La legge 23 luglio 1991 n. 223 rappresenta la fase finale di un lungo processo evolutivo di riassetto e di revisione dell’intera tematica del mercato del lavoro. Il testo legislativo, globalmente considerato, ha una sua organicità di fondo che si riflette sui singoli istituti (cassa integrazione, mobilità, licenziamenti collettivi, incentivi all’occupazione e al reimpiego, prepensionamenti). Questi sono tutti i tasselli di un mosaico le cui diverse parti sono intimamente collegate e interdipendenti. Per questo motivo può risultare insoddisfacente trattare di un singolo istituto, come quello della mobilità, se non si tiene presente il disegno complessivo e gli obiettivi perseguiti.
L’imprenditore che si trovi a dover affrontare una situazione di “criticità” che coinvolge più lavoratori, deve scegliere lo strumento che consenta, in quanto possibile, la sopravvivenza dell’impresa stessa.
Egli deve chiedersi se i mezzi offerti dalla normativa vigente possano ricondurre la sua azienda ad una situazione di normalità, e soltanto in caso contrario si troverà costretto a dover incidere più radicalmente sugli squilibri aziendali e quindi a dover risolvere più rapporti di lavoro in relazione al mutato assetto produttivo – organizzativo. L’istituto della Cassa integrazione guadagni straordinaria [1] ha la funzione di consentire all’impresa il permanere sul mercato.
Se, nonostante l’intervento della Cigs, le difficoltà non fossero superate, e soltanto allora, tale istituto sarebbe prodromico all’intervento più radicale e traumatico del licenziamento collettivo.
Quest’ultima ipotesi, anche se la più consueta[2], non è l’unica possibile potendo, anzi dovendo, l’imprenditore “evitare” la fase della Cigs quando non veda alcuna possibilità di risanare l’azienda. La legge n. 223, delinea una relazione di netta alternatività tra integrazione salariale e procedura di mobilità, nel senso che la prima non può essere utilizzata in funzione assistenziale nei confronti dei lavoratori di cui sia certa l’estromissione, mantenendo in vita artificiosamente i rapporti di lavoro.
Questa differenza strutturale tra i due istituti è tanto evidente, quanto meno nelle intenzioni del legislatore, che è previsto un aggravio del contributo di ingresso alla mobilità [3], per il datore di lavoro che attivi tardivamente la procedura stessa nei confronti dei lavoratori ritenuti eccedenti e non più riassorbibili (art. 5, co. 6[4]). La disposizione è tesa proprio ad evitare l’uso dilatorio e meramente assistenziale della Cigs.
La riforma della Cigs, in seguito all’entrata in vigore della legge n. 223, si è affermato[5], ha segnato una sorta di “ritorno alle origini”. Infatti, sin dal suo esordio, la Cassa integrazione aveva lo scopo di accompagnare i processi di conversione, ristrutturazione o riorganizzazione aziendale in modo da ridurne l’impatto sui livelli occupazionali. Interventi successivi ne hanno poi “snaturato” la funzione, tanto da utilizzare l’istituto a fini assistenziali o per agevolare la gestione conservativa di imprese ormai “decotte”.
La legge n. 223 ha cercato di riportare la Cassa integrazione al suo scopo originario. La nuova disciplina prevede, infatti, che la concessione della Cigs sia subordinata alla presentazione da parte dell’impresa di un programma, formulato in conformità ad un modello prestabilito (art. 1, co. 2). Il trattamento di integrazione salariale è concesso con decreto del Ministro del lavoro, previa approvazione del citato programma da parte del CIPI[6] (art. 2, co. 1) e l’effettiva erogazione è soggetta alla regolare attuazione del programma presentato, previo accertamenti semestrali da parte del Ministero del lavoro (art. 2, co. 3).
Il flusso di denaro pubblico non viene più attivato “al buio”, come in passato, ma trova il suo presupposto in quel programma aziendale di risanamento che dovrebbe essere in grado, almeno nelle intenzioni, di consentire la fuoriuscita dalla crisi.
