliberazione unanime su proposta della Commissione, adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l'instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto: (a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste e (b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri”.
Tali principi sono stati ulteriormente rafforzati, con il Regolamento (CE) n. 1408 del 14 giugno 1971 poi sostituito dal Regolamento (CE) n. 883 del 29 aprile 2004, modificato con il regolamento (CE) n. 988 del 2009 ed il relativo regolamento di applicazione (CE) n. 987 del 16 settembre 2009. Gli stessi, che trovano applicazione nei Paesi dell’Unione[4] a far data dal 1° maggio 2010, garantiscono vari diritti, fra cui quelli lavorativi, sociali e previdenziali dei lavoratori migranti[5].
3. I cambiamenti introdotti dal Regolamento (CE) n. 883/2004
Tra i principali cambiamenti introdotti dal regolamento (CE) n. 883/2004 vanno sottolineati, in particolare:
- una maggiore tutela dei diritti delle persone a seguito dell’estensione degli ambiti di applicazione “ratione personae” e “ratione materiae” del regolamento di base[6]; l’applicazione delle disposizioni a tutti i cittadini degli Stati membri soggetti alla legislazione di sicurezza sociale di uno Stato membro, comprese le persone inattive;
- l’estensione dei settori di sicurezza sociale soggetti al coordinamento, i quali comprendono le legislazioni in materia di prepensionamento;
- il rafforzamento del principio dell’unicità della legislazione applicabile;
- l’inserimento di una specifica disposizione che prevede l’assimilazione di prestazioni, redditi, fatti o avvenimenti;
- il rafforzamento del principio di parità di trattamento;
- la modifica di alcune disposizioni concernenti la disoccupazione ed il mantenimento per un certo periodo (tre mesi aumentabili fino ad un massimo di sei) del diritto alle prestazioni per disoccupazione per la persona che si reca in un altro Stato membro per cercarvi un’occupazione;
- la semplificazione delle procedure per il pagamento delle prestazioni per disoccupazione spettanti alle persone che si recano in un altro Stato membro dell’Unione europea in cerca di occupazione;
- la razionalizzazione delle norme sulle prestazioni familiari;
- l’introduzione del principio di buona amministrazione;
- la velocizzazione e la semplificazione delle procedure di lavorazione delle pratiche attraverso la costituzione di un sistema europeo di scambi telematici dei dati tra gli organismi degli Stati membri.
4. Libera circolazione, il diritto UE più apprezzato
La libera circolazione dei lavoratori è un principio fondamentale della UE ed una componente essenziale del mercato unico[7] oltre ad essere l’elemento fondante della cittadinanza europea codificata nel 1993 con il Trattato di Maastricht[8]. La questione, ulteriormente precisata dal diritto derivato e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea prevede che i cittadini della UE possano senza limitazione alcuna:
- cercare lavoro in un qualunque Paese europeo e lavorare in tale ambito territoriale senza bisogno di un permesso di lavoro;
- vivere in tale Paese per motivi di lavoro e restarvi anche quando l’attività professionale è giunta a termine;
- godere della parità di trattamento rispetto ai cittadini di tale Paese per quanto riguarda l’accesso e le condizioni di lavoro e qualsiasi altro beneficio sociale e fiscale.
E proprio la libera circolazione – o la possibilità di vivere, lavorare e studiare ovunque all’interno dell’Unione – è il diritto UE più apprezzato dagli europei[9]. La principale motivazione per avvalersi della libera circolazione è data dal lavoro, seguita da ragioni familiari. La Commissione europea ha anche sottolineato la responsabilità comune degli Stati membri e delle istituzioni UE nel difendere i diritti dei cittadini comunitari di vivere e lavorare in un altro Paese dell’Unione, delineando azioni concrete per sostenere gli sforzi degli Stati membri in tal senso, aiutandoli a coglierne i benefici apportati[10].
Nel 2011 sono stati codificati i diritti dei lavoratori alla libera circolazione[11] e definiti gli ambiti in cui la discriminazione fondata sulla nazionalità è vietata, in particolare per quanto riguarda: l’accesso all’impiego, le condizioni di lavoro, i vantaggi sociali e fiscali, l’accesso alla formazione, l’iscrizione alle organizzazioni sindacali, l’alloggio e l’accesso all’istruzione per i minori.
