Il fondamentale tema della creazione di occasioni occupazionali o ancor più di “creare lavoro”, nel nostro Paese, rappresenta uno degli elementi qualificanti dell’azione dell’attuale Governo, anche considerando l’altrettanto fondamentale bisogno di realizzare, al contempo, ricchezza evidentemente accrescendo i nostri parametri macroeconomici, in primis con l’aumento del Pil.
Questo anche alla luce di quanto avviene nei Paesi del perimetro UE nostri diretti competitor ovvero nei Paesi extra europei, ad oriente quali: Cina, Giappone, Corea, India, ad occidente quali: Stati Uniti, Canada, Brasile, solo per citarne alcuni.
Lo snodo fondamentale sul quale risulta necessaria un’azione decisa di rinnovamento e di rappresentazione dei processi e quindi della governance, a modesto parere di chi scrive, sono proprio la rete dei Centri per l’Impiego. Ciò anche rispetto ad una “nuova missione” che si vorrebbe loro attribuire per quanto riguarda il rinnovato strumento di welfare diffuso quale è certamente il cosiddetto “reddito di cittadinanza” già attivato ed in uso (anche se con molteplici articolazioni, formule e temporalità) nella quasi totalità dei Paesi della Comunità Europea, come pure negli Usa.
Qui è appena il caso di sottolineare come dalle pagine di questa rivista, già oltre cinque anni orsono, precisamente nei primi numeri editi dalla Fondazione d’Antona n.1, 2 e 3 di Lavoro@Confronto, il sottoscritto ha inteso trattare approfonditamente il tema della riforma dei Centri per l’Impiego pubblici, avanzando delle ipotesi e strategie di sviluppo tese ad una riconfigurazione, ampliamento ed implementazione delle risorse umane e finanziarie disponibili, parlando di un quadro esigenziale da doversi cambiare profondamente, anche alla luce di numeri di partenza impietosi: 550 centri dislocati in tutta Italia con poco più di 8.000 addetti, con età media molto elevata, del tutto simile a quella presente nel resto della nostra Pubblica Amministrazione. Livelli di istruzione e curricola ormai non più rispondenti alla platea con nuove istanze rappresentate dalla generazione dei cosiddetti Millenial o Net Generation.
Rete dei CpI quindi assolutamente insufficienti per quantità e qualità. Dati di performance non degni di tale nome avendo ottenuto costantemente, in questi anni, percentuali di intermediazione positiva, con collocamento al lavoro, nella misura che va dal 3% al 5% delle persone regolarmente iscritte nelle liste di disoccupazione.
Tutto questo però non deve influire sulla priorità di offrire e avviare una riforma per ridare centralità ai CpI. Il rischio che si vada verso una privatizzazione totale del servizio deve essere scongiurato. In una parola la ferma “regia delle politiche attive” deve poter rimanere in mano pubblica, ciò senza escludere preconcettualmente anche formule di partnership’ con i molteplici soggetti privati e operatori di settore.
Come sopra detto sappiamo della strategicità, per l’attuale compagine governativa, di un poderoso piano di investimento destinato alla rivitalizzazione dei nostri Centri per l’Impiego, sottoforma di “piano nazionale”.
Questo è stato ribadito nell’ambito di un documento di indirizzo da proporre ed approvarsi formalmente in sede di conferenza Stato-Regioni; anche per il fattivo rilancio delle missioni di queste strutture, che necessitano sicuramente di risorse strutturali, come di strumenti normativi chiari.
I servizi per l’Impiego, assolti appunto dai CpI, rappresentano indubitatamente la infrastruttura primaria per il mercato del lavoro. È del tutto evidente come detto che le attuali poco più di 8.000 unità di personale, anche se integrate dalle 1.600 unità previste dal “Piano di rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro”, approvato in conferenza unificata Stato-Regioni, lo scorso 21 dicembre 2017, più altre 4.000 unità che potranno essere assunte dalle Regioni a partire dal 2019, rappresentano solo un inizio. Lo stesso rilevante stanziamento, annunciato in questi giorni dal Ministro del Lavoro, di circa 1 miliardo di euro, da prevedersi in finanziaria, deve sostanziarsi in investimenti di capitale umano come pure in infrastrutture tecnologiche e strumentali avanzate a connettività diffusa, ammodernamenti immateriali, quali i sistemi Cloud, per poter gestire al meglio banche dati dinamiche ed interconnesse, di agevole implementazione e ramificazione, indispensabili per assolvere al primario bisogno di mettere in collegamento domanda e offerta di lavoro, in modo efficace.
