Nel carcere minorile di Bologna ha preso il via una iniziativa unica in Italia ed in Europa per consentire ai ragazzi di acquisire nuove competenze da “spendere” una volta scontata la pena. Diego Bertocchi direttore generale di Fomal, l’Ente gestore del progetto, ne illustra i tratti salienti
Se ne discuteva oramai da qualche anno ma – dopo un lungo periodo formativo che ha interessato tutti i giovani detenuti dell’istituto penale minorile “Siciliani”, che si trova in via del Pratello nel cuore storico di Bologna – dallo scorso mese di gennaio il progetto è diventato realtà. Si sta parlando dell’Osteria “Brigata del Pratello”[1], una esperienza formativa unica in Italia, ed anche in Europa, per permettere ai ragazzi, che stanno scontando una pena, di mettere in pratica le conoscenze acquisite nel corso della formazione e sviluppare nuove competenze che potrebbero risultare utilissime una volta usciti dal carcere. La fase pratico – esecutiva del progetto prevede infatti che una – due volte al mese vengano organizzate, per una quarantina di ospiti, delle cene ad offerta libera, servite all’interno del carcere, in un’ala del chiostro dell’antico monastero restaurato. In tal modo gli interessati, dopo essersi prenotati sul sito della “Brigata del Pratello” ed aver superato i necessari controlli di sicurezza, potranno cenare in carcere con amici, parenti e colleghi.
In cucina a preparare i piatti ed in sala a servire le varie portate agli ospiti, ci sono alcuni dei ragazzi detenuti al Pratello che, preparando i piatti e servendoli alle persone che hanno deciso di vivere questa esperienza, si formano come cuochi e camerieri, ed aggiungono in tal modo un ulteriore bagaglio di competenze “spendibili” al loro rientro nella società, in qualunque momento ciò avvenga.
Il ricavato delle cene serve a sostenere i costi aggiuntivi per personale esterno impegnato nel progetto, materie prime ed attrezzature.
Nel seguito si cercherà di descrivere al meglio questo importante progetto che da un lato punta a migliorare le competenze relazionali, tecniche e professionali dei giovani detenuti e dall’altro si propone di favorire esperienze di convivialità con i cittadini bolognesi e con chiunque voglia condividere incontri e sapori inediti in un contesto unico, contribuendo a dar voce ad una storia nascosta della città. Infatti una delle “scommesse” è che la “Brigata del Pratello” rappresenti per l’intera comunità bolognese, un luogo accogliente, da frequentare per sostenerne la sfida educativa.
Su questo periodico si è già parlato, più volte, del lavoro delle persone detenute[2] con la consapevolezza che la creazione di lavoro all’interno del carcere, è strumento prioritario per favorire il reinserimento nella società, abbattere la recidiva e trasformare i detenuti da peso a risorsa sociale. Questo è vero non solo per gli adulti ma anche, e soprattutto, per i minori. L’Associazione Antigone che si occupa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale, ha avuto modo di evidenziare più volte che la giustizia minorile in Italia “è un sistema che funziona e del quale dobbiamo essere fieri in Europa. Riesce realmente a residualizzare il carcere e relegarlo a numeri minimi. Tuttavia, in questi numeri ci sono sempre le stesse persone: gli stranieri, i ragazzi più marginali del Sud Italia, tutti coloro per i quali la fragilità sociale e l’assenza di legami sul territorio rende difficile trovare percorsi alternativi alla detenzione”[3].
Da quanto appena citato sembra più che evidente che nel sistema della giustizia penale minorile, assai più che in quello degli adulti, il carcere è inteso come misura di ultima istanza, l’extrema ratio a cui si ricorre quando ogni altra strada è preclusa. E non poteva essere diversamente anche in ragione del dettato costituzionale che, all’art. 31 co.2, stabilisce in modo chiaro e netto che la Repubblica “protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Questa particolare e grande attenzione nei confronti del mondo della giustizia minorile è presente nell’ordinamento giuridico italiano fin dai primi anni ’50 quando, con la legge 25 luglio 1956 n. 888, venne introdotta la figura del “giudice educatore” e definiti specifici percorsi finalizzati a coniugare aspetti di responsabilizzazione e di recupero del minore inserendolo, per quanto possibile, in specifiche iniziative educative[4] tenendo sempre costantemente “presenti le peculiarità che caratterizzano e contraddistinguono inconfondibilmente l’età minore, detta età evolutiva, dalla maggiore età”.
