Sono passati 20 anni da quella brutta e triste giornata di Maggio, eppure nella nostra memoria la scomparsa del Prof. Massimo D’Antona, giuslavorista, consulente del Ministro del Lavoro, ucciso per mano delle brigate rosse a pochi passi dalla sua abitazione, rimane una pagina della nostra storia che non potremo mai dimenticare.
Siamo a Roma, è il 20 maggio 1999 alle 8,30 di mattina il professor Massimo D'Antona, 51 anni, esce dalla sua abitazione di un palazzo di via Salaria. Si dirige a piedi verso il suo studio di via Bergamo, dove ogni giorno lavora e realizza le consulenze per il Ministero del Lavoro. D'Antona cammina a passo normale, con la sua borsa in pelle marrone scuro nella mano destra. Riesce a percorrere solo poche decine di metri. Due giovani lo sorprendono alle spalle. L'agguato dura sessanta secondi. Un minuto per uccidere con sei colpi di una pistola calibro 38 il consulente del Ministro del Lavoro. Un omicidio politico nel centro di Roma. Nella costernazione generale, Massimo D’Antona lascia la moglie Olga e la figlia Valentina.
Massimo D’Antona viene ucciso dalle brigate rosse perché individuato come la mente pensante del “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”, firmato fra Governo e parti sociali alla fine del 1998; un patto che il giurista aveva ideato per il Governo guidato da Massimo D’Alema e per il Ministro del Lavoro Antonio Bassolino.
Purtroppo, c'è un filo rosso che lega i delitti che hanno colpito alcuni fra i nostri migliori studiosi impegnati a fianco del Governo nella riscrittura delle regole degli assetti istituzionali e, soprattutto, nell' ammodernamento delle norme sul mercato del lavoro. La storia ci porta a ricordare Gino Giugni, "padre" dello Statuto dei lavoratori, che venne gambizzato a Roma nel 1983; Ezio Tarantelli, assassinato nel 1985, anch'egli docente universitario, in quel periodo era impegnato come consulente della CISL nell’accordo tra governo e sindacati sul taglio degli scatti di scala mobile. Roberto Ruffili, ucciso nel 1998. Era consigliere di Ciriaco De Mita, in quel momento Presidente del Consiglio, definito dalle BR vero e proprio cervello politico del progetto demitiano. Tre anni dopo Massimo D’Antona, nel 2002, venne ucciso Marco Biagi, consulente di Roberto Maroni, allora Ministro del lavoro. Insomma, una precisa strategia delle Br, tesa a colpire uomini dello stato legati ad un contesto di ammodernamento delle Istituzioni e delle regole sul mercato del lavoro.
Nel 2004 la vedova del giuslavorista, nel libro COSÌ RARO, COSÌ PERDUTO (Olga D'Antona con Sergio Zavoli - Mondadori, 2004 - 130 pagine) ebbe a dire: “Non c'è alcun fondamento politico razionale nella strategia delle Br e, oltre al dolore per la perdita della persona a me più cara, c'è l'amarezza dell'insensatezza di quell'assassinio”
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Con Massimo D’Antona esce di scena uno dei migliori giuslavoristi che il nostro Paese abbia mai avuto. Uno studioso sui temi del lavoro particolarmente prolifico, il cui impegno ebbe a manifestarsi fin dal 1972 con i suoi primi interventi pubblici su questioni riguardanti i temi del lavoro. Rileggendo la sua storia professionale, i diversi libri pubblicati, il gran numero di interventi divulgati su riviste specializzate, gli importanti documenti scritti a sostegno dell’azione del Governo, si resta veramente sbalorditi per la rilevanza qualitativa e quantitativa degli studi messi a disposizione della politica, del sindacato, degli studiosi e del Paese tutto.
Su (e di) Massimo D’Antona e sulle sue opere sono state scritte tante cose; in questa occasione vale la pena, da una parte, limitarsi a ricordare, in maniera molto sintetica, la sostanza del suo impegno nell’ultimo periodo della sua vita e cosa questo potrebbe significare oggi per tutti noi e, dall’altra, riprendere alcuni fili del ragionamento che lui ci ha lasciato in materia di riforma della pubblica amministrazione. Per gli studiosi più appassionati ricordiamo che on line è possibile reperire il catalogo completo delle opere scritte da Massimo D’Antona e pubblicate da importanti case editrici.