Già l’art. 1 di detto Regolamento specifica che “ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad un’attività subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali di detto Stato. Egli gode in particolare, sul territorio di un altro Stato membro, della stessa priorità riservata ai cittadini di detto Stato, per l’accesso agli impieghi disponibili”.
Il successivo art. 7, sempre in tema di impiego, stabilisce che il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Paesi UE, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori cittadini di tale Paese, per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato. Egli deve godere degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali e fruire, allo stesso titolo ed alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali, dell’insegnamento delle scuole professionali e dei centri di riadattamento o di rieducazione. Le eventuali clausole di contratti collettivi o individuali o di altre regolamentazioni collettive concernenti l’accesso all’impiego, l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e di licenziamento, sono nulle di diritto nella misura in cui prevedano o autorizzino condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori cittadini degli altri Stati membri.
5. Coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale: ambito di applicazione
L’art. 3 del “regolamento di base” individua l’ambito di applicazione “ratione materiae” stabilendo che il coordinamento si applica a tutte le legislazioni in materia di sicurezza sociale riconducibili a malattia, maternità e paternità, disoccupazione, invalidità, vecchiaia, infortuni sul lavoro e malattie professionali, pensionamento anticipato, prestazioni familiari e quelle in caso di morte. L’interessato può sempre e comunque appellarsi alle disposizioni sul coordinamento qualora esse servano a dimostrare i suoi diritti a beneficiare di una delle suddette prestazioni. Infatti, come già ricordato in precedenza lo scopo precipuo del coordinamento dei sistemi di sicurezza è quello di stabilire la legislazione si applica nei confronti dei lavoratori con una situazione che coinvolge diversi Stati. Al riguardo vengono sanciti due principi fondamentali:
- A. Il lavoratore è soggetto alla legislazione di uno Stato membro per volta. Tale principio vale per tutte le persone che sono (o sono state) soggette alla legislazione di uno o più Stati membri, indipendentemente dal numero di Stati coinvolti. Anche chi risulta occupato in più Stati membri è soggetto alla legislazione di un unico Stato membro per volta;
- B. Il lavoratore è soggetto alla legislazione dello Stato membro dove lavora. Tale principio vale per tutti i lavoratori subordinati e autonomi, anche qualora risiedano nel territorio di un altro Stato oppure le loro società o i loro datori di lavoro abbiano sede in un altro Stato membro. In altri termini, al soggetto che cessi di lavorare in uno Stato membro per esercitare la propria attività in un altro si applicherà la legislazione del “nuovo” Stato di occupazione. Ciò sta a significare che egli cesserà di maturare diritti nel primo Stato ed inizierà ad acquisirli nel secondo. Poco importa se vi prende o meno la residenza: anche il lavoratore frontaliero che mantenga la residenza nello Stato dove svolgeva la sua precedente attività sarà assicurato ai sensi della legislazione dello Stato in cui si trova adesso ad operare.
6. Libera circolazione: la prevenzione degli abusi
Infine, accanto alla libera circolazione, il diritto UE prevede solide garanzie per prevenire gli eventuali abusi. La normativa in materia autorizza gli Stati membri ad adottare misure efficaci, necessarie per lottare contro gli abusi (quali i matrimoni di convenienza), le frodi (ad esempio, la falsificazione di documenti) o altri inganni e comportamenti fraudolenti finalizzati unicamente ad acquisire il diritto alla libera circolazione, rifiutando o ponendo fine ai diritti conferiti dalla direttiva 2004/58/CE del 29.04.2004. Va da sé che occorre limitare la portata di tali misure in maniera conforme al principio di proporzionalità e con l’applicazione delle garanzie procedurali previste nella direttiva cioè tenendo in debita considerazione il grado d'integrazione della persona interessata, la durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, l'età, le condizioni di salute, la situazione familiare ed economica ed i legami col paese di origine. Dopo aver valutato tutte le circostanze pertinenti e in funzione della gravità dell’infrazione, le autorità nazionali possono inoltre concludere che la persona interessata rappresenta una vera e propria minaccia costante, sufficientemente grave per l’ordine pubblico e, su questa base, possono anche emanare un provvedimento di interdizione, oltre a disporre l’espulsione della persona interessata – vietando in tal modo il suo rientro nel territorio per un determinato periodo di tempo.