Questa linea è stata sempre rimarcata nei provvedimenti successivi fra cui si ricordano a titolo esemplificativo il D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, che ha dettato le “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni” ed il recentissimo D.Lgs. 2.10.2018 n. 121 con cui è stata approvata la “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni”.
Quattro sono i principi ispiratori del primo provvedimento citato: 1) di adeguatezza, 2) di minima offensività, 3) di destigmatizzazione e 4) di residualità della detenzione, con la previsione di misure tese a responsabilizzare il minore e a ridurre l’impatto costrittivo ed afflittivo, di modo che la detenzione (sia cautelare o di esecuzione della pena) sia limitata ai casi in cui vi siano insopprimibili preoccupazioni di difesa sociale, altrimenti non tutelabili. Va da sé che tale ultimo importante principio sancisce il primato delle esperienze educative del minore sulla stessa prosecuzione del processo penale che viene pertanto, in un certo senso, ad “autolimitarsi”. In tale ottica ne è ammessa anche la sospensione, per dare avvio alla cosiddetta “messa alla prova”
che contempla un programma finalizzato ad approfondire le conoscenze sulla personalità del minore finalizzato a valutare le sue capacità di cambiamento e di recupero.
Il recente D.Lgs. n. 121/2018 prosegue su tale linea ed introduce una normativa specifica per l’esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni e per gli “under 25” (c.d. giovani adulti) per reati commessi quando non avevano la maggiore età. La normativa in argomento tiene conto delle esigenze di tali soggetti e tende a favorirne la responsabilizzazione e la preparazione alla vita libera nonché a prevenire la commissione di ulteriori reati, con l'intento di adeguare il quadro normativo alle numerose pronunce della Corte Costituzionale e agli impegni assunti dall'Italia con la sottoscrizione di atti internazionali ed europei[5]. Fra le tante disposizioni contemplate dalla normativa de quo appare di particolare rilevanza quella disciplinata dall’art. 14 secondo cui la permanenza di un minore in istituto penale si deve svolgere in conformità ad un progetto educativo personalizzato che tenga conto delle attitudini e delle caratteristiche della personalità del giovane condannato. Il progetto contiene altresì “indicazioni sulle modalità con cui coltivare le relazioni con il mondo esterno e attuare la vita di gruppo e la cittadinanza responsabile (anche nel rispetto della diversità di genere) e sulla personalizzazione delle attività di istruzione, di formazione professionale, di istruzione e formazione professionale, nonché sulle attività di lavoro, di utilità sociale, culturali, sportive e di tempo libero utili al recupero sociale e alla prevenzione del rischio di commissione di ulteriori reati”.
Come ricordato in precedenza, nella tradizione italiana della giustizia minorile, la carcerazione è fortunatamente residuale. I numeri dei ragazzi detenuti sono estremamente bassi: i minorenni sono meno di duecento ed i giovani adulti, meno di trecento. La fotografia di un istante in uno qualunque dei carceri minorili sparsi per l’Italia ci rappresenta una situazione di un Istituto con un numero di ospiti più o meno paragonabile a quello di una classe affollata in una scuola metropolitana. Numeri così bassi consentono progettualità innovative e un’attenzione educativa individuale che non ha paragoni con la situazione carceraria degli adulti[6].
Ed in effetti sono numerosi i progetti educativi e di formazione professionale, posti in essere nei vari carceri minorili d’Italia. A Bologna nell’Istituto Penale Minorile “Siciliani” - da tutti i bolognesi conosciuto come il “Carcere del Pratello” perché ubicato a metà di Via del Pratello, nell’ex convento delle monache francescane, il posto dove una volta venivano mandati i cosiddetti “discoli” – è stata realizzata una importante iniziativa formativa chiamata “Brigata del Pratello”, in assoluto la prima Osteria formativa aperta all’interno di un carcere minorile. L’Ente che si è occupato dell’intero percorso formativo è il Fomal (acronimo che sta per Fondazione Opera Madonna del Lavoro) accreditato dalla Regione Emilia-Romagna per la formazione professionale nell’ambito della ristorazione.