Possiamo dire in conclusione che l’integrazione salariale realizza un’erogazione di denaro pubblico nei confronti di un’impresa che versa in uno stato di difficoltà, finalizzata al superamento della stessa. Ma tale erogazione è indirizzata principalmente al mantenimento della forza lavoro, in modo da rendere inutile il ricorso al licenziamento collettivo.
Il quadro interpretativo così esposto offre una chiave di lettura certa della normativa sulla Cigs, come strumento di salvaguardia dei posti di lavoro, che trova la sua espressione più esplicita nella previsione del diritto al rientro (art. 4, co. 13). Vero è che successivi interventi, ancora una volta, ne hanno in parte alterato l’originario tessuto normativo. Ma si tratta per lo più di interventi che risentono di una certa politica legislativa volta a fronteggiare situazioni d’emergenza e quindi limitate nel tempo (cd legislazione d’urgenza in tema di ammortizzatori sociali). Basti citare, a prescindere dai molteplici interventi settoriali, il D.L. 26 novembre 1993, n. 478, convertito con modifiche in legge 26 gennaio 1994, n. 56[7] – abrogata con d.l. 28 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 – che all’art. 1, comma 1, consentiva la proroga della Cigs, per non più di dodici mesi, in deroga ai limiti di cui all’art. 1, commi 3, 5 e 9, legge n. 223, su richiesta dell’impresa, “anche in caso di procedura di mobilità di cui all’art. 4 della legge n. 223”, e al comma 2, la proroga del trattamento di integrazione salariale previsto dall’art. 8, co. 5, d.l. 148/1993 convertito nella L. 19 luglio 1993, n. 236[8], concedibile anche in mancanza di un programma di risanamento aziendale. Risulta evidente qui la confusione tra i due istituti[9].
Un caso emblematico al riguardo è quello della Cigs per procedure concorsuali previsto dall’art. 3, legge n. 223, che merita un’analisi più approfondita.
La legge 10 dicembre 2014, n. 183, avente ad oggetto la delega al Governo in materia di riforma anche di ammortizzatori sociali, in vista di una nuova razionalizzazione dell’istituto della Cigs, è ispirata al principio di incompatibilità tra integrazione salariale e cessazione di attività (art. 1, comma 2, lett. a), n. 1). La volontà dell’attuale legislatore è quella di delimitare l’ambito di applicazione di questi strumenti, così da epurarli dalla connotazione prettamente assistenzialistica che hanno assunto nel corso del tempo.
L’istituto della Cigs ha una duplice natura, quella a garanzia della retribuzione e, soprattutto, del posto di lavoro, e quella in funzione di una ripresa dell’attività produttiva dell’azienda.
Il d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante “disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”. abroga gli art. 1, 2 e da 12 a 14, della legge n. 223, introducendo nuove disposizioni in materia di causali di intervento, durata del trattamento e procedimento amministrativo per la concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale. Disposizioni che saranno applicabili a decorrere dalle istanze di Cigs presentate dalle imprese dal 24 settembre 2015, data di entrata in vigore del d.lgs. 148/2015. Pertanto i trattamenti per i quali è stata presentata istanza fino al 23 settembre 2015, saranno regolamentati dalla vecchia normativa (art. 44, comma 1).
Le causali d’intervento per l’accesso al trattamento Cigs possono essere così riassunte:
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della Cassa integrazione, il legislatore del 2015 ricomprende, tra i destinatari dell’istituto, i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato, ivi compresi gli apprendisti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante, ed esclude i dirigenti e i lavoratori a domicilio. Riguardo alle dimensioni occupazionali dell’impresa beneficiaria dell’intervento, la disciplina si applica alle imprese che nel semestre precedente la richiesta abbiano occupato più di 15 dipendenti, come media nel semestre precedente la presentazione della domanda, nei settori di seguito indicati:
a) imprese industriali, comprese quelle edili e affini;
b) imprese artigiane che procedono alla sospensione dei lavoratori in conseguenza di sospensioni o riduzioni dell’attività dell’impresa che esercita l’influsso gestionale prevalente (art. 12, comma 1, legge n. 223)[14];
c) imprese appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, che subiscano una riduzione di attività in dipendenza di situazioni di difficoltà dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;
d) imprese appaltatrici di servizi di pulizia (non inquadrate nell’industria[15]), anche se costituite in forma di cooperativa, che subiscano una riduzione di attività in conseguenza della riduzione delle attività dell’azienda appaltante, che abbia comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento straordinario di integrazione salariale;
e) imprese dei settori ausiliari del servizio ferroviario, ovvero del comparto della produzione e della manutenzione del materiale rotabile[16];
f) imprese cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e loro consorzi[17];
g) imprese di vigilanza.