Note:
[1] Trattato di adesione della Croazia all’Unione europea è stato firmato a Bruxelles il 9 dicembre 2011;
[2] Infatti basta pensare che nel 2012 tra tutti i cittadini UE residenti in un altro Paese dell’Unione (i c.d. “cittadini mobili della UE”) più di tre quarti erano in età lavorativa (15-64 anni), rispetto al 66% circa dei cittadini nazionali. In media, il tasso di occupazione dei cittadini mobili UE (67,7%) è stato superiore a quello dei cittadini nazionali (64,6%). Invece i “cittadini mobili non occupati” - in particolare studenti, pensionati, persone in cerca di lavoro e familiari inattivi - rappresentavano solo una percentuale limitata rispetto al numero totale dei cittadini mobili UE. Il 64% di questi cittadini inoltre aveva lavorato precedentemente nel nuovo paese di residenza. Il 79% vive in famiglie in cui almeno un membro lavora. Il tasso complessivo di inattività dei cittadini mobili dell’UE è calato tra il 2005 e il 2012, passando dal 34,1% al 30,7%.
[3] Il Trattato che istituisce la Comunità economica europea è stato sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957 ed è entrato in vigore l’1.01.1958;
[4] I regolamenti entrati in vigore coordinano i sistemi di sicurezza sociale per Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia ed Ungheria. Le medesime regole di coordinamento si applicano anche, dall’1.06.2012, ai Paesi SEE cioè Islanda, Liechtenstein, Norvegia (dal 1.06.2012) e Svizzera (dall’1.04.2012);
[5] Dal 1° gennaio 2011 è stato esteso il nuovo coordinamento ai cittadini di paesi extra UE che soggiornano legalmente nell'Unione europea e che si trovano in una situazione transfrontaliera. Anche i loro familiari e superstiti rientrano nella normativa se soggiornano nell'UE. La normativa, contenuta nel Regolamento (UE) n. 1231/2010, riconosce, ad esempio, i diritti di un cittadino extra UE che si è spostato da un paese europeo ad un altro per lavorare, ma i cui figli sono rimasti nel primo paese. Il Regolamento non si applica a Danimarca e Regno Unito. Nei casi riguardanti il Regno Unito, i cittadini extra UE possono continuare a beneficiare della precedente normativa sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale contenuta nel regolamento (CE) n. 859/2003 che ha esteso le disposizioni del regolamento n. 1408/71;
[6] I regolamenti entrati in vigore sono: [a] Regolamento n. 883/2004 del 29 aprile 2004 (cd. "Regolamento di base" ), relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (in sostituzione del vecchio regolamento 1408/71); [b] Regolamento n. 987/2009 del 16 settembre 2009 (cd. "Regolamento applicativo"), in sostituzione del vecchio regolamento applicativo 574/72; [c] Regolamento (CE) n. 988/2009 del 16 settembre 2009, che modifica il suddetto "Regolamento di base";
[7] L’art. 45 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea stabilisce che: “[1] La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata. [2] Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. [3]Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali; d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego. [4] Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione;
[8] Secondo la testuale dizione del Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1.11.1993, è cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. L'introduzione del concetto di cittadinanza europea, che si aggiunge a quella nazionale, mira a rafforzare e a promuovere l'identità europea, coinvolgendo sempre più i cittadini nel processo di integrazione comunitaria;
[9] I cittadini dell’Unione vedono nella libera circolazione il diritto più intimamente associato a questa loro cittadinanza: il 56% degli europei reputa che sia la realizzazione più positiva dell’UE e il 67% ritiene che rechi benefici economici al loro paese; inoltre la libera circolazione dei lavoratori non va solo a vantaggio dei lavoratori coinvolti, ma anche delle economie degli Stati membri, consentendo di conciliare efficacemente le competenze con i posti vacanti nel mercato del lavoro dell’UE;
[10] La comunicazione “Libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari: cinque azioni fanno la differenza” della Commissione Europea al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo ed al Comitato delle Regioni porta la data del 25.11.2013;
[11] Con il Regolamento UE n. 492 del 5.04.2011, sono state dettate norme inerenti alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione.
[*] Tiziano Argazzi è Funzionario della Direzione Territoriale del Lavoro di Ferrara.
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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