“Il progetto che abbiamo realizzato – dice con soddisfazione Diego Bertocchi direttore generale di Fomal – ha iniziato a prendere forma nel 2010, quando dalla collaborazione tra l’Ente che dirigo e l’Istituto Penale Minorenni di Bologna e con il determinante sostegno economico della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e della Regione Emilia Romagna, nacque all’interno del carcere minorile, il primo laboratorio di ristorazione. Uno strumento importante – continua Bertocchi – per garantire ai giovani detenuti il diritto a formarsi ed a reinserirsi nella società attraverso il lavoro, il più potente strumento di inclusione sociale. Ogni attività formativa avviata da Fomal – sono sempre parole di Bertocchi – ha sempre la “persona al centro” ed anche in questo progetto è stato predisposto un percorso, che abbiamo chiamato “una esperienza dentro”, per dare modo ai giovani di relazionarsi col mondo esterno in modo attivo e stimolare la maturazione di un’autonomia legata alla responsabilità e favorire, in tal modo, un’inclusione positiva nella società e nel mercato del lavoro”.
Proprio in ragione di tale obiettivo ha iniziato a prendere forma l’idea di aprire al pubblico una Osteria per mettere in pratica le abilità e le competenze acquisite dai giovani detenuti nei corsi teorici. Forse la scintilla è scoccata anche per il fatto di trovarsi in Via del Pratello una tipica “social street” che non dorme mai. Una strada che, quasi sicuramente, è la più cosmopolita di Bologna, punteggiata di osterie e bar dove è sempre possibile mangiare qualcosa di nostrano o di multietnico, dai tortellini al cous cous.
“L’Osteria – ci tiene a precisare Bertocchi – è nata e poi ha preso forza ed alla fine è riuscita a superare le varie difficoltà, in quanto è uno strumento straordinario che rappresenta per i partecipanti al progetto un importante banco di prova dove “testare” e mettere in pratica con clienti veri, quanto appreso. Inoltre i giovani detenuti vivono questa esperienza con entusiasmo, in quanto la considerano una seconda chance da non lasciarsi sfuggire”.
Infatti per i detenuti, anche se di giovane età, il lavoro non è solo una occupazione ma è, prima di tutto, la soddisfazione di un bisogno, una ragione di vita, una opportunità a livello personale per rimettersi in gioco e per riscoprire risorse, abilità e potenzialità che molto spesso non sapevano nemmeno di possedere e che, all’interno di un sistema relazionale, consentono di riacquistare fiducia in se stessi.
“Con queste premesse – prosegue Bertocchi – tutti i giovani inseriti nel progetto[7] hanno frequentato con entusiasmo i corsi fondamentali ed obbligatori per lavorare in qualunque area di un ristorante, dalla cucina, alla sala ed al bar. Ciascun partecipante è stato formato per ciascuna di queste tre aree e nell’attività si alterna in ognuna di esse con gli altri detenuti”.
Le materie trattate sono risultate Merceologia, Economia, Igiene e sicurezza alimentare con applicazione del sistema Haccp, Tecniche di cucina, Predisposizione dei servizi di sala e bar. Gli allievi hanno anche imparato come calcolare e gestire il “food cost” (che sarebbe il rapporto tra il costo delle materie prime impiegate nella preparazione di un piatto ed il prezzo di vendita) e, soprattutto, come realizzare un menù sostenibile in base a tali calcoli.
“Un tema, molto importante, dell’attività formativa– evidenzia il direttore di Fomal – ha riguardato la “ricerca attiva del lavoro” per insegnare ai giovani detenuti come avvicinarsi al mondo del lavoro, come scrivere un Curriculum vitae ed una volta assunti quali sono i loro doveri ed i loro diritti”.