Spetta altresì alle imprese che abbiano occupato mediamente più di 50 dipendenti, inclusi apprendisti e dirigenti, come media nel semestre precedente la presentazione della domanda:
a) imprese esercenti attività commerciali[18], comprese quelle della logistica;
b) agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici.
Infine alle seguenti categorie, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati:
a) imprese del trasporto aereo e di gestione aeroportuale e società da queste derivate, nonché imprese del sistema aeroportuale;
b) partiti e movimenti politici e loro rispettive articolazioni e sezioni territoriali, nei limiti di spesa di 8,5 milioni di euro per l’anno 2015 e di 11,5 milioni di euro per l’anno 2016 a condizione che risultino iscritte in apposito registro previsto dall’art. 4, comma 2, del d.l. 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13[19].
Resta ferma la disciplina prevista in materia di cassa integrazioni guadagni straordinaria per il settore dell’editoria dove la materia è ancora oggi regolata dalla legge 5 agosto 1981, n. 416, norma non abrogata né modificata dalla legge n. 223 perché ritenuta norma a carattere speciale[20]. In particolare l’art. 35 legge 416/1981[21], nell’estendere il trattamento di integrazione salariale ai dipendenti di imprese editrici e stampatrici di giornali, ammette, al comma 3, la possibilità di concessione del trattamento, oltreché per le fattispecie tipiche previste per legge (crisi, ristrutturazione, riorganizzazione, conversione), anche “in tutti i casi di crisi aziendale nei quali si renda necessaria una riduzione di personale ai fini del risanamento d’impresa e, nei casi di cessazione dell’attività aziendale, anche in costanza di fallimento”[22].
Le imprese commerciali, con più di cinquanta addetti (e fino ai duecento), le imprese di viaggi e turismo con più di cinquanta addetti, le imprese di vigilanza con più di quindici e le imprese del trasporto aereo (a prescindere dal numero di addetti), non ricomprese ab origine nella legge n. 223 tra quelle rientranti nel campo di applicazione della Cigs, sono state oggetto per circa un ventennio di una “legislazione transitoria o d’urgenza”, che ha esteso loro la Cassa integrazione guadagni straordinaria (e quindi la mobilità), entro determinati limiti temporali e finanziari, creando una situazione di grande incertezza[23].
La durata massima del trattamento straordinario di integrazione salariale non può superare di 24 mesi in un quinquennio mobile (conteggiando anche la Cigo). Utilizzando la Cigs per la causale del contratto di solidarietà tale limite complessivo può essere portato a 36 mesi in quanto la durata dei contratti di solidarietà viene computata nella misura della metà per la parte non eccedente i 24 mesi. Per le imprese industriali e artigiane dell’edilizia e affini e per le imprese di cui all’articolo 10, comma 1, lettere n) e o), per ciascuna unità produttiva, il trattamento straordinario di integrazione salariale (Cigs + Cigo) non può superare la durata massima complessiva di 30 mesi in un quinquennio mobile.
