Tavola Rotonda - “Rilancio dei servizi per l’impiego tra realtà ed utopia”
In primo luogo desidero ringraziare per l’invito, mi fa piacere essere qui anche perché è un’occasione in cui viene attribuito il premio “D’Antona” ad una tesi di dottorato in diritto del Lavoro e questo è molto importante, pensare ai giovani studiosi che con passione si avvicinano a questa materia in costante trasformazione. Questo mi induce a fare una riflessione di carattere generale che poi penso sia utile al tema specifico: è sotto gli occhi di tutti che stiamo vivendo una grandissima trasformazione del lavoro, ci sono cambiamenti enormi, siamo nel bel mezzo di quella che viene definita la ”Quarta Rivoluzione Industriale”. Devo dire, per certi versi, che il ’900 è veramente alle spalle, e lo vediamo non solo nel lavoro, lo vediamo anche nella nostra vita quotidiana, l’impatto forte dell’innovazione tecnologica, della digitalizzazione.
Al punto che oramai noi guardiamo gli ultimi decenni del ’900 come probabilmente in quei decenni si guardava la fine dell’800. In pochi anni, in termini di innovazioni tecnologiche e digitali, si sono visti dei cambiamenti e delle trasformazioni semplicemente inimmaginabili fino a poco tempo fa, che hanno cambiato il nostro modo di vivere e di lavorare.
Oggi si parla di Gig Economy, internet delle cose, Impresa 4.0, di lavoro su piattaforma gestito da algoritmo, ma anche di Economia circolare, “Green Economy”.
Nasce una relazione nuova tra datore di lavoro, lavoratore e macchina intelligente. In questo contesto, anche l’impresa si sta trasformando, stanno nascendo nuovi modelli di impresa.
Io lo vedo quotidianamente anche nell’evoluzione dell’impresa artigiana, che mantiene molto forte quell’elemento di valorialità, di tradizione e di know-how che sono la base e il valore del lavoro artigiano, quindi del lavoro fatto bene, personalizzato, su misura. Ma l’impresa artigiana è anche fortemente innovativa, nelle tecniche, nei materiali, nel design, nell’organizzazione.
E poi abbiamo l’area di confine fra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato, dove la distinzione non sempre è così marcata, anzi si fa sempre più tenue.
Infine, c’è una grande trasformazione sul terreno delle competenze. Le competenze tecniche diventano obsolete con grande facilità, le imprese cercano sempre di più competenze ibride e nello stesso tempo c’è una importanza crescente, anche nelle micro imprese, delle “Competenze trasversali”, delle “Soft Skills”, proprio perché il mondo è in continua evoluzione.
Non si può prescindere dalla valorizzazione del fattore umano: le persone ed il loro saper fare restano, infatti, un elemento chiave del vantaggio competitivo delle micro e piccole e medie imprese e la digitalizzazione, pertanto, dovrà esaltarne le capacità estendendone la capacità produttiva.
Questo non significa che non esisteranno più le tradizionali professioni, ma semplicemente che mentre alcune verranno sostituite da altre, probabilmente caratterizzate da maggiori conoscenze specialistiche e competenze, molte altre saranno una evoluzione di quelle attuali, dovendo comportare la possibilità di fare lo stesso mestiere in un modo più dinamico, più competitivo, più interconnesso.
Grazie alle tecnologie digitali, le competenze e la flessibilità e creatività degli artigiani possono, infatti, creare nuovi prodotti, conquistare nuovi mercati, raggiungere grazie alle reti obiettivi prima preclusi alle realtà di piccole dimensioni
Intendiamoci, le grandi trasformazioni ci sono sempre state, non è che si tratta di una novità, ma questa che stiamo vivendo noi oggi è certamente più impetuosa, più veloce. Va dato atto che ci sono stati grandi uomini e studiosi, come appunto Massimo D’Antona e Marco Biagi, che avendo compreso prima degli altri che sarebbero arrivate grandi trasformazioni, hanno cercato di progettare per tempo delle soluzioni, avendo una visione, per non essere travolti dalle profonde trasformazioni in arrivo.
È questo un po’ quello che noi dovremmo saper fare, con uno sguardo sempre attendo alla qualità del lavoro ed alla dignità della persona, prima ancora della dignità del lavoratore.
Ciò detto, rispetto al tema che siamo qui ad esaminare, molte fra le cose più significative le ha già dette il Professor Del Conte.
Peraltro il titolo del convegno “Rilancio dei servizi dell’impiego tra realtà ed utopia”, già rappresenta l’estrema difficoltà di approcciarsi a questa materia. I centri per l’impiego, gli attuali servizi per l’impiego italiani soffrono di due problemi di fondo: il primo è stato già ricordato, nascono come centri di collocamento obbligatorio per fare attività di carattere burocratico-amministrativa in un sistema in cui il collocamento era un collocamento statico, non era un collocamento dinamico; l’altra problematica è che nel nostro Paese siamo sempre stati fortemente sbilanciati sulle politiche passive rispetto alle politiche attive del lavoro. Questo è tradizionalmente vero, anche se le politiche passive non vanno criminalizzate tout court, essendo servite, ad esempio, in questi anni di gravissima crisi, a limitare l’aumento della povertà. Avere avuto strumenti come la cassa integrazione, la bilateralità, il sussidio contro la disoccupazione, la stessa cassa in deroga, ha consentito, comunque, di uscire fuori dalla crisi con meno morti e feriti rispetto ad una situazione che era realmente drammatica.