L’attività dell’Osteria è partita il 10 ottobre dell’anno passato e dopo una fase “sperimentale” di un paio di mesi, da gennaio è aperta al pubblico. Ogni mese è in programma una cena ad offerta libera per 40 – 45 commensali che si debbono prenotare con congruo anticipo sul sito della Brigata del Pratello, allegare un documento di identità ed attendere l’esito favorevole delle procedure e dei controlli di sicurezza. Infatti essendo la location all’interno del carcere, l’accoglimento della prenotazione sarà subordinato all’insindacabile parere dell’Autorità giudiziaria reso noto via mail a coloro che si sono prenotati.
Sempre nel sito sono indicate le date, i temi culinari ed i menù. Ad esempio il prossimo 24 aprile è in programma la “serata di mare” dove sarà possibile degustare tartellette di salmone e kiwi, lasagne ai frutti di mare, seppie con crostone, millefoglie di patate e torta al limone.
Nella cena del 15 maggio, con tema “serata contadina”, arriveranno sul tavolo bocconcini di salumi rivisitati con piadina e crescentine fritte, gramigna paglia e fieno con salsiccia e nocciole, tournedos di maiale al sangiovese, patate con riccioli croccanti e zucchine e salame al cioccolato. Il 12 giugno ci sarà la “serata gourmet” con assaggi di crespellina dolce di Parma e ricotta, risotto al teroldego e mirtilli, filetto di bovino adulto con aceto balsamico, erbette alla romagnola e piadina e torta di tagliatelle. Già a scrivere di tali bontà viene l’acquolina in bocca.
“Ritengo importante sottolineare – continua Bertocchi – che i menù di ogni cena, dall’antipasto al dolce, sono pensati dai ragazzi, ovviamente con la supervisione degli chef. Ogni evento vede impegnati 6 – 8 giovani detenuti, equamente ripartiti tra cucina e sala, con l’affiancamento di due cuochi (Mirko Gadignani storico chef del Bologna Calcio e Alberto Di Pasqua) e del maître Fabrizio Cariati. Tali professionisti stanno seguendo i ragazzi da tanti anni e sono entusiasti dei risultati conseguiti. Per la preparazione delle varie pietanze – ribadisce Bertocchi - si fa largo uso delle verdure coltivate nell’orto all’interno del Pratello e l’addobbo dei tavoli del ristorante è garantito dalle varie composizioni realizzate dai disabili seguiti sempre da Fomal”.
Le persone ammesse alla cena vengono accolte all’entrata del carcere con un aperitivo di benvenuto e poi entrano nella parte detentiva, per raggiungere la sala ristorante, sotto lo sguardo attento ma discreto del personale della Polizia penitenziaria.
Come è facile immaginare è una esperienza coinvolgente, anche emotivamente, fin dal momento in cui si entra nel carcere, oltrepassando alcune cancellate che vengono aperte e subito richiuse dopo il passaggio degli ospiti. Quando poi i giovani detenuti iniziano a portare le varie portate, spiegando per ogni piatto cosa ci si appresta a degustare, si rimane colpiti dalla loro professionalità e competenza. Alla fine della serata la “Brigata” al completo, si presenta in sala come si usa fare nelle cene di gala. L’applauso sentito che accoglie i giovani, cuochi e camerieri, li gratifica delle fatiche ed aggiunge, sicuramente, un ulteriore tassello al loro percorso di rigenerazione sociale.
Al momento del congedo a tutti i partecipanti vengono donati gli sbarrini, biscotti a forma di sbarre. Sono dolcetti speciali, in quanto oltre ad essere buoni sono, in un certo senso etici, in quanto realizzati dai minori detenuti che si stanno mettendo in gioco o, come si dice in gergo, ci stanno mettendo anche la faccia.
“L’altro obiettivo del progetto – è sempre Bertocchi che parla – è riuscire a fare in modo che per Bologna l’Osteria formativa diventi un luogo accogliente, denso di significato, da frequentare per sostenere la sfida educativa dei giovani. In tale contesto le cene evento rappresentano anche un messaggio chiaro e forte ed un invito alla comunità cittadina a varcare il portone di Via del Pratello per vedere cosa si fa dentro. Per fare in modo che le mura del carcere non siano più una barriera e per capire il lavoro che viene promosso, giorno dopo giorno, da Istituzioni, Associazioni e realtà di volontariato, come prezioso contributo alla rigenerazione dei giovani”.