Il 22 dicembre 1998 era stato firmato, fra Governo, Associazioni imprenditoriali e Organizzazioni sindacali, il “Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione”. Quel patto aveva potuto prendere la luce grazie al contributo fondamentale portato a quel documento proprio da Massimo D’Antona. In quel protocollo emerge con grande evidenza la visione assolutamente originale e innovativa che Massimo D’Antona aveva sui temi dell’economia e del lavoro.
L’accordo del 1998 era una sorta di prosecuzione e ulteriore ampliamento delle scelte già assunte con il più importante Protocollo di concertazione del 23 Luglio 1993 che aveva consentito al Paese di uscire da una pesante condizione di difficoltà grazie anche alla scelta di rendere stabile e continuo il confronto tra Governo, organizzazioni sindacali e associazioni datoriali. Nella logica dell'accordo del 1993, il patto del 1998 ampliava alcune scelte e immaginava nuovi orizzonti sia della politica che delle forze sociali nella logica dell'ammodernamento del Paese e di piena integrazione all'interno dell'Unione Europea. Le più importanti linee direttrici del patto del 1998 erano il rafforzamento della concertazione, con la sua estensione a tutti i livelli istituzionali, sulla Pubblica amministrazione riorganizzazione e semplificazione, sulla riduzione del cuneo fiscale, con la riduzione dell’Irpef e del carico contributivo, sulla scuola e formazione, con l'elevazione dell'età per l'obbligo scolastico e l'ampliamento della formazione continua, con nuovi momenti di lotta all’evasione fiscale ed al lavoro sommerso.
Sulle questioni del governo del mercato del lavoro, Massimo D'Antona era convinto della necessità di introdurre la cultura nuova della unificazione delle regole sul lavoro fra "privato" e "pubblico", guardando al Ministero del lavoro come unica sede istituzionale nella quale creare quel ruolo di "amministrazione delle politiche del lavoro" e superando la contemporanea esistenza del Ministero della Funzione Pubblica per la gestione dei contratti pubblici.
Sulla pubblica amministrazione va ricordato che, le uniche azioni che hanno in qualche modo rappresentato un'importante spinta all’innovazione ed alla semplificazione sono quelle sostenute da Massimo D'Antona, che hanno consentito di dar vita alla cosiddetta Privatizzazione del diritto del lavoro pubblico, portate avanti nel 1993 (Governo Amato) e nel 1998 (Governo D'Alema). Due provvedimenti molto complessi e articolati ma che, fra le molte innovazioni contenute, sancivano la piena responsabilizzazione della dirigenza pubblica anche con l'introduzione del principio fondamentale della separazione tra le funzioni di indirizzo politico e le funzioni di gestione ma, in particolare, con la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro e la generalizzata applicazione delle norme del codice civile nel pubblico impiego.
Soprattutto, va evidenziato, le nuove norme si proponevano di accrescere l’efficienza delle amministrazioni e di razionalizzare il costo del lavoro pubblico; per la prima volta nella gestione degli uffici venivano introdotti i principi di speditezza, economicità e trasparenza.
Impegnato nel continuo adeguamento delle norme di riforma del pubblico impiego stava lavorando alla stesura del "testo unico sul lavoro pubblico"; testo che vide, comunque, la luce nel 2001 come decreto legislativo n. 165.
Purtroppo la sua morte prematura e le vicende politiche che portarono qualche mese dopo alla caduta del Governo D’Alema, hanno lasciato incompiute molte delle cose che aveva immaginato Massimo D’Antona sia per quanto riguarda la attuazione del protocollo del dicembre del ’98 che anche per ciò che concerne la esigenza di successivi interventi di adeguamento sulle norme di riforma della pubblica amministrazione.