Lo stesso “Reddito di cittadinanza” riferito alle nuove Mission per i Centri per l’Impiego è di tutta evidenza un impegno che sarà premiante ancorché aggiuntivo, per gli stessi, ma anche di nuova portata, tale da offrire, ritengo, una rinnovata centralità e strategicità alla pubblica funzione di questi uffici.
È quindi lecito porsi una serie di domande: i Centri per l’Impiego operanti su tutto il territorio nazionale, sono idonei per governare e gestire il reddito di cittadinanza? Possono considerarsi (anche se sotto organico) ben strutturati ed articolati per “prendere in carico” le persone disoccupate? La formazione e la qualificazione degli operatori, come anche la loro motivazione, e come pure gli ambiti di cooperazione e collaborazione tra le strutture pubbliche e le agenzie private, sono elementi certi?
Altro elemento necessariamente da rappresentare, credo doveroso, sia quello riguardante le ragioni di dissenso che sono state avanzate per confutare la bontà dello strumento cosiddetto “reddito di cittadinanza”.
Ciò che spaventa maggiormente è la diseducatività di dover dire a tutti di aver diritto ad un sostentamento economico minimo di 780 euro mensili, senza alcun impegno in attesa di un lavoro. Come anche chi sono realmente e legittimamente i beneficiari e perché. Quali politiche attive per la ricerca di lavoro verranno attuate. Quali certezze ci saranno per togliere il reddito di cittadinanza se non si da corso ai doveri che verranno previsti in capo ai beneficiari.
Le attività dei CpI inevitabilmente dovranno essere, contrariamente a quanto avvenuto in passato, monitorate permanentemente sia sugli aspetti amministrativi-gestionali puri, sia, e non di meno, per verificare la bontà di azione sul versante multiplo delle politiche attive del lavoro: formazione, tirocini lavorativi, apprendistato, incentivi per l’occupabilità conseguita.
Torniamo però a parlare della fondamentale discussione in tema di “Piani di rafforzamento” dei CpI che necessariamente si dovranno adottare in via preventiva in tutte le nostre Regioni.
Appare chiaro, credo, che qualsiasi azione riformatrice sui CpI debba conformarsi a linee guida nazionali da individuarsi nelle naturali sedi decisorie e di discussione quali sono evidentemente la conferenza unificata Stato-Regioni e ancor prima il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Conseguentemente ogni Regione avrebbe l’onere di implementare degli atti di indirizzo in materia di politiche attive del lavoro e per quanto possibile con la condivisione delle Istituzioni e delle Organizzazioni sindacali e datoriali.
Questo anche alla luce di differenze sostanziali presenti nei nostri territori e Regioni per: tessuto sociale, densità imprenditoriale, livelli di disoccupazione, settori di preminenza produttiva, ambiti geo economici, reti infrastrutturali di comunicazioni e trasporti, densità demografiche ed etniche, ecc.
In ogni caso dovrebbe essere chiaro a tutti come il rilancio dei Centri per l’Impiego sia possibile unicamente dotando gli stessi del riconoscimento quale “Infrastruttura primaria per un innovativo e moderno mercato del lavoro”.
Ancora una volta è bene parlare come qualsivoglia processo di riorganizzazione deve scontare il superamento di differenti sistemi organizzativi e di programmazione delle attività, frutto anche della eredità passata del livello provinciale, sui quali muoveranno i servizi pubblici per il lavoro e quindi una estrema parcellizzazione di modelli di operatività e capacità di incidere positivamente nei rispettivi bacini di intervento infra-regionale.
Si tratterà quindi, nell’immediato futuro, una volta definito e legislativamente presente il “Reddito di cittadinanza”, trovare soluzioni operative uniformi per attivare, in un quadro di sistema regionale, la reale concretizzazione delle politiche di orientamento, formazione e lavoro, istruzione, impiegando vecchie e nuove risorse umane, applicate nelle varie aree e nei servizi per l’impiego.
Si dovrà pensare a gestire appropriatamente e professionalmente l’orientamento specialistico e di base, il tutoraggio e la presa in carico dell’utenza, il grado di inclusione sociale, la formazione, l’interfaccia tra domanda e offerta di lavoro, la gestione dell’impiego in attività di pubblica utilità da parte dei beneficiari del reddito di cittadinanza, il controllo finanziario dell’erogazione corretta basata sui parametri ISEE familiari (che dovranno essere individuati), della platea degli occupabili, le verifiche sulla sussistenza e mantenimento dei requisiti, ecc.
In questo contesto non ci si può dimenticare del bisogno assoluto anche di esigere procedure innovative come pure investimenti per una radicale modernizzazione tecnologica delle strutture che dovranno essere di elevata fruibilità e confortevolezza, sia da parte delle imprese dei territori, che in questo caso prioritariamente dalle forze lavoro disponibili.