L’individuazione delle imprese assume importanza fondamentale ai fini della concessione del trattamento economico di mobilità di cui all’art. 7, legge n. 223. Infatti, i lavoratori licenziati per riduzione di personale, per avere diritto all’indennità indennità, devono essere collocati in mobilità ai sensi dell’art. 24, stessa legge, da un’impresa appartenente ai settori sopra indicati ai sensi dell’art. 16, comma 1, legge n. 223[24]. Non è necessario che il legislatore, ogni volta che estende ad un settore produttivo il trattamento economico della Cassa integrazione, debba anche precisare che i lavoratori di quel settore hanno anche diritto all’indennità mobilità poiché l’automatismo dell’art. 16, co. 1 cit., non lascia spazio ad interpretazioni difformi. L’art. 2, comma 71 della legge n. 92/2012, dispone, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’abrogazione degli articoli da 6 a 9 della legge n. 223, che disciplinano, rispettivamente la gestione della lista di mobilità, l’indennità di mobilità[25], il collocamento del lavoratore in mobilità e la cancellazione dalle liste del lavoratore. Come accennato, la funzione della Cassa integrazione è quella di consentire il risanamento dell’impresa in crisi attraverso l’alleggerimento dei costi della manodopera che vengono sostenuti dall’istituto di previdenza e assistenza attraverso la corresponsione di un assegno mensile, anticipato dall’impresa, ai lavoratori sospesi (operai, impiegati, compresi viaggiatori piazzisti, e i quadri[26]). Nella disciplina novellata dalla legge n. 223, all’art. 2, co. 6, il Ministro del lavoro può disporre il pagamento diretto dei lavoratori da parte dell’INPS, qualora venga accertato che l’impresa versi in comprovate difficoltà di ordine finanziario.
Come nella previgente normativa, l’imprenditore deve attivare la procedura di cui all’art. 5, legge 20 maggio 1975, n. 164, e chiedere un esame congiunto con le organizzazioni sindacali. Nell’ambito di tale esame congiunto vanno affrontate le questioni concernenti la causa della sospensione, l’entità e la durata della stessa, i criteri per l’individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità di rotazione tra i lavoratori sospesi[27] (art. 1, co.7, legge n. 223).
Il trattamento di Cigs è concesso con decreto del Ministro del lavoro ed ha efficacia semestrale; successivamente al primo semestre, verificata la regolare attuazione del programma, e previa tempestiva istanza aziendale di proroga, viene autorizzata, sempre con decreto ministeriale, la concessione degli ulteriori periodi semestrali.
Per quanto riguarda l’iter procedurale per l’accoglimento della domanda di integrazione salariale, le modifiche apportate dalla legge n. 223 sono rilevanti. Nell’attuale disciplina di Cigs, e nell’intero contesto delle eccedenze di personale, il ruolo del sindacato risulta notevolmente rafforzato rispetto a quanto avveniva in passato in virtù degli accordi interconfederali.
Non a caso il momento centrale dell’attuale procedura di Cigs è caratterizzato dall’esame congiunto della situazione, avente ad oggetto i problemi relativi alla tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi d’impresa.
Ci troviamo di fronte ad un obbligo per l’imprenditore a trattare con le OO.SS.[28] da cui può scaturire un accordo che andrà ad incidere sulle sorti dei singoli lavoratori[29], con la conseguenza che qualunque omissione riguardante le comunicazioni ai sindacati previste per legge, comporta l’illegittimità del provvedimento di sospensione[30], oltre ad un’eventuale attivazione di un procedimento di condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28, St. lav.
[1] Tralasciamo di esaminare gli interventi di Cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo), volti a fronteggiare situazioni temporanee incidenti sull’attività aziendale per brevi periodi.
[2] È prassi abbastanza frequente, sollecitata dai sindacati in sede di procedura di mobilità, quella di far precedere un periodo di Cigs al licenziamento. L’imprenditore, per esigenze di pace sociale e soprattutto, per chiudere la procedura con un verbale d’accordo (che comporta per l’impresa un minor onere ai sensi dell’art. 5, co. 4, ult. periodo, legge 223), è indotto a scegliere la strada dell’art. 4, co. 1, e non dell’art. 24 (licenziamento collettivo non preceduto da Cigs).
