Tavola Rotonda - “Rilancio dei servizi per l’impiego tra realtà ed utopia”
Grazie sono io, naturalmente, che ringrazio voi per questa occasione di confronto, in questa sede, perché credo che sia una sede particolarmente qualificata e a maggior ragione per l’appuntamento odierno con la consegna del “Premio Massimo D’Antona”.
Conoscevo Massimo D’Antona quando ero ai miei inizi di carriera, un grandissimo studioso, brillante, soprattutto uno studioso impegnato che aveva avuto il desiderio di mettere al servizio del Paese le sue competenze, le sue idee, di uno Stato che fornisse ai cittadini anche servizi degni di questo nome.
E i centri per l’impiego sono, certamente, una delle strutture di cui oggi si parla molto, ma che per anni, se non per decenni, sono rimaste abbandonate a se stesse. Basti pensare all’esodo di personale dei centri per l’impiego che si è prodotto negli ultimi vent’anni, perché non dobbiamo mai dimenticare che in realtà il destino dei centri per l’impiego è segnato un po’ dalla sua storia. Nascono come centri di collocamento, cioè, sostanzialmente, come strutture amministrativo-burocratiche che devono gestire il collocamento obbligatorio e quindi devono fare da notai, principalmente, per le attivazioni delle politiche del lavoro in una logica del rispetto del principio di non selezione. Cioè tutto il contrario di quello che oggi è la missione del centro per l’impiego, dove l’operatore dovrebbe invece diventare un vero e proprio promotore del disoccupato. Naturalmente, promotore del disoccupato che abbia al contempo, però, la conoscenza di quella che è la domanda di lavoro e quindi qui uscire dalla logica del centro dell’impiego come una sorta di sportello di ascolto del disoccupato, come un canale ad una via sola.
È evidente che se non c’è lo sbocco verso l’impresa, il centro per l’impiego non ha ragione di essere. La sfida che oggi viene posta sul tavolo della politica sul rafforzamento di questi centri per l’impiego, io credo vada colta con positività perché il nostro Paese, di fatto, è uno dei Paesi Europei in cui la rete dei servizi per l’incontro tra la domanda e l’offerta è più fragile. Non è possibile pensare di competere all’interno di un contesto Europeo dove ci sono strutture forti, dinamiche e pronte a rispondere sia alla domanda che all’offerta di lavoro, quindi, a minimizzare il cosiddetto “disallineamento” fra queste due fondamentali componenti perché si realizzi poi il lavoro. Essere in un Paese dove tutto questo viene lasciato, essenzialmente, alla capacità di ciascuno di arrangiarsi determina delle inefficienze oltre che, evidentemente, dei problemi di carattere sociale.
Non penso che si possa derubricare la questione dei centri per l’impiego come una questione, diciamo così, di bandiera politica, credo che sia una questione, invece, di infrastruttura fondamentale per il nostro Paese. Però, certo, questo non significa che si debba correre il rischio opposto e cioè, che i centri per l’impiego, in realtà, vengano utilizzati come semplice bandierina per veicolare altre misure che, magari, si potrebbero rilevare semplicemente misure di carattere assistenziale. Quindi io credo che si debba fare una riflessione molto solida e molto strutturata che parta da un progetto di cosa si intende per rete delle politiche attive del lavoro, perché la rete delle politiche attive del lavoro deve avere un suo luogo fisico. Ed il luogo fisico, deve essere, secondo me, principalmente quello dei centri per l’impiego, ma deve coinvolgere tutti i soggetti che fanno parte di questa rete. Deve coinvolgere certamente la scuola, certamente l’università, certamente anche i soggetti privati che sono stati accreditati negli ultimi vent’anni ed hanno dato un contributo importante allo sviluppo di un mercato del lavoro più moderno. Deve coinvolgere, a mio modo di vedere, le parti sociali. Io ho avuto modo di sperimentare come le politiche attive del lavoro funzionano dove c’è un convinto coinvolgimento delle parti sociali, anzi più che un coinvolgimento, partecipazione attiva e convinta delle parti sociali.
La gestione delle crisi può avvenire attraverso, anche, politiche di reinserimento lavorativo in altre dimensioni aziendali se il sindacato e l’impresa costruiscono piani di rafforzamento professionale dei lavoratori in esubero e di vera e propria mobilità verso una nuova opportunità lavorativa.