Per tali ragioni anche gli aspetti qualitativi degli operatori dei CpI devono assumere adeguata rilevanza. Si devono impiegare competenze e ruoli professionali confacenti al terzo millennio, proiettate alle nuove professioni, alla dimestichezza con un nuovo e diverso mercato del lavoro, ad una tecnologia dei sistemi e delle comunicazioni in continuo avanzamento, ad una società mutevole e globalizzata.
Per tornare ai bisogni finalizzati al cambiamento profondo dei Centri Impiego e necessario per garantire omogeneità di prestazioni su tutto il territorio nazionale, è indispensabile strutturare una governance sui CpI chiara, efficiente ed efficace, che poggi come anzidetto sull’avvalimento di risorse umane e professionalità all’avanguardia che sappiano ben maneggiare le tecniche di “recruiting”, “scouting” “gestione del mismatch tra domanda e offerta di lavoro” operando in una nuova ottica vocata a “prestazioni di base personalizzate” siano esse di accoglienza, orientamento, intermediazione e finalmente all’avviamento al lavoro e non da ultimo un uso massivo dei vettori social, nell’ottica di moderne politiche attive per il lavoro.
È giusto quindi ulteriormente sottolineare che non può bastare un mero rafforzamento dell’organico del personale dei CpI, bisogna assolutamente rafforzare le competenze degli addetti operatori dei servizi, magari incrementando i loro percorsi di aggiornamento formativo (offrendo anche concrete possibilità di sviluppi delle carriere professionali) come altrettanto necessario sarà strutturare adeguatamente i momenti di prima formazione per il nuovo personale che si assumerà per i CpI.
Per tutta questa infrastruttura si dovranno conseguentemente stanziare e quindi investire risorse, da allocare appositamente nella legge di Bilancio, e successivamente nei decreti attuativi, quantificate ad oggi in almeno 1 miliardo di euro, per riformare i Centri, nonché altri 7,1 miliardi necessari per far attivare il cosiddetto reddito di Cittadinanza strettamente correlato all’efficacia dell’azione e del funzionamento proprio dei Centri, previa istituzione del Fondo denominato “Fondo per il reddito di cittadinanza”. Ricordiamo anche che la medesima Legge di Bilancio, a decorrere dall’anno 2019, ha previsto in capo alle Regioni l’autorizzazione ad assumere, incrementando le rispettive dotazioni organiche, fino a 4.000 unità di personale, da destinare specificamente proprio ai Centri per l’Impiego.
In tale contesto generale deve potersi intendere la recentissima nomina, fatta dall’attuale compagine governativa al vertice dell’Anpal – Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, ossia del prof. Domenico Parisi, Sociologo, già direttore del centro di ricerca in politiche del lavoro dell’Università del Mississipi in USA.
L’intento è quello di replicare modelli di organizzazione per i centri per l’impiego pubblici sui quali sostanziare la riforma, appunto, dei servizi per l’impiego indispensabili per creare nuova e buona occupazione.
Per fare questo, evidentemente, bisognerà di pari passo mettere mano, preliminarmente, alla dotazione di una infrastruttura digitale ed altamente tecnologica, degna di questo nome. Bisognerà certamente passare da una gestione pressoché cartacea degli archivi, degli avvisi di ricerca occupazioni (eredità spesso dei vecchi uffici di collocamento ante riforma) da una banca dati puramente abbozzata a livello informatico, ad un uso spinto ad esempio, dei sistemi di veicolazione su piattaforme social o anche applicazioni app per terminali smart.
Si dovrà provvedere alla digitalizzazione di quanto esistente presso gli attuali CpI, poter collegare in tempo reale imprenditori (ovvero anche associazioni datoriali di rappresentanza) ai lavoratori (ovvero anche organizzazioni sindacali di rappresentanza), dando quindi ulteriore ruolo e impulso, altresì, ai cosiddetti “corpi intermedi”, nella loro funzione principe di assistenza ed accompagnamento per i loro associati, iscritti e sodali.
Momento essenziale di tutto sarà quindi, è facile immaginarlo, la costruzione ed il governo di una piattaforma digitale, online, per gestire l’intermediazione di domanda e offerta di lavoro.
Proprio in questi giorni si sta parlando, spesso con toni immotivatamente ironici, ed aggiungo inappropriati (vista la delicatezza della questione), di una figura, per il vero già in uso nei centri per l’impiego di altri Paesi europei, ossia il cosiddetto: “Tutor-navigator”, cioè il funzionario operante presso i CpI che avrà il gravoso compito di “prendere in carico” i singoli utenti al fine di orientare gli stessi, nella loro veste di percettori di “reddito di cittadinanza” in percorsi di formazione utili al fine di procacciare nuove opportunità occupazionali. Ciò per rendere assolutamente transitorio lo status di disoccupati e quindi di beneficiari di redditi di sostegno. Questo almeno sembrerebbe alla base della scelta, tanto dibattuta, della introduzione nel nostro Paese del citato reddito di cittadinanza, quale architrave della nuova politica economica nazionale.