Il problema però, se noi andiamo a vedere anche i decenni precedenti, è che scorgiamo casse integrazioni infinite, prepensionamenti generosissimi, sussidi mal erogati, nessuna tensione verso quello che invece deve essere l’obiettivo fondamentale di un Paese moderno ed in crescita, che è la creazione di lavoro.
Sul tema dei servizi per il lavoro abbiamo tuttora un evidente gap anche rispetto ai nostri principali competitors europei, ma io non li voglio neanche chiamare così, rispetto ai nostri amici degli altri Paesi europei. Non mi riferisco tanto allo studio dei modelli, che piace tanto ai professori e che pure è importante, perché spesso i modelli funzionano nei piccoli Paesi per i quali sono pensati. Mi riferisco, però, ai sistemi francese e, soprattutto, a quello tedesco. Si tratta di due Paesi rispetto ai quali noi dobbiamo necessariamente raffrontarci; e questo benchmark molto utile ci ha fatto, appunto, vedere alcune cose molto negative. La prima è sicuramente che le risorse che noi appostiamo sono risorse quantitativamente inferiori, anche se le statistiche vanno lette bene nei dettagli ed in relazione ad attività che, ad esempio, in Italia svolge l’Inps con il proprio personale ed in altri Paesi sono svolte direttamente dai servizi per il lavoro. Ma più che un tema di risorse, come diceva il Professor Del Conte, è anche un tema di mancanza di continuità, di mancanza di progettualità. Ora noi abbiamo, nella Legge di bilancio 2019, ben due miliardi di Euro per il prossimo biennio. Non sono certo pochi, quello che però è importante è avere una continuità e traguardare un periodo un pochino più lungo. I centri per l’impiego, i servizi per il lavoro, come i dati ci dicono – molto interessante il recente rapporto proprio dell’ANPAL –, hanno una bassissima capacità di intermediazione, si parla del 3,5%, inferiore agli altri stati Europei, che però, attenzione, non è che arrivino al 50%.
Certo, non si tratta di un dato necessariamente indicativo del funzionamento e della reale capacità dei servizi per il lavoro di svolgere bene la loro attività, quello della capacità di intermediazione. Va detto, inoltre, che devono attualmente occuparsi di una utenza molto difficile, una utenza che è composta, lo vedevo proprio leggendo il monitoraggio dell’ANPAL, in larghissima parte da Neet, disoccupati percettori di ammortizzatori sociali e disoccupati di lunga durata. E naturalmente questa non è una utenza facile da affrontare.
D’altro canto che cosa chiedono le imprese: le imprese vorrebbero qualcosa di più, le imprese hanno bisogno anche di servizi di consulenza e di supporto all’inserimento lavorativo. Perché nessuna impresa fa una assunzione a cuor leggero.
E allora – e mi avvio a conclusione – sapendo che ricette precostituite pronte da cucinare non ci sono, occorre, innanzitutto, avere un progetto e darsi un po’ di tempo, avere un progetto e credere in questo progetto. Se noi pensiamo che possiamo avere dei centri per l’impiego che incomincino ad affrontare con successo questa utenza difficile, dobbiamo partire dall’orientamento, che a volte viene dimenticato, perché noi abbiamo il 25% circa di tasso di fallimenti ed abbandoni scolastici, e questo è un problema anche, evidentemente, di orientamento. Ma per fare orientamento, per avere quell’incrocio preciso tra quello che cercano le imprese e l’offerta di lavoro, occorre lavorare moltissimo sul fronte della domanda. Anche perché, ad esempio, continuano ad esserci imprese che hanno difficoltà a reperire la manodopera di cui hanno bisogno.
In una situazione di disoccupazione strutturale, gravissima in alcune zone del Paese, sembra impossibile che ciò accada, invece, anche questo accade. Ed allora proprio per questo che, nel richiamare la necessità di avere un progetto e di crederci, nel richiamare la necessità di una migliore qualificazione del personale dei servizi per il lavoro, di investimenti nelle infrastrutture, nell’informatica, nelle banche dati, di avere una maggior uniformità tra i vari territori, resta fondamentalmente anche investire sulla rete. Se infatti qualcuno pensa che sia sufficiente mettere dal centro tante risorse per i servizi pubblici per l’impiego ed assumere nuovo personale, credo che non si raggiungeranno i risultati sperati.
Noi invece abbiamo bisogno di rafforzare la rete, dando spazio alle agenzie per il lavoro, collegate spesso alle organizzazioni datoriali, che conoscono bene le imprese, conoscono bene i distretti, conoscono bene i territori, in cui il match può avvenire non tra un’impresa e un lavoratore, magari può avvenire tra un lavoratore ed un numero di imprese che fa una determinata attività, che possono essere 20, 30 , 40. E quindi si amplia la possibilità di una intermediazione che vada a buon fine. C’è anche la scuola, ci sono le organizzazioni imprenditoriali e quelle sindacali dei lavoratori, che continuano ad avere la migliore conoscenza delle imprese e dei lavoratori.
E quindi se lavoreremo in questi termini, cioè in una logica sistemica e di periodo e non in una logica di mera emergenza e di chiusura rispetto all’esterno, la riforma, una ulteriore riforma sui servizi pubblici per l’impiego, potrà avere qualche speranza di successo; altrimenti come dice il titolo del convegno, rischia di restare soltanto una bella utopia. Grazie.
[*] Direttore della Direzione Politiche Sindacali e del Lavoro Confartigianato
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