Seconda parte
Elemento di continuità con il passato è il requisito dell’interesse del distaccante.
L’art. 30, co. 1, del D. Lgs. 276/2003 si limita a precisare che il datore di lavoro distaccante deve «soddisfare un proprio interesse».
Per la definizione dell’interesse occorre, pertanto, far ricorso alla elaborazione giurisprudenziale pregressa.
In particolare, secondo l’opinione prevalente l’interesse può ritenersi coincidente con una qualsiasi motivazione tecnica, produttiva ed organizzativa del distaccante, purché sia specifico, (deve avere, cioè, un’esatta individuazione, senza riferimenti generici), rilevante, (ovvero deve produrre riflessi di carattere organizzativo e produttivo) e persistente per tutto il periodo in cui il distacco è disposto.
L’interesse non può essere valutato astrattamente, ma richiede di volta in volta un’indagine di merito, con riferimento all’attività in concreto espletata dal datore di lavoro[9].
Con la Circolare n. 3 del 2004, il Ministero del Lavoro ha precisato che l’art. 30 del D. Lgs. n. 276/2003 si presta ad ampia interpretazione, perciò il distacco può essere legittimato da qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui.
La fornitura di manodopera costituisce, infatti, oggetto del diverso contratto somministrazione professionale di lavoro, il cui esercizio prevede, tra l’altro, una particolare autorizzazione ministeriale per potere esercitare questo tipo di attività.
Il distacco si differenzia dalla somministrazione proprio per l’interesse del distaccante[10].
In quest’ultima, l’interesse è quello al lucro proprio dell’impresa; nel caso del distacco, invece, l’interesse del distaccante non è direttamente connesso al perseguimento dello scopo dell’impresa, ma è intrinseco al sinallagma funzionale proprio del rapporto di lavoro, ossia si sostanzia nell’interesse del datore al «coordinamento del lavoro in funzione della produzione».
Possono, ad esempio, legittimare il distacco l’addestramento delle maestranze dopo la fornitura di un macchinario o di un impianto, la formazione professionale, la collaborazione per la migliore riuscita del prodotto.
Ciò che rileva è che continui ad operare, sotto il profilo funzionale, la causa del contratto di lavoro tra il datore distaccante ed il lavoratore.
Infine, qualora il distacco del dipendente avvenga nell'ambito di un gruppo di imprese che abbiamo sottoscritto un contratto di rete di impresa (ai sensi del comma 4-ter dell'articolo 3 del Dl 5/2009), l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente, e si presume iuris et de iure, in forza dell'operare della rete, che è un contratto con cui più imprenditori, perseguendo scopi comuni in termini di innovazione e di competitività, stabiliscono rapporti di collaborazione nell'esercizio dell'impresa[11][12].
L’art. 30 del decreto n. 276/2003 positivizza il requisito della temporaneità del distacco.
Nulla, tuttavia, specifica sulle caratteristiche del menzionato requisito.
Si ritiene, pertanto, implicito il rinvio della norma ai risultati raggiunti sul punto dalla precedente elaborazione giurisprudenziale.
Secondo l’opinione tradizionale, la temporaneità non va intesa come brevità o predeterminazione dell’assegnazione ma come non definitività della stessa.
Il distacco è considerato lecito anche quando viene attivato per lunghi periodi, purché non sia definitivo e risulti legato ad una data certa o al compimento di un’opera o di un servizio[13].
Se manca la temporaneità del distacco non si configura una semplice modificazione della prestazione lavorativa del lavoratore, ma si realizza una diversa ipotesi contrattuale: o la cessione del contratto, che per sua natura richiede il consenso del lavoratore, ovvero il trasferimento del lavoratore, nell’ipotesi in cui datore di lavoro distaccante e distaccatario coincidono, salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 2103[14].
La giurisprudenza è unanime nel ritenere che la destinazione del lavoratore presso l’azienda distaccataria debba avere una durata coincidente con quella dell’interesse del datore di lavoro distaccante[15].
Si afferma, in particolare, che il distacco può durare finché permane l’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua opera a favore di un terzo.
Una volta che questo interesse sia esaurito, cessa la giustificazione del distacco, con conseguente dovere del lavoratore di riprendere il servizio presso la sede originaria.
Non è quindi la durata limitata del distacco a determinare l’interesse, ma è il perdurare di quest’ultimo a condizionarne la temporaneità[16].