Tornando alla primaria funzione dei CpI in una loro rinnovata e riattualizzata operatività assume un assoluto valore la mission strategica di mettere in connessione diretta lavoratori ovvero cercatori di prima occupazione con chi di converso offre lavoro.
Collegare gli imprenditori con chi è disposto a dare lavoro, facendolo però in tempo reale, può essere la chiave di volta per sbloccare finalmente un mercato del lavoro asfittico, ingessato, domestico, in quanto la creazione di un database centrale assumerebbe un ruolo fondamentale quale regia nazionale, permettendo anche una maggiore mobilità in un moderno mercato del lavoro dove proprio mobilità ed interconnessione sono valori aggiunti fondamentali.
È sicuramente però anche il “bisogno di accompagnare” coloro che sono in cerca di una prima occupazione, o anche di coloro che hanno perso un lavoro, o ancora chi è alla ricerca di un lavoro differente nell’ottica di accrescere il proprio status (il famoso ascensore sociale ormai fermo) o migliorare capacità reddituali, come pure chi essendo donna o disoccupato storico tenta di rientrare nel bacino di forza attiva, che ci deve far riflettere.
È appunto tale massa di utenti la naturale destinataria di quello che reputo elemento fondamentale per la stagione della vita destinata al lavoro, vale a dire la “Formazione”. Non a caso nei miei scritti, monografie ed insegnamenti accademici, l’elemento formazione assume un ruolo rilevante. Si parla giustamente di formazione permanente, affiancandola alla prima formazione e all’aggiornamento della formazione.
Ogni lavoratore dovrebbe poter disporre di un adeguato percorso i studi superiori e/o universitari, possibilmente aderenti con il tipo di occupazione svolta e magari puntellato da approfondimenti formativi permanenti, durante tutta la propria carriera lavorativa. Ma questo anche in presenza di un mercato del lavoro assolutamente diverso da quello del secolo scorso, con un’economia globale sempre più tecnologica ed immateriale, non è facilmente riscontrabile.
Quindi la formazione assurge a ruolo primario e di discrimine al fine di ricollocarsi agevolmente e nei variegati comparti e specializzazioni, ogni volta si sia costretti ad un cambio di occupazione. Questo avviene anche rispetto ad un mercato del lavoro che definirei sempre più “Liquido” mutuando i titoli di monografie dello studioso sociale Bauman.
In conclusione, portare a definizione la troppo attesa riforma dei Centri per l’Impiego pubblici è diventato di fondamentale importanza per il nostro Paese. A maggior ragione stante la oramai approvata Legge di Bilancio 2019, nella quale assume effettività l’introduzione degli stanziamenti necessari per l’istituzione del cosiddetto Reddito di Cittadinanza.
È bene anche sottolineare che per la concreta introduzione di tale strumento di contrasto alla povertà verrà adottato entro le prime settimane del 2019 uno o più appositi decreti legge collegati alla legge di Bilancio.
L’idea di fondo è quella di mettere a disposizione, di chi non ha un lavoro, un sistema o per meglio dire un articolato programma, accessivo al fatidico reddito di cui l’attore principale sarà la figura del Tutor-Navigator, ossia quel soggetto funzionario dei CpI che prenderà in carico il disoccupato-beneficiario del reddito di cittadinanza, avendo cura di indirizzare l’utente verso percorsi di formazione, in ambito pubblico come quello privato, finalizzandoli ad una collocazione lavorativa, in una sorta di dualità realizzativa.
Quindi si potrà verificare che la vera e propria “Formazione” avvenga presso le imprese ed aziende (riconoscendo alle stesse i costi della formazione e/o relativi incentivi in caso di assunzione) o anche presso i centri per l’impiego, o presso i centri di formazione accreditati dalle Regioni, o ancora presso le agenzie private per l’impiego.
Ciò detto un elemento imprescindibile, fonte di legittime riserve e dubbi, è l’aspetto temporale della riforma dei CpI. Sicuramente i tempi di realizzazione di un piano così complesso e articolato saranno dettati e impressi da chi avrà la responsabilità diretta di tale ambiziosa riforma che potrà cambiare il volto del nostro mercato del lavoro solamente grazie a un’azione pragmatica e avulsa da condizionamenti esterni e settoriali, dotata di concretezza e risorse umane motivate professionalmente, economicamente e umanamente.
[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei processi economici e del lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del lavoro”. Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, Capo dell’Ispettorato territoriale di Potenza-Matera.
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