Il lavoro in agricoltura
di Giuseppe Cantisano [*]
1. Gli interventi modernizzatori del settore e il nuovo concetto di imprenditore agricolo
L’agricoltura, così come l’edilizia, è un settore molto particolare che si differenzia dagli altri settori produttivi per la stagionalità e l’esposizione a eventi meteorologici. Ovviamente queste particolarità ed esigenze hanno riflessi in materia previdenziale e del lavoro. Tuttavia per quanto riguarda tali aspetti, negli ultimi anni, il settore agricolo è stato sempre più adeguato alla disciplina degli altri settori. Si pensi alla determinazione dell’imponibile previdenziale attraverso l’abolizione del salario medio convenzionale per gli operai agricoli e il passaggio al minimale di legge. Il cambio più evidente si è avuto in merito alle semplificazioni introdotte con il D.L. n. 112/2008 che hanno portato alla definitiva abrogazione del registro d’impresa e l’introduzione del libro unico del lavoro anche per il settore agricolo.
Nell’ambito della delega conferita al Governo dalla legge n. 57/2001, per modernizzare il settore agricolo, sono stati emanati i D.Lgs n. 226 (pesca e acquacoltura), n. 227 (settore forestale) e n. 228/2001. Con quest’ultimo è stato anche riformulato l’art. 2135 c.c. Secondo la nuova formulazione è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo; silvicoltura; allevamento di animali; attività connesse. Per coltivazione del fondo, per silvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge. Il possesso del fondo, dunque, non è più un elemento indispensabile per l’attività dell’imprenditore agricolo. L’Inps con la circ. n. 34/2002 riconduce alla figura dell’imprenditore agricolo: l’allevamento di animali; l’attività di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso; le attività che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine; le attività connesse; le cooperative e i consorzi di imprenditori agricoli.
Per poter essere inquadrato ai fini assicurativi e previdenziali nel settore agricolo è però anche necessario valutare l’incidenza delle attività svolte e delle risorse impiegate in rapporto all’attività principale e all’intera realtà aziendale. A tal fine più del 50% dei prodotti trasformati e/o commercializzati deve essere di derivazione aziendale e anche il tempo di impiego delle attrezzature e delle risorse aziendali nelle lavorazioni interne all’azienda deve essere superiore rispetto al tempo di impiego nell’attività diretta alla fornitura di servizi a favore di terzi[1]. L’attività dell’agriturismo è stata adeguata e rivista dalla legge n. 96/2006 (abrogando anche la legge n.730/1985). La norma definisce come attività agrituristiche quelle di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali.
La legge n. 240/1984 disciplina il regime previdenziale delle cooperative agricole e dei loro consorzi. Sono inquadrate nel settore le imprese cooperative e i loro consorzi che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici propri o dei loro soci ricavati dalla coltivazione dei fondi, dalla silvicoltura e dall’allevamento di animali, quando per l’esercizio di tali attività ricorrano normalmente ed in modo continuativo ad approvvigionamenti dai propri soci di prodotti agricoli e zootecnici in quantità prevalente (più del 50%) rispetto a quella complessivamente trasformata, manipolata e commercializzata oppure forniscono prevalentemente ai propri soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico. Se non è rispettato il requisito della prevalenza, sono inquadrate in un settore diverso secondo l’attività svolta.
2. I lavoratori agricoli
I tradizionali rapporti di lavoro in agricoltura possono essere classificati in tre grandi gruppi ai quali trovano applicazione poi le varie discipline di natura generale oppure speciali del settore.
- Lavoratori autonomi: coltivatore diretto (cd)[2] e imprenditore agricolo professionale (Iap)[3];
- Lavoratori associati: mezzadri (art. 2141 c.c.)[4], coloni parziari (art. 2164 c.c.)[5] e soccidari (art. 2170 c.c.)[6];
- Lavoratori subordinati e assimilati: vi rientrano tutte le tipologie dei rapporti di lavoro di natura subordinata previsti dalla normativa in materia del lavoro. Sono assimilati i piccoli coloni (art. 8, comma 2, l. 334/1968), i compartecipanti individuali (art. 56 della l. 203/1982) e familiari.