La durata limitata nel tempo mira a scongiurare operazioni fraudolente (tale, ad esempio, è il caso in cui un’impresa distacchi simulatamente un proprio lavoratore presso un’altra per non far superare a quest’ultima determinati limiti dimensionali) ed evitare, altresì, una prolungata (e indefinita) estromissione del lavoratore dalla propria comunità lavorativa[17].
Ai sensi dell’art. 30, comma 1, del D. Lgs. 276/2003 deve avere luogo «per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa».
Come accennato in precedenza, si tratta di un requisito non presente nella elaborazione giurisprudenziale precedente alla novella del 2003.
La disposizione sul punto ha dato origine a differenti interpretazioni. Secondo alcuni Autori, la previsione in esame comporterebbe la necessità di un’intesa tra distaccante e distaccatario diretta a «rideterminare l’attività oggetto della messa a disposizione della prestazione lavorativa»[18].
In questo senso, si ritiene che l’individuazione dell’attività lavorativa sarebbe finalizzata a mettere a conoscenza il lavoratore delle “nuove” mansioni. Pertanto, una volta individuata, di comune accordo tra il datore di lavoro distaccante ed il distaccatario, l’attività lavorativa che dovrà svolgere il prestatore, l’intesa dovrà essere comunicata al lavoratore.
Secondo altri, invece, il riferimento allude al fatto che l’esercizio dell’unilaterale potere direttivo deve essere dettagliatamente circoscritto.
Il datore di lavoro sarebbe, dunque, tenuto ad esplicitare l’interesse che motiva il ricorso al distacco, o quantomeno ad offrire gli elementi perché esso possa essere più facilmente percepibile.
Si tratterebbe, pertanto, di un modo per evitare che il datore di lavoro distaccante possa arbitrariamente variare l’oggetto della prestazione lavorativa[19].
Il distaccatario, a sua volta, potrà impiegare la prestazione del distaccato limitatamente all’oggetto individuato, e legittimo sarà il rifiuto da parte del lavoratore, di una prestazione che esuli dalla determinata attività che è stato chiamato a compiere.
Da ultimo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, intervenuto di recente in risposta ad interpello del 2 febbraio 2011 n. 1, ha chiarito che «il lavoratore distaccato deve essere adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante».
Prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 276/2003, la dottrina e la giurisprudenza hanno espresso differenti opinioni circa la necessità del consenso del lavoratore al distacco.
Una parte della dottrina aveva prospettato la necessità del consenso del lavoratore, desumendola in via deduttiva dalla natura giuridica del distacco.
In particolare, il consenso del lavoratore si poneva come elemento costitutivo della fattispecie nell'opinione di chi aveva ravvisato nel distacco un'ipotesi di cessione del contratto di lavoro (art. 1406 c.c.), in cui il lavoratore sarebbe stato il contraente ceduto, o di contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.), in cui il lavoratore sarebbe stato il promittente.
Anche in giurisprudenza la questione non era pacifica.
Secondo un primo orientamento, ormai risalente nel tempo, il rifiuto del lavoratore era legittimo qualora nella prestazione di lavoro vi fosse una qualificazione intuitu personae o, comunque, qualora si trattasse di svolgere mansioni particolarmente qualificate[20].
Un diverso orientamento, sviluppatosi più di recente, escludeva del tutto la necessità del consenso del lavoratore in ragione del dovere di obbedienza gravante sul prestatore ai sensi dell’art. 2104 c.c.[21].
Sulla questione è intervenuto l’art. 30, comma 3 del D. Lgs. 276/2003, il quale, stabilendo che «il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato» [22] ha definitivamente avallato tale secondo orientamento.
Per opinione unanime, infatti, la circostanza che solo in caso di mutamento di mansioni è richiesto che il distacco avvenga con il consenso del lavoratore permette di dedurre, a contrario, che il consenso del lavoratore non è elemento costitutivo del distacco nell’ipotesi ordinaria di cui al comma 1[23].
Quanto alla individuazione dell’ambito di applicazione della disposizione, si discute sul significato da dare al "mutamento di mansioni" che ad esso sia inerente.
In via preliminare, appare condivisibile la tesi che respinge ogni interpretazione riduttiva della portata della previsione normativa, che non distingue in termini qualitativi e/o quantitativi un mutamento di mansioni. La formulazione testuale della disposizione pare, infatti, indicare, in linea di massima, qualsiasi mutamento apprezzabile come tale.
Deve, peraltro, escludersi che il distacco comporti un mutamento di mansioni per il solo fatto che è diverso il soggetto beneficiario della prestazione lavorativa o per il solo fatto che è diverso il contesto organizzativo nel cui ambito viene ad essere inserita e coordinata la prestazione del lavoratore distaccato[24].