[3] Art. 5, co. 4, legge 223. “Per ciascun lavoratore posto in mobilità l’impresa è tenuta a versare alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali… una somma pari a sei volte il trattamento di mobilità spettante al lavoratore”.
[4] “Qualora il lavoratore venga messo in mobilità dopo la fine del dodicesimo mese successivo a quello di emanazione del decreto di cui all’art. 2, comma 1, e la fine del dodicesimo mese successivo a quello del completamento del programma di cui all’art. 1, comma 2, nell’unità produttiva in cui il lavoratore era occupato, la somma che l’impresa è tenuta a versare ai sensi del comma 4 del presente articolo è aumentata di cinque punti percentuali per ogni periodo di trenta giorni intercorrente tra l’inizio del tredicesimo mese e la data di completamento del programma”. Il datore di lavoro che non si fosse attivato tempestivamente nel collocare i lavoratori in mobilità, potrà evitare comunque l’aggravio economico del contributo d’ingresso effettuando un licenziamento collettivo trascorsi dodici mesi dal completamento del programma di Cigs, sempre che ricorrano i requisiti numerici previsti dall’art. 24, comma 1.
[5] V. Roberto ROMEI, “Impresa in crisi e Cassa integrazione”, in “Il fattore occupazionale nelle crisi d’impresa, commentario alla legge 23 luglio 1991 n. 223”, 1993, 121, a cura di M. CINELLI, Torino, Ed. G. Giappichelli.
[6] Il CIPI è stato soppresso dalla legge n. 537/1993. Le sue funzioni in materia di integrazione salariale sono state attribuite al “comitato tecnico” del Ministero del lavoro dall’art. 1, comma 2, D.L. 16 maggio 1994, n. 299, convertito con legge 19 luglio 1994, n. 451.
[7] Si riporta uno stralcio degli atti parlamentari presentati al Senato dagli allora Presidente del Consiglio C. A. CIAMPI e il Ministro del Lavoro G. Giugni in sede di conversione del D.L. 478/93. “Onorevoli Senatori. – In materia di integrazione salariale l’articolo 1 della legge 23 luglio 1991, n. 223, pone, ai commi 3, 5 e 9, i limiti di durata dell’intervento… A fronte dell’acutezza dell’attuale crisi occupazionale che assume carattere di straordinarietà, la ricordata vigente disciplina non appare in grado di fronteggiare il perdurare di endemiche eccedenze di personale e di contenere, quindi, i pesanti gravi effetti occupazionali… Tale contesto delinea, dunque, il carattere di necessità e di urgenza del presente provvedimento che, all’articolo 1, consente… al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di disporre, attraverso proroghe di non più di dodici mesi, il differimento del trattamento di cassa integrazione in deroga, ovviamente, alle dianzi ricordate disposizioni… Va riaffermato che detti benefici operano in presenza di misure idonee a fronteggiare le eccedenze di personale e cioè nella prospettazione di una reale rioccupazione di soggetti interessati…”.
[8] La proroga si applica alle imprese con più di cinquecento dipendenti, rientranti nel campo di applicazione dell’intervento straordinario d’integrazione salariale, che cessano l’attività.
[9] Le proroghe dei trattamenti di cassa integrazione comportano la pari diminuzione del trattamento di mobilità (art. 1, co. 3, D.L. 478/93, conv. con L. 56/94)
[10] Si tratta di formule alquanto generiche e in buona parte fungibili, che rinviano a nozioni tecnico – aziendalistiche ed a prassi applicative collaudate.
[11] La durata massima è di 24 mesi anche continuativi, in un quinquennio mobile, ma non può essere prorogato, come era invece previsto dall’art. 1, comma 3, della legge 223.