Nel settore agricolo è lavoratore dipendente chiunque presti la propria opera manuale, dietro corrispettivo, per la coltivazione di fondi o allevamento di bestiame e per attività connesse a favore di una azienda agricola o di altro soggetto che svolge attività agricola. Più in particolare si distinguono:
- Operai a tempo determinato – OTD (detti anche braccianti agricoli o giornalieri di campagna). Sono assunti per l'esecuzione di lavori di breve durata, a carattere saltuario per compiere una fase lavorativa o in sostituzione di operai per i quali esiste il diritto di conservazione del posto.
- Operai a tempo indeterminato – OTI (detti anche salariati fissi) assunti con contratti di lavoro senza scadenza.
3. Il lavoro in agricoltura nel contesto della riforma Biagi così come modificata dalla legge Fornero
Le nuove tipologie contrattuali di cui alla Riforma Biagi, come modificate dalla legge Fornero, devono necessariamente essere rapportate al mercato del lavoro agricolo, e se non ignote all’ordinamento pregresso riconsiderate in ragione delle innovazioni che esse implicano nell’ordinamento previdenziale agricolo.
3.1. Lavoro agricolo e lavoro accessorio
A norma dell’art. 70 del D.Lgs n. 276/2003, come modificato dalla L. n.192/2012 (legge Fornero), per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di cui al presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma.
La disposizione, si applica in agricoltura:
a) alle attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università;
b) alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (aziende sotto i 7 mila euro di fatturato), che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali da emanarsi entro trenta giorni dalla entrata in vigore del presente decreto e periodicamente aggiornato, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali.
Tale valore nominale è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività lavorative affini a quelle di cui all’articolo 70, comma 1, nonché del costo di gestione del servizio.
Fermo restando quanto disposto dal comma 4 bis, il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici ed il codice fiscale, effettua il versamento per suo conto dei contributi, per fini previdenziali, all’INPS, alla Gestione Separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13% del valore del buono e per fini assicurativi contro gli infortuni all’INAIL, in misura pari al 7% del valore nominale del buono e trattiene l’importo autorizzato, dal Decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese.
La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali e` rideterminata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata dell’INPS. Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario, di cui al comma 5, all’atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
3.2. Il lavoro occasionale dei parenti e degli affini
L’art. 74 del D.Lgs. n. 276/2003 esamina le prestazioni che esulano dal mercato del lavoro. Con specifico riguardo alle attività agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al quarto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori.
3.3. Lavoro agricolo e lavoro intermittente
Il contratto di lavoro intermittente é il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui all'articolo 34 del D.Lgs. n. 276/2003.
Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato anche a tempo determinato.
Il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno ai sensi dell’articolo 37 del D.Lgs. n. 276/2003.
Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con più di cinquantacinque anni di età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età`, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età.
In ogni caso, fermi restando i presupposti di instaurazione del rapporto e con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. (D.L. n.76/2013).
È vietato il ricorso al lavoro intermittente:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
Ciò premesso, occorre evidenziare che fra la tipologia contrattuale ed il lavoro agricolo a tempo determinato esistono indubbie affinità.
Tuttavia, il job on call si caratterizza per la previsione della indennità di disponibilità, attributiva di valore economico anche ai periodi non lavorati che correttamente può ritenersi un’ ipotesi ulteriore di prestazione a sostegno del reddito di natura indennitaria.
Peraltro, il lavoro intermittente, in analogia al lavoro agricolo a tempo determinato, potrà essere applicato agli operai agricoli ed ai florovivaisti preposti alla esecuzione di lavori discontinui, saltuari, stagionali od in sostituzione di lavoratori assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione del posto: in sostanza, in tutti i casi in cui la prestazione abbia quelle connotazioni individuate dal Decreto.
3.4. La somministrazione in agricoltura
Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell'interesse del somministratore nonché sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore. Nell'ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore per i periodi in cui non sono in missione presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.
Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa:
a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati;
b) per servizi di pulizia, custodia, portineria;
c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci;
d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato;
e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale;
f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale;
g) per la gestione di call-center, nonché per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;
h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa;
i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative;
i-bis) in tutti i settori produttivi, pubblici e privati, per l'esecuzione di servizi di cura e assistenza alla persona e di sostegno alla famiglia;
i-ter) in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo da parte del somministratore di uno o più lavoratori assunti con contratto di apprendistato (L. n. 134/2012).
La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore. E` fatta salva la previsione di cui al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato é affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
Il contratto di somministrazione di lavoro é vietato:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione, a meno che tale contratto sia stipulato per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti ovvero sia concluso ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi. Salva diversa disposizione degli accordi sindacali, il divieto opera altresì presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione;
c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche.
La Riforma Biagi, pertanto, ha pienamente liberalizzato l’istituto della somministrazione nel lavoro agricolo (ed edile), che prima si caratterizzava per l’applicazione di uno speciale regime articolato sulla base di intese sindacali di livello nazionale ( art.1, 3° co. L. n. 196/1997).
In sostanza, sino al Decreto Delegato, la somministrazione in campo agricolo non risultava possibile in ragione del differenziale contributivo fra settore terziario ed agricolo .
Ora si prevede, invece, che l’agenzia di somministrazione versi la contribuzione previdenziale ed i premi assicurativi nella misura prevista per quel settore.
4. Lo scambio di manodopera
Del tutto particolare e limitato al solo settore agricolo è poi lo scambio di manodopera tra piccoli imprenditori agricoli secondo gli usi (art. 2139 c.c.). Per l’Inps[7] è configurabile uno scambio di manodopera qualora:
- intervenga tra soggetti aventi entrambi la qualifica di coltivatori diretti;
- i soggetti che rendo la prestazione (reciproca) siano: il coltivatore diretto e/o gli eventuali appartenenti al nucleo familiare se iscritti alla relativa gestione previdenziale;
- non vi sia alcuna remunerazione o corrispettivo in denaro o natura espressamente espressamente scambiato tra le parti a ristoro della prestazione resa;
- le prestazioni date e ricevute prescindano da un qualunque calcolo di stretta equivalenza quantitativa e qualitativa;
- la prestazione attenga esclusivamente ad attività rientranti nello specifico dell’attività agricola, principale o connessa che sia.
Di recente il Ministero del lavoro[8] ha chiarito che la figura dell’imprenditore agricolo professionale (Iap) può rientrare nella nozione di piccolo imprenditore, ai sensi dell’art. 2083 codice civile, solo dove ne risulti evidente il possesso dei requisiti (attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia). Lo scambio di manodopera per l’Iap è consentito solamente in presenza di tali requisiti e la valutazione dovrà essere effettuata caso per caso avuta contezza del requisito della misura della partecipazione all’attività dei componenti del nucleo familiare.
5. Le cooperative agricole
La legge n. 240/1984 disciplina il regime previdenziale delle cooperative agricole e dei loro consorzi. Sono inquadrate nel settore agricolo le imprese cooperative e i loro consorzi che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli o zootecnici propri o dei loro soci ricavati dalla coltivazione dei fondi, della silvicoltura e dall’allevamento di animali, quando per l’esercizio di tali attività ricorrano normalmente ed in modo continuativo ad approvvigionamenti da propri soci di prodotti agricoli e zootecnici in quantità prevalente (più del 50%) rispetto a quella trasformata manipolata e commercializzata oppure forniscono ai propri soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico. Se non è rispettato il requisito della prevalenza, sono inquadrate in un settore diverso secondo l’attività svolta (industria, terziario/commercio).
6. Le misure normative per il contrasto ai fenomeni interpositori nella manodopera agricola
Il titolo III del D.Lgs. n. 276/2003 nel disciplinare tutto il fenomeno delle esternalizzazioni (outsourcing) si occupa anche di tutte le fattispecie sanzionatorie (amministrative e penali) che governano le forme patologiche degli istituti negoziali relativi all’intermediazione, trattando distintamente dapprima la somministrazione di lavoro (sezione I) e in seguito l’appalto e il distacco (sezione II)[9].