Massimo D'Antona aveva sempre avuto un rapporto speciale con il sindacato. Nella Consulta giuridica e nell'Ufficio legale della CGIL, nelle sedi unitarie di dibattito sui problemi giuridici dell'occupazione e del lavoro, il suo maggiore impegno è consistito nella ricerca di percorsi e di soluzioni che connotassero il sindacato come soggetto della trasformazione e dell'innovazione, spesso mettendo in guardia da posizioni e impostazioni di mera conservazione dell'esistente. Proprio perché rafforzato da questa esperienza condotta nel sindacato e contestualmente convinto della esigenza di adeguamento del nostro Paese agli standard di gestione del lavoro presenti nei paesi più forti dell'Europa occidentale, era molto attento a tutte le nuove forme di organizzazione del lavoro ed era profondamente impegnato sul tema della flessibilità nel mercato del lavoro, un tema per il quale spesso incontrava molte resistenze proprio sul fronte sindacale il quale manifestava la giustificata preoccupazione che se ne potesse fare un uso distorto.
Invece, da uomo di sinistra e con grandi esperienze a fianco del sindacato, era convinto che il sindacato dovesse fare propria la sfida della flessibilità, esattamente perché era consapevole dell'esigenza di andare verso quella direzione, al passo con il contesto europeo. Era favorevole, quindi, alla introduzione di nuove forme di flessibilità a condizione, però, che le stesse fossero accompagnate da tutele forti che garantissero a ogni individuo/lavoratore la possibilità di portare avanti il suo progetto di vita nel rispetto della dignità di ognuno.
Purtroppo, oggi le forme contrattuali flessibili sono presenti in gran numero nella nostra legislazione del lavoro con l'evidente punto debole della assenza di garanzie in una pericolosa situazione di proliferazione delle situazioni di precarietà non protette.
Da questo punto di vista non possiamo permetterci di lasciare passare ancora troppo tempo: c'è l'esigenza di introdurre tutte le tutele possibili proprio su quelle forme contrattuali flessibili che oggi relegano i lavoratori al rango di cittadini di serie B. Su questo tema il pensiero di Massimo D'Antona è ancora oggi di straordinaria attualità.
Ma ci tengo a sottolineare che proprio dalla lettura del protocollo del 1998 si capisce benissimo che Massimo D’Antona era uno dei più motivati sostenitori della politica della concertazione perché era convinto che il pieno coinvolgimento e la responsabilizzazione delle parti sociali nelle scelte che riguardavano i temi dell’economia e del lavoro rappresentava una grande risorsa per l’uscita dalle situazioni di difficoltà in cui si trovava il Paese in quegli anni.
Ed il modello concertativo che vedeva Massimo D’Antona non riguardava solo il livello del Governo centrale ma egli immaginava che lo spirito di disponibilità alla discussione ed alle intese sui problemi della società potesse ricrearsi a tutti i livelli istituzionali al centro ed in periferia.
Nella Rivista on line Lavoro@Confronto (lavoro-confronto.it) come Fondazione Massimo D’Antona abbiamo fin dall'inizio scelto una precisa linea editoriale di totale neutralità ed autonomia rispetto alla politica ed al Governo in carica. Tuttavia, proprio in sintonia con questa nostra equidistanza dalle posizioni politiche e perché fermamente convinti della lungimiranza delle riflessioni di Massimo D'Antona sul tema della concertazione, continuiamo a sostenere che una maggiore disponibilità di tutti i governi a sedersi ad un tavolo ed a discutere con le parti sociali (datori di lavoro e lavoratori) sulle scelte che riguardano la vita delle imprese, dei lavoratori e dei cittadini in genere consentirebbe di poter assumere le decisioni necessarie al Paese tenendo conto dei problemi e delle sofferenze espressi da coloro che effettivamente rappresentano pezzi importanti della nostra società. E ciò, si badi bene, senza pretendere di minare in alcun modo l’autonomia e la responsabilità del Governo che, in ogni caso, ha il diritto/dovere di decidere in ultima istanza anche in presenza di eventuali dissensi provenienti dalle associazioni di rappresentanza.
Insomma, la storia e i risultati darebbero oggi pienamente ragione a Massimo D’Antona ma le scelte operate dai Governi succedutisi negli ultimi anni non sempre hanno mostrato quella necessaria disponibilità e lungimiranza. Io sono convinto che una concertazione matura possa ancora oggi aiutare a risolvere molti dei gravi problemi che in questo momento affliggono il nostro Paese.
[*] Direttore della Fondazione Prof. Massimo D’Antona (Onlus)
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