Se così fosse, la definizione di cui al c. 1 dell'art. 30, che si pone come esaustiva ai fini della configurazione del distacco, avrebbe dovuto essere altrimenti formulata e la previsione di cui al c. 3 dello stesso art. 30 sarebbe stata o superflua o contraddittoria[25].
L’opinione prevalente ritiene che la disposizione in esame intenda fare riferimento ad un mutamento di mansioni «di carattere sostanziale», nel senso che si debba accertare, in concreto, se vi sia una variazione apprezzabile del contenuto delle mansioni, nei limiti in cui tale variazione è consentita ai sensi dell’art. 2103, che disciplina il cd. ius variandi del datore di lavoro.
Deve cioè trattarsi di una modifica legittima, ai sensi del menzionato articolo.
Si è, pertanto, pacificamente escluso che il comma in questione potesse trovare applicazione nel caso in cui il lavoratore a seguito del distacco subisse una variazione peggiorativa delle mansioni cui originariamente era stato addetto presso l’impresa distaccante. In questo caso, infatti, operava in pieno il divieto di cui all’art. 2103 c.c..
Parte della dottrina[26], ha ritenuto non necessario il consenso in caso di assegnazione a mansioni, diverse, ma equivalenti, ritenendo che diversamente opinando si sarebbe corso il rischio di irrigidire eccessivamente la fattispecie, anche in considerazione del fatto che il mutamento di mansioni è un evento quasi implicito nel distacco, dovendosi il lavoratore inserire in una realtà produttiva diversa.
La tesi è stata ampiamente criticata in quanto trascurava la circostanza che proprio in tal caso, che si trova al confine con un possibile mutamento in peius, il lavoratore avesse maggior bisogno della tutela affidata al suo legittimo "dissenso".
Lo stesso Ministero del Lavoro, con Circolare interpretativa n. 3 del 15 gennaio 2004, ha successivamente chiarito che il vincolo rappresentato dal consenso del lavoratore era finalizzato «a ratificare l’equivalenza delle mansioni nell’ipotesi in cui, pur in assenza di demansionamento, vi sia una specializzazione e/o una riduzione dell’attività svolta con riguardo al patrimonio professionale del lavoratore».
Tali conclusioni, valide fino al recente passato, vanno oggi rimodulate alla luce della nuova formulazione dell’art. 2103 c.c., ad opera del D. Lgs. n. 81/2015.
Quest’ultimo ha, difatti, sostituito integralmente l’art. 2103 c.c., introducendo espressamente, al secondo comma, il potere del datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, nell’ipotesi di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, purché si tratti di mansioni «appartenenti al livello di inquadramento inferiore» e rientranti nella medesima categoria legale di inquadramento.
Fermo, dunque, il disposto di cui all’art. 2103 c.c. nella sua nuova formulazione, senz’altro applicabile in caso di distacco, deve ritenersi che qualsiasi mutamento di mansioni, in senso orizzontale o verticale, finanche peggiorativo (nei limiti consentiti dalla norma citata), impone al datore di lavoro la necessità di provvedere con il consenso del lavoratore.
La mancata acquisizione del consenso da parte del datore di lavoro rende legittimo l’eventuale rifiuto del lavoratore di mettersi a disposizione del distaccatario, senza incorrere in sanzioni disciplinari.
Infine, in assenza di indicazioni da parte del legislatore, si ritiene che il consenso possa essere reso anche tacitamente o per fatti concludenti.
Ai sensi della seconda parte del terzo comma dell’art. 30, il distacco che comporti il trasferimento ad un’unità produttiva sita a distanza superiore ai 50 chilometri è consentito solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive, sostitutive.
La formulazione della norma richiama la disposizione codicistica che disciplina il trasferimento del lavoratore.
A ciò aggiunge l’indicazione delle ragioni sostitutive (analogamente a quanto previsto dal D. Lgs. 6 settembre 2001 n. 368 per indicare le causali che legittimano il ricorso al contratto a tempo indeterminato)[27].
Ne consegue che nell’ipotesi di mutamento del luogo della prestazione oltre i 50 km il datore di lavoro avrà l’onere, secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata relativa all’analoga norma in tema di trasferimento, di specificare, a fronte della richiesta da parte del lavoratore, le ragioni che lo inducono a disporre il distacco[28].
Si può argomentare a contrario che, ove il distacco non comporti uno spostamento di tale portata, non sussiste in capo al datore di lavoro l’obbligo di esplicitare l’interesse che lo induce a disporre il distacco.