Non vorrei assolutamente che questo dibattito fosse legato alla contingenza del momento ma vorrei che, per una volta, si cercasse di fissare un punto fermo nel dibattito sulle riforme, che non si continuasse a pensare che ogni volta che si lancia una nuova politica, le infrastrutture del Paese debbano essere messe in discussione e che quindi, finalmente, si incardinassero nelle linee di sviluppo del nostro Paese, le infrastrutture dei servizi per l’impiego, come una infrastruttura necessaria, come lo sono le ferrovie, come lo sono le strade, come le energia elettrica. Altrimenti si rischia, veramente, di fare e disfare e non ottenere mai un servizio a livello Europeo.
Oggi c’è un tema che mi pare molto importante: nuove risorse e questa è una condizione necessaria, ma manca un pezzo che mi pare ancora più importante, un progetto. Le risorse sono una condizione necessaria ma di per sé non sufficiente. Il progetto, quello che abbiamo sulla carta, l’unico al momento disponibile è ancora l’architettura disegnata dal Decreto Legislativo 150 del 2015, cioè quello che mette insieme la rete dei servizi per l’impiego ed è un soggetto che vede nell’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro, il soggetto coordinatore ma, appunto, in un coordinamento di altri attori fondamentali come lo sono, certamente, le Regioni, come lo sono sicuramente, le Istituzioni centrali, come INPS, MIUR, lo stesso Ministero del Lavoro, ovviamente, nonché i soggetti accreditati.
Ora, come facciamo a rafforzare i centri per l’impiego in questa rete complessiva? Secondo me, la cosa fondamentale, la prima operazione fondamentale da realizzare, è la individuazione di misure che verranno erogate agli utenti di questi servizi. E’ in funzione delle misure, in funzione del servizio che si vuole rendere, che poi si costruisce la macchina produttiva di quel servizio. Io dico sempre che è inutile immaginare di costruire una fabbrica, se prima non hai immaginato quale è il prodotto che vuoi realizzare. E quindi bisogna avere chiare quali saranno le misure di sostegno al disoccupato. Noi sappiamo che di questo non c’è traccia, oggi, nel dibattito, nessuno dice quale sarà la misura reale per favorire l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro. Nel Decreto Legislativo 150 la misura principale che era stata individuata era l’assegno di ricollocazione, che è stata, indubbiamente, una misura che ha avuto molti problemi, anche di diffusione. Però è anche vero che a forza di dire che l’assegno di ricollocazione non funziona non si fa una gran pubblicità a questo strumento.
È anche vero che, ad oggi, noi contiamo circa 5.000 assegni di ricollocazione rilasciati da giugno ad oggi; una goccia nel mare, però è uno strumento che ha una sua utilità e che sta incominciando ad avere una sua diffusione; quindi, secondo me, sarebbe un gravissimo errore buttare al mare questa misura. Anzi, a mio modo di vedere, bisognerebbe cercare di migliorarla, tenendo conto di quello che è stato l’esito della sperimentazione ed evidentemente aggiustandone gli aspetti che ne hanno impedito una vera diffusione, pubblicizzandolo adeguatamente, facendo funzionare quello che abbiamo, invece, che distruggendo quello che abbiamo.
Poi c’è la parte infrastrutturale e qui ci vuole la condivisione di informazioni, la messa all’interno del sistema informativo unitario dei dati che sono presenti nei centri per l’impiego e dei dati che sono presenti presso l’INPS, quindi tutta la storia contributiva, previdenziale, dei diversi sussidi o benefici che sono stati goduti dalla persona. Così come è fondamentale recuperare nel fascicolo personale del lavoratore le informazioni sulla sua storia educativa, quindi tutta la parte che deriva dal MIUR, ma bisognerebbe inserire anche tutta la parte che deriva dai percorsi di formazione professionale successiva all’età scolastica.
E poi dotare, ovviamente, i centri per l’impiego delle infrastrutture informatiche che siano in grado di reggere questo sistema. Io ho girato tantissimi centri per l’impiego per l’Italia ed in tantissimi centri per l’impiego, soprattutto al sud, dove più ce ne sarebbe bisogno, le dotazioni informatiche non sono nemmeno in grado di far girare il browser utilizzato dal sistema informativo unitario.
Poi naturalmente il personale, e qui è il capitolo più delicato ed è anche il capitolo sul quale mi sembra che ci sia più confusione, perché, anche qui, continuare a cambiare obiettivi rispetto alla reale necessità, non facilita la costruzione di un progetto serio, di un progetto condiviso. Ora sento parlare di questi “Navigator”. Al di là del fatto che forse sarebbe meglio valorizzare quello che già esiste, noi abbiamo la figura del tutor, che sono decenni che opera in questo campo.