“L’Osteria – conclude il direttore di Fomal – è un esempio, e rappresenta al meglio la natura dei progetti e delle attività che seguiamo all’interno del carcere. Siamo certi che quest’esperienza, dopo il successo mediatico seguito alla sua presentazione, venga accolta nel migliore dei modi dai cittadini bolognesi e possa rappresentare un modello da seguire per altre realtà nazionali. Anche perché i giovani detenuti, quando usciranno dal carcere, grazie a questa iniziativa, avranno una professionalità da spendere per un inserimento soddisfacente e duraturo nel mondo del lavoro”.
Una volta si diceva che le iniziative virtuose sono facilmente replicabili. Ed è sicuramente vero anche oggi. Infatti dopo il progetto coraggioso che ha preso il via nel Carcere minorile del Pratello, in un altro carcere di Bologna, la Casa Circondariale “Rocco D’Amato”, da tutti conosciuta come “La Dozza”, si è avviata un’altra interessante esperienza. Dal 24 ottobre dell’anno scorso è aperto, su prenotazione, sia per i detenuti e sia per il pubblico esterno il Cinema Atmosphera una sala cinematografica di 150 posti all’interno del carcere, unico caso in Italia. Anche questo progetto s’inserisce tra i percorsi rieducativi e di riabilitazione, che ha come finalità il reinserimento delle persone detenute.
Ben vengano tali iniziative dove la persona detenuta, con le sue peculiarità e le sue diversità deve rappresentare la stella polare delle azioni da progettare e realizzare. I singoli percorsi formativi “cuciti su misura” rappresentano la strada maestra da imboccare per perseguire l’obiettivo della piena inclusione sociale e lavorativa e, soprattutto, della realizzazione di una società “per tutti e per ciascuno” dove la persona, chiunque essa sia, deve essere “sempre al centro” di ogni azione.
[1] Il nome dell’Osteria è stata scelta dai giovani detenuti d’intesa con l’Ente gestore del progetto. Ciò è stato fatto anche per responsabilizzarli ancora di più La scelta azzeccata è stata Brigata del Pratello in quanto “Brigata” nel gergo della ristorazione identifica il team che opera in cucina e sala e “Pratello” perché l’Istituto Penale Minorile di Bologna è in via del Pratello nel centro storico della città felsinea.
[2] Lavoro@Confronto n. 17 Settembre/Ottobre 2016: “Lavoro in carcere, caposaldo della redenzione e del reinserimento sociale” di Tiziano Argazzi. Lavoro@Confronto n. 19-20 Gennaio Aprile 2017: “Lavorare con i detenuti: un esempio di civiltà: Intervista a Vania Carlot vice presidente della cooperativa Rio Terà dei Pensieri” di Dorina Cocca e Tiziano Argazzi.
[3] Guardiamo Oltre, Quarto Rapporto dell’Associazione Antigone sugli Istituti Penali per Minorenni, Anno 2017. Presentato a Roma il 18.12.2017.
[4] Uno dei principali artefici di questo “cambio di passo” fu Uberto Radaelli magistrato milanese ed uno dei padri fondatori del Diritto minorile italiano. Le norme che contribuì a scrivere e contenute nella Legge n. 888/1956, affermavano con lungimiranza il diritto all’educazione dei soggetti in età evolutiva e prevedevano l’introduzione di due istituti di grande rilevanza: della libertà assistita e dell’affidamento al servizio sociale.
[5] Esecuzione della pena nei confronti di minori: la nuova disciplina, articolo di Anna Larussa pubblicato su Altalex il 31.10.2018.
[6] In giro per le carceri minorili d’Italia. Articolo di Susanna Marchetti pubblicato su www.ragazzidentro.it il 6.04.2019.
[7] La scelta dei giovani detenuti che partecipano ai vari progetti avviati all’intero delle strutture detentive per minorenni è di stretta competenza delle Autorità carcerarie in raccordo con il Giudice di sorveglianza, sentito il parere degli esperti a ciò preposti.
[*] Dorina Cocca in servizio presso la sede di Rovigo dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Ferrara Rovigo. Tiziano Argazzi giornalista, esperto in comunicazione e in materia lavoristica. Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero degli Autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per la Pubblica Amministrazione.
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