Tale previsione si pone in termini maggiormente rigorosi rispetto alla elaborazione giurisprudenziale antecedente all’entrata in vigore del decreto 276/2003, che riteneva non riconducibile il distacco, in ragione della sua temporaneità, alla disciplina del trasferimento di cui all’art. 2103 c.c., ed escludeva, pertanto, la necessità della presenza di esigenze tecniche, organizzative e produttive.
Secondo l’opinione prevalente della dottrina[29] la disciplina contenuta nel terzo comma dell’art. 30 pone seri problemi di coordinamento con il disposto del comma 1 del medesimo articolo, a causa della difficoltà di distinguere gli elementi oggettivi sottesi all’interesse del distaccante che giustificano un ordinario provvedimento di distacco e quelli che invece possono autorizzare un distacco che implichi uno spostamento presso l’unità produttiva del distaccatario oltre i 50 km dal luogo di abituale svolgimento della prestazione.
In particolare, si è rilevato che se l’interesse del distaccante, che legittima il distacco ai sensi dell’art. 30, comma 1, coincidesse con le ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive di cui al comma in esame, la previsione risulterebbe superflua.
Per non privare di autonomo significato la disposizione in commento si è, pertanto, ritenuto che non sussista identità tra l’interesse che legittima il distacco e le ragioni che giustificano il trasferimento. Si tratterebbe, dunque, di ulteriori ragioni, rispetto al mero interesse, che legittimano l’assegnazione del lavoratore ad una sede lontana e per la cui individuazione in concreto potrebbe essere utile il rinvio alla giurisprudenza sviluppatasi nell’ambito dell’art. 2103 c.c. Un ulteriore problema interpretativo concerne, inoltre, la previsione tra le causali che giustificano il trasferimento, di ragioni sostitutive.
Il riferimento contenuto nella norma sembra riferibile ad esigenze (sostitutive) proprie del beneficiario del distacco, dando così rilievo non alla situazione del datore di lavoro distaccante ma a quella dell’impresa che riceve il lavoratore.
Tuttavia, questa interpretazione si porrebbe in contrasto con il tradizionale orientamento giurisprudenziale che ritiene illegittimo il distacco del lavoratore presso altro imprenditore allorché le prestazioni di lavoro abbiano esecuzione in favore esclusivo dell'utilizzatore e non invece nell'interesse preminente del datore di lavoro[30].
Per attribuire un senso alla formula in esame si è ritenuto, pertanto, di circoscrivere il riferimento alla mera sostituzione di altro lavoratore già distaccato, per soddisfare il medesimo interesse del datore di lavoro che aveva disposto il primo distacco.
Analogamente tuttavia a quanto si è sempre ritenuto in tema di trasferimento, la prova delle ragioni giustificatrici deve essere fornita dal datore di lavoro e l’intervento giudiziario deve rimanere circoscritto all’accertamento della reale sussistenza delle ragioni addotte.
La Prima Parte è stata pubblicata sul numero 32-33 di Lavoro@Confronto
[9] Cass. lav. 2 novembre 1999, n. 12224, in Not. giur. lav., 2000, pag. 39.
[10] S. MAGRINI, La sostituzione soggettiva nel rapporto di lavoro, op. cit., pag. 58, laddove l’Autore distingue fra distacco e interposizione illecita di manodopera rilevando che nel distacco «la destinazione della prestazione al terzo è per definizione un modo di realizzazione dell’interesse contrattuale del datore di lavoro a disporre organizzativamente del comportamento del lavoratore, nell’intermediazione illecita la destinazione della prestazione all’imprenditore committente non soddisfa altro interesse dell’intermediario che quello al corrispettivo».
[11] Cass. lav. 22 gennaio 2015, n. 1168, in Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 2015, n. 8, pag. 48.
[12] La prassi amministrativa ha ritenuto che la medesima disciplina debba applicarsi per l’interesse del distaccante quando il distacco dei lavoratori avvenga nell’ambito di un gruppo di imprese (Cfr. Min. Lav. Interpello n. 1 del 20 gennaio 2016).
[13] Cass. lav., 2 settembre 2004, n. 17748, in Dir. e prat. lav., 2008, n. 24, pag. 1428.
[14] Cass. Civ. SS.UU. 20 febbraio 1985, n. 1499, in Mass. Giur. Lav., 1985, pag. 151.