[12] L’art. 1, comma 6, legge 223, ha demandato al CIPI, su proposta del Ministero del lavoro, la determinazione dei criteri per l’individuazione dei casi di crisi aziendale. Con delibera del 25 marzo 92 pubblicata nella G.U. n. 90 del 16 aprile 92, il comitato succitato ha provveduto a fissare i suddetti criteri: si distingue una crisi aziendale per fattori interni, caratterizzata da diversi motivi di squilibrio, rilevabili generalmente dai bilanci, quali il risultato d’impresa, il risultato operativo, l’ammontare dell’indebitamento, le variazioni del fatturato e dell’organico e, in genere, qualsiasi scostamento negativo, rispetto ai valori normali, dei diversi indicatori economico-finanziari. Vi è una crisi aziendale per fattori esterni, caratterizzata da eventi esogeni di natura economico-finanziaria, tecnologica o socio-politica, in cui la situazione viene opportunamente valutata nel contesto del settore in cui l’impresa opera, e dell’area in cui l’impresa medesima insiste (cd crisi di settore).
[13] Che, richiamando l’art. 51, del d.lgs. 81/2015, prevede la stipula di un accordo collettivo aziendale sulla riduzione dell’orario di lavoro, al fine di evitare in tutto o in parte la dichiarazione di esubero di personale.
[14] Il comma 2, dell’art. 12, legge 223 precisava il concetto di influsso gestionale prevalente, che ricorre quando il cinquanta per cento del fatturato dell’ultimo biennio dell’impresa artigiana dipenda dalle commesse dell’impresa principale. Ciò significa che l’impresa artigiana può accedere alla Cigs solo se operi con contratto di appalto in favore di imprese industriali o commerciali, che ci sia una sospensione dell’attività lavorativa e che, in conseguenza di tale sospensione, al committente sia stata concessa la Cassa integrazione.
[15] Le imprese industriali di pulimento rientrano nella precedente lettera a).
[16] La Cigs, nonché la mobilità, erano state estese alla categoria dei servizi ausiliari del settore ferroviario già con legge 30 dicembre 1991 n. 412, all’art. 25, comma 3.
[17] Rientrano nel campo di applicazione della disposizione in esame anche le imprese cooperative e loro consorzi che trasformano e manipolano prodotti agricoli, poiché il concetto di “trasformazione” include anche quello di manipolazione. Mentre le imprese cooperative che commercializzano i prodotti agricoli, rientrano comunque nel campo di applicazione della Cigs, ma il riferimento normativo e quello dell’art. 20, comma 2, lett. a) riguardante le imprese esercenti attività commerciali (così Ministero Lavoro circ. n. 30 del 9/11/2015).
[18] Il Ministero del lavoro ha precisato che tali disposizioni riguardano le aziende che esercitano attività commerciale in senso stretto e cioè le imprese esercenti commercio all’ingrosso o al minuto. In senso conforme la circolare Inps n. 211/91, che ha precisato i codici statistico-contributivi delle aziende aventi diritto (codici 7.01.XX e 7.02.XX).
[19] Come noto, a decorrere dal 1 gennaio 2014, l’art. 16, co. 1, del d.l. n. 149/2013 ha esteso ai partiti e movimenti politici di cui alla legge n. 157/1999 e alle loro rispettive articolazioni e sezioni territoriali, a prescindere dal numero dei dipendenti, le disposizioni in materia di trattamento straordinario di integrazione salariale, ivi compresi i relativi obblighi contributivi, nonché la disciplina in materia di contratti di solidarietà, a condizione che siano iscritti in un apposito registro di cui all’art. 4. Diversamente dai partiti politici, i gruppi parlamentari non sono finanziati attraverso i rimborsi elettorali, né hanno accesso al finanziamento proveniente dai privati cittadini. Viceversa, la loro attività gode di finanziamenti annuali a carico di Camera e Senato (come si evince da rispettivi regolamenti) per sostenere le spese di funzionamento dei predetti gruppi, ivi comprese quelle per i trattamenti economici del personale dipendente (v. messaggio Inps n. 5865 del 23 settembre 2015).