Somministrazione abusiva
Nel nuovo contesto normativo risultante dall’abrogazione della legge n. 1369/1960, il Legislatore ha introdotto nuove penalità che solo in parte riprendono quanto già esposto dal precedente schema dispositivo.
Nello schema delineato dal D.lgs. n. 276/2003 la somministrazione abusiva appare come un reato proprio del somministratore a cui segue - il caso distinto - del reato di utilizzazione illecita da parte dell’utilizzatore.
Cause ed effetti
È sufficiente la mera somministrazione abusiva di lavoratori presso un qualsiasi utilizzatore, di per sé sola considerata, a determinare la reazione punitiva sul soggetto che, incurante dei criteri legali, ha ugualmente fornito prestazioni di manodopera.
La mancata autorizzazione e iscrizione all’Albo nazionale e il mancato rispetto dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dall’ordinamento rende privo di qualsiasi valore e penalmente perseguibile qualsiasi rapporto tra ente non autorizzato ed utilizzatore. Il reato di somministrazione abusiva costituisce un’ipotesi di reato istantaneo con effetti permanenti.
È vietato non solo lo sfruttamento illecito di manodopera, ma la stessa sottoscrizione (Illecita) del contratto di somministrazione- o di un accordo negoziale in tale senso- tra il somministratore non autorizzato e l’utilizzatore.
Utilizzazione illecita
Secondo il D.Lgs. n. 276/2003, è l’effettivo utilizzo dei lavoratori somministrati irregolarmente, a dar luogo alla concreta punibilità: utilizzatore e somministratore, seppur nelle due distinte ipotesi di reato, concorrono soggettivamente e personalmente a comporre il reato unitario di somministrazione abusiva di manodopera.
Di fatto l’esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione si concretizza se e quando i prestatori di lavoro oggetto di somministrazione vengono ad essere effettivamente impiegati dall’utilizzatore.
L’utilizzazione illecita viene riconosciuta in capo all’utilizzatore imputandogli la negligenza imperizia o imprudenza per la mancata valutazione degli elementi contenuti nel contratto, nella fattispecie al non aver accertato l’esistenza in capo al somministratore dei requisiti previsti dalla legge.
La somministrazione fraudolenta
Normativa
Secondo quanto disposto dall’art.28 del D.Lgs. n. 276/2003, al vertice delle ipotesi di somministrazione posta in essere in violazione delle disposizioni vigenti, si colloca l’ipotesi di somministrazione fraudolenta.
Definizione
È somministrazione fraudolenta quella che è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore.
Caratteristiche
Costituisce un reato plurisoggettivo proprio, dove emerge l’intenzionalità del reato e la specifica finalità dello stesso. Le due parti del contratto di somministrazione di lavoro – agenzia di somministrazione ed utilizzatore - rispondono penalmente di una specifica condotta posta al di fuori degli schemi legali previsti.
Sotto il profilo sanzionatorio la pena non si sostituisce a quella prevista per la somministrazione abusiva/utilizzazione illecita, ma piuttosto si aggiunge ad essa aggravando di fatto l’esito sanzionatorio.
La somministrazione irregolare
Normativa e struttura:
Disposizioni di riferimento sono quelle dettate dall’art. 27 del D.Lgs. n. 276/2003. La somministrazione irregolare, relativa a violazioni di carattere formale, interessa contestualmente somministratore e utilizzatore, con una sanzione di tipo amministrativo e non penale.
La irregolare stipula dei contratti di somministrazione, posti in essere senza il rispetto dei limiti e criteri legali previsti dal D.Lgs. n. 276/2003, espone i due contraenti ad ammende pecuniarie da relazionare alla singole fattispecie di illecito amministrativo.
Reati da interposizione illecita
Pseudo appaltoL’appalto illecito - ossia privo dei requisiti legali previsti dall’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 e dall’art. 1655 c.c. - configura l’ipotesi di interposizione illecita; trattandosi di fatto di una somministrazione abusiva di mere prestazioni di lavoro, posta in essere da un soggetto non autorizzato, carente dei requisiti legali previsti dalla norma, che originano la c.d. interposizione illecita da pseudo appalto.
Secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 251/2004, pseudo committente e pseudo appaltatore, che abbiano posto in essere un fittizio contratto di appalto, sono soggetti alla pena dell’ammenda già prevista nell’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 per il somministratore abusivo e l’utilizzatore illecito.
Il reato è unico e rappresenta sotto il profilo soggettivo un reato plurisoggettivo proprio. Entrambi i soggetti datoriali, rispondono della realizzazione di un contratto di appalto non regolare. Il reato di interposizione illecita da pseudo appalto vede l’esistenza di elementi tipici quali: Contratto di appalto non genuino mancante dei requisiti legali che rendono lecito ed operativo l’appalto secondo quanto previsto dall’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003.
Entrambi i soggetti - pseudo committente e pseudo appaltatore - sono corresponsabili in quanto hanno stipulato un contratto di appalto illecito, non usando la prevista diligenza, prudenza e perizia richieste dall’ordinamento.
Effetti
L’interposizione illecita da pseudo appalto costituisce un ipotesi di reato permanente, dal momento in cui committente ed appaltatore partecipano, con le rispettive condotte alla realizzazione del fatto illecito fin dal primo momento in cui i lavoratori vengono utilizzati nel mancato rispetto delle leggi relative all’appalto quali veri e propri dipendenti dell’appaltante.
Il reato si perpetua in forma permanente nel susseguirsi dei giorni di lavoro effettivo dei lavoratori sotto le direttive dello pseudo committente. La scelta del legislatore di intervenire, con decreto correttivo, per regolare: pseudo appalto, distacco illecito e somministrazione abusiva/utilizzazione illecita è giustificata dal fatto che la configurazione del reato interpositorio viene a caratterizzarsi correttamente nelle tre forme predette; tali ipotesi difatti sono tutte riconducibili alla illiceità della condotta interpositoria delle prestazioni di manodopera, al di fuori degli schemi legali previsti dalla somministrazione di lavoro.
Distacco Illecito
Il distacco di manodopera si configura, secondo quanto disposto dall’ordinamento, come una somministrazione non professionale di lavoro.
Se privo dei requisiti della temporaneità e dell’interesse del distaccante, deve qualificarsi sotto il profilo giuridico come somministrazione abusiva/utilizzazione illecita, ancora prima dell’intervento correttivo del D.Lgs. n. 251/2004.
Il distacco privo dei caratteri di liceità e di legalità previsti dall’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 origina l’ipotesi si somministrazione illecita di manodopera.
Pseudo distaccante e pseudo distaccatario che pongono in essere in esecuzione un distacco fittizio, sono entrambi soggetti ad una pena pecuniaria per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.
Elementi tipici del distacco illecito sono:
- L’irregolarità del DistaccoIl distacco del lavoratore si risolve nelle esecuzione di mere prestazioni di lavoro da parte dei lavoratori interessati, che vengono di fatto occupati alle immediate direttive dello pseudo distaccatario e da questi realmente etero diretti, mancano, quindi, i requisiti legali che rendono lecito il distacco.
- Partecipazione congiunta
Partecipazione congiunta del pseudo distaccante e pseudo distaccatario alla fattispecie illecita: entrambi i soggetti si rendono corresponsabili del reato, avendo posto in essere un distacco in sé illecito, senza usare la normale diligenza, prudenza e perizia. -
Effettiva utilizzazione delle prestazioni lavorative
I lavoratori in oggetto devono quindi essere stati concretamente impiegati in attività lavorative alle immediate dipendenze dello pseudo distaccatario; non basta il mero incontro di volontà tra distaccante e distaccatario sull’utilizzo dei lavoratori individuati, ma di fatto non impegnati in alcuna prestazione di lavoro.
Si realizza l’ipotesi di reato permanente: la condotta illecita permane durante lo svolgimento dell’attività d parte dei lavoratori irregolarmente distaccati e illecitamente utilizzati dallo pseudo distaccatario.
Sanzioni - Art. 18 D.Lgs. n. 276/2003
1. L’esercizio non autorizzato delle attività di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b) è punito con la pena dell’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. Se vi è sfruttamento dei minori la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo. L’esercizio non autorizzato delle attività di