[15] Così ad es. Cass. lav. 25 novembre 2010, n. 23933, in Il Sole 24 Ore, Guida al Lavoro, 2011, n. 3, pag. 52, secondo la quale la temporaneità del distacco «non richiede che tale destinazione abbia una durata predeterminata fin dall'inizio, né che essa sia più o meno lunga o sia contestuale all'assunzione del lavoratore, ovvero persista per tutta la durata del rapporto, ma solo che la durata del distacco coincida con quella dell'interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua opera in favore di un terzo».
[16] C. ZOLI, Il distacco del lavoratore nel settore privato, in Dir. Lav., 2003, I, pag. 944; contra, F. LUNARDON, Il distacco del lavoratore nel D. Lgs. n. 276/ 2003, in Giur. piem., 2006, pag. 185, secondo cui «la temporaneità del distacco e` funzione dell’interesse, e non vale di per se´ come requisito autonomo di legittimità del distacco».
[17] V. PUTRIGNANO, Il distacco dei lavoratori, in Dir. Rel. Ind., n. 3, Milano, 2009, pag. 688.; F. SCARPELLI, Sub art. 30, in La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, E. GRAGNOLI, A. PERULLI (a cura di), Padova, 2004, pag. 443.
[18] C. ZOLI, Il distacco del lavoratore nel settore privato, op.cit., pag. 944.
[19] V. PUTRIGNANO, Il distacco dei lavoratori, op.cit., pag. 689.
[20] Cass. lav. 26 maggio 1993, n. 5907, in Giust. Civ. Mass., 1993, pag. 928, secondo la quale il datore di lavoro non avrebbe un potere unilaterale di distacco presso altra azienda, ma, quanto più appare "qualificata" la prestazione da eseguire, tanto più si deve ritenere che sia indispensabile il consenso del lavoratore.
[21] Cass. lav. 7 novembre 2000, n. 14458, in Orient. giur. lav., 2000, I, pag. 968.
[22] Diversi autori hanno criticato questa disposizione, ritenendola un irrigidimento del distacco, il quale se normalmente opera in virtù del normale potere direttivo unilaterale del datore di lavoro, qui richiede invece il consenso del lavoratore distaccando. Cfr. R. DEL PUNTA, La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in AA.VV., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004, pag. 178 e M. P. MONACO, Il distacco del lavoratore, in Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda, M.T. CARINCIC. CESTER, (a cura di), 2004, pag. 217.
[23] Cass. lav. 7 novembre 2000, n. 14458, cit e Cass. lav. 26 maggio 1993, n. 5907, cit..
[24] G. VIDIRI, L’art. 30 del D. Lgs. 276/2003: una norma di difficile lettura, in Mass. Giur. Lav., 2004, pag. 564: per l’Autore la norma sarebbe «priva di qualsiasi razionalità» se fosse riferibile «indistintamente» ad attività lavorative e mansioni spiegate in luoghi diversi, in strutture aziendali nuove e sotto la direzione del destinatario del distacco. Nello stesso ordine di idee è la prevalente dottrina (R. DEL PUNTA, La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, op. cit., pag. 179; M. P. MONACO, M. P. MONACO, Il distacco del lavoratore, op. cit., pag. 218).
[25] S. MAGRINI, La nuova disciplina del distacco, in Lav. prev. Oggi, 2003, n. 12, pag. 1890.
[26] C. ZOLI, Il distacco del lavoratore nel settore privato, op.cit., pag. 945; M.
GAMBACCIANI, La disciplina del distacco nell'art. 30 del D. Lgs. n. 276 del 2003, in Arg. dir. lav., 2005, n. 1, pag. 229.
[27] Secondo alcuni Autori invece si tratterebbe di una scelta consapevole, volta a rimarcare che l’istituto del distacco, al pari del contratto a termine, deve assolvere ad esigenze aziendali di carattere temporaneo. Così () G. VIDIRI, L’art. 30 del D. Lgs. 276/2003: una norma di difficile lettura, op. cit., pag. 573.
[28] L’omessa previsione di una specifica distanza che renda applicabile la disciplina del trasferimento comporta ancora oggi elementi di incertezza. Sul punto P. ICHINO, Il contratto di lavoro, op., cit., pag. 332.
[29] F. SCARPELLI, Distacco, in La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Commentario al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, E. GRAGNOLI e A. PERULLI (a cura di), Padova, 2004, pag. 448.
[30] Cass. lav. del 10 giugno 1999, n. 5721, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, 1/4, pag. 36.
[*] Funzionario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2016 ha conseguito il Master Universitario di Secondo livello su Legal Advisor & Human Resources Management. Dottoranda di ricerca in Scienze Giuridiche presso l'Università degli Studi di Messina. Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione cui appartiene
Seguiteci su Facebook
>