[20] Gran parte della dottrina, tuttavia aveva sostenuto che la legge n. 223 era da considerarsi assorbente sulla legge 416/1981, operando, ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, effetti abrogativi impliciti sulle disposizioni preesistenti incompatibili, basandosi sul presupposto che la legislazione riformatrice avrebbe precluso il ricorso al trattamento Cigs in presenza di eccedenze occupazionali e quindi in funzione anticipatoria dei licenziamenti. Sul punto v. Giuseppe FERRARO, “Le integrazioni salariali”, in FERRARO, MAZZIOTTI, SANTONI, 49, § 18, “Integrazioni salariali, eccedenze di personale e mercato del lavoro. Commentario sistematico della legge n. 223”, 1992, Napoli. La questione è superata: l’art. 7, co. 3, del D.L. 20 maggio 1993 n. 148, conv. in legge 19 luglio 1993, n. 236, con norma di interpretazione autentica, ha fatto salve le disposizioni degli artt. 35, 36 e 37 della legge 416/1981 “in quanto normativa speciale valevole per il settore dell’editoria, non modificata espressamente dalla successiva legge n. 223”.
[21] Articolo interpretato autenticamente dall’art. 14 bis, D.L. 12.9.83, n. 463, conv. con modif. in legge 11.11.83, n. 638, nel senso che l’efficacia dei licenziamenti è sospesa ed i rapporti di lavoro proseguono ai soli fini della Cigs e per consentire ai lavoratori di usufruire del prepensionamento previsto dall’art. 37 legge 416/81.
[22] In ossequio alla previsione contenuta nella legge 416/1981, non c’è alcun “sbarramento” numerico sicché l’intervento può essere chiesto anche per le imprese editoriali al di sotto dei quindici dipendenti. Anche il secondo “sbarramento” legato alla durata del trattamento, di trentasei mesi nell’ultimo quinquennio, previsto dall’art. 1, comma 9, legge n. 223, non trova applicazione stante l’esplicita esclusione dell’ultimo periodo dell’art. 3, del D.M. 47385 dell’8 ottobre 2009.
[23] L’art. 12, comma 3, legge n. 223, prevedeva come destinatarie della disciplina della Cigs le imprese del commercio con più di duecento addetti. L’art. 7, comma 7, legge n. 236/93 aveva esteso la disciplina Cigs alle imprese commerciali con più di 50 addetti fino al 31 dicembre 95, e le leggi finanziarie, con discipline transitorie successive, la avevano prorogata di anno in anno, ma con limiti di copertura finanziaria, in modo tale da poter accedere all’ammortizzatore sociale in parola soltanto le imprese che avessero effettuato licenziamenti durante i primi mesi dell’anno: valga, come esempio, l’art. 78, comma 15, lett. a), legge 23.12.2000 n. 388 (legge finanziaria 2001) che, nel prorogare fino al 31.12.2001 i trattamenti di Cigs e di mobilità di cui all’art. 62, comma 1, lett. g), legge 488/1999, alle imprese esercenti attività commerciali con più di cinquanta addetti (e fino a duecento), aveva stanziato la somma di cinquanta miliardi di lire per la copertura dell’onere finanziario connesso a tale estensione, ma l’importo non fu sufficiente per l’intero anno, e le sedi Inps concessero i trattamenti in questione solo per i lavoratori licenziati entro il 31 marzo 2001 (messaggio Inps n. 440 del 15 maggio 2001); nel medesimo anno le agenzie di viaggio e turismo con più di cinquanta addetti e le imprese di vigilanza con più di quindici seguirono una sorte diversa: il d.l.. 24 novembre 2000, n. 346, aveva prorogato i trattamenti di Cigs e mobilità fino al 31.12.2001 anche per tali aziende, ma non essendo stato convertito nei termini era decaduto. La citata legge finanziaria 388/2000, all’art. 78, comma 33, faceva salvi gli atti e i provvedimenti adottati, nonché gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del cit. d.l. 346/2000. In seguito, l’art. 19, comma 11, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 3/2009, estendeva il trattamento Cigs alle imprese del commercio tra i 50 e i 200 dipendenti, per gli anni 2009, 2010 e 2011, e da ultimo, 2012 con legge di stabilità n. 183/2011, all’art. 33, comma 23, ma sempre entro limiti di spesa fissati dal Fondo per l’occupazione. Soltanto la legge n. 92/2012, all’art. 3, comma 1, con l’introduzione del comma 3 bis, all’art. 12, della legge n. 223, estendeva definitivamente la Cigs (e di conseguenza la mobilità) alle imprese commerciali e alle imprese di viaggio e turismo con più di 50 dipendenti, alle imprese di vigilanza con più di quindici dipendenti, alle imprese del trasporto aereo e del sistema aeroportuale a prescindere dal numero di dipendenti (disposizione abrogata dal recente d.lgs. n. 148/2015 che ha però confermato l’istituto della Cassa integrazione guadagni straordinaria ai citati settori).