Il problema è: dove vanno questi “navigator”? cosa fanno? alle dipendenze di chi sono? come si collocano nella catena dei servizi per il lavoro? e poi soprattutto per svolgere quale funzione? per svolgere quale attività?
Io ritengo che sia un dato di fatto che il personale dei centri per l’impiego oggi è insufficiente sia in quantità che in qualità. Io penso che da lì si debba partire, cioè che si debbano dotare i centri per l’impiego di personale quantitativamente sufficiente ma anche adeguatamente formato rispetto alle misure che si vogliono erogare.
Noi abbiamo appena varato, proprio nel Consiglio di Amministrazione di ieri sera, le nuove linee degli standard di servizi e degli standard di costo dei servizi, perché riteniamo che sia fondamentale dotare tutte le strutture di una mappa chiara su quello che deve essere realizzato nei tempi previsti da questa mappa. Ed è una mappa alla quale abbiamo lavorato condividendo, naturalmente, le opinioni di chi sta sul campo, quindi condividendo in sede tecnica con i territori, con le Regioni in particolare, i singoli servizi da realizzare. Questo penso che sia un punto di partenza molto importante, lo avevamo già fatto lo scorso anno e quest’anno lo abbiamo potuto aggiornare, anche con uno sfoltimento di alcune attività ed un miglioramento degli obiettivi.
Fondamentale è il monitoraggio, controllare che questi obiettivi siano effettivamente realizzati ed abbiamo individuato, anche, un meccanismo di monitoraggio costante; sulla base di questo meccanismo di monitoraggio, abbiamo anche condiviso con le Regioni un documento sulla azione in via sussidiaria, là dove la singola Regione non sia in grado.
Per riportare quei servizi nei parametri degli standard individuati, abbiamo anche stabilito che un discostamento medio o superiore al 15% apre una procedura di confronto tra l’ANPAL e la Regione per individuare quali possano essere le azioni correttive in quella realtà ai fini del riallineamento agli standard. Partire, quindi, da un progetto concreto.
E allora, vado a concludere, le tappe, secondo me, sono abbastanza ben disegnate. Io credo che la politica dovrebbe dare sostegno a questo percorso che è un percorso che non nasce dal nulla ma che nasce da anni di esperienza sul campo, un percorso che non può essere sovrastato da una idea di riforma calata dall’alto ma che deve far tesoro invece dell’esperienza concreta dei nostri servizi per il lavoro. Poi va sempre benissimo farsi contaminare da esperienze positive anche straniere, noi in questa stanza, lunedì e martedì abbiamo invitato i colleghi tedeschi che ci hanno spiegato come funziona la loro struttura, che ci hanno dato delle indicazioni preziosissime. Il rappresentante dell’Agenzia ci ha detto una cosa che a mio modo di vedere è una cosa molto saggia, io mi sono permesso di dirla nei mesi scorsi e la cosa non è piaciuta e cioè che ci vuole tempo. I tedeschi ci hanno detto: “Dovete evitare di illudere le persone, dovete evitare di creare delle aspettative, prima che queste siano materialmente realizzabili” lo dico perché era seduto lì, lunedì scorso, in presenza del Sottosegretario Cominardi, della Presidente della Commissione Senato Catalfo “Noi ci abbiamo messo quattro anni, quindi noi, vi consigliamo di costruire un piano quadriennale di costruzione, appunto, del sistema delle politiche attive. Ora, va bene, i tedeschi saranno forse un po’ troppo precisi, pignoli ed avranno troppo il gusto delle procedure, però vedete se non c’è una organizzazione, se non c’è una catena delle responsabilità come ci ripetevano i nostri colleghi tedeschi, è difficile che la macchina funzioni.
Per fare questo ci vuole tempo, ci vuole condivisione, ci vuole un piano sul quale ognuno si assuma le proprie responsabilità e quindi una governance, sostanzialmente, di questo sistema. Io spero davvero che l’occasione, i riflettori che si sono accesi in questo periodo sui centri per l’impiego non siano solamente uno show momentaneo ma siano luci che resteranno accese permanentemente e che siano luci che consentiranno davvero il radicamento e la realizzazione nel nostro Paese di una infrastruttura che io considero assolutamente pari a quelle grandi opere di cui, tutti dicono, il Paese ha bisogno per tenersi al passo con la competizione europea.
Grazie.
[*] Presidente dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro ANPAL
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