[24] “Nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell’art. 24 da parte di imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale il lavoratore… ha diritto all’indennità di mobilità di cui all’art. 7”. Inizialmente l’Inps aveva negato, a torto, l’erogazione dell’indennità di mobilità ad alcuni settori, pur se rientranti nel campo di applicazione della Cigs, sul presupposto che l’estensione di quest’ultimo trattamento, avvenuto con leggi successive alla n. 223, non aveva espressamente previsto anche l’estensione dell’indennità di mobilità (vedi ad es. circolare INPS n. 130 del 29 aprile 94, in relazione all’art. 1, co. 7, legge 451/94, per i dipendenti delle imprese appaltatrici di servizi di pulizia). In seguito l’istituto previdenziale rettificò la precedente impostazione concedendo (V. circ. Inps n. 2 del 7 gennaio 2013, par. 2.3.1, con riferimento alla recente estensione della Cigs alle imprese commerciali, di viaggio e turismo e vigilanza attuata dall’art. 3, comma 1, legge n. 92/2012).
[25] Al fine di garantire un graduale passaggio dal vecchio al nuovo sistema di prestazioni a tutela del reddito, l’art. 2, comma 46, della legge n. 92/2012, come modificato dall’art. 46 bis, comma 1, lett. e) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto un regime transitorio, per i lavoratori collocati in mobilità dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2016, con una graduale riduzione dell’indennità di mobilità (v. circ. Inps n. 2 del 7 gennaio 2013).
[26] La Cass. Sez. Lav., con sent. 4227 del 13.4.95, ha ritenuto ammissibile il collocamento in Cassa integrazione dei giovani assunti con contratto di formazione e lavoro, con conseguente sospensione del contratto stesso per l’intero periodo di Cigs. Mentre, come vedremo, le norme sulla mobilità non trovano applicazione nei confronti dei contratti a tempo determinato (artt. 4, co. 14 e 24, co 4, legge n. 223).
[27] Qualora l’azienda, per ragioni tecnico-produttive, ritiene di non poter adottare meccanismi di rotazione fra i lavoratori che espletano le medesime mansioni e sono impiegate nell’unità produttiva interessata alle sospensioni, deve indicarne i motivi nel programma. Il CIPI può approvare ugualmente il programma pur non ritenendo giustificati i motivi addotti dell’azienda alla mancata rotazione. In tal caso il Ministro del lavoro promuove l’accordo tra le parti da concludersi entro tre mesi dalla data in cui viene concesso il trattamento, in mancanza di accordo stabilisce con decreto l’adozione dei meccanismi di rotazione (art. 1, co. 8, legge n. 223).
[28] Art. 5, legge 20 maggio 1975, n. 164, richiamato dal comma 7, art. 1, legge n. 223.
[29] Si tratta dei cd accordi sindacali con funzione gestionale sulla cui efficacia si è espressa favorevolmente la Corte Cost., sent. 30 giugno 1994, n. 268.
[30] Cassazione – Sez. Unite, sent. 11 maggio 2000, n. 302. “In caso di intervento di integrazione salariale… il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è in ogni caso illegittimo qualora il datore di lavoro ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi e tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata”. n
[*] Funzionario dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, in servizio presso la Sede dell’ITL di Roma. Dottore di ricerca in “Diritto dell’economia e dell’impresa” presso la Sapienza Università di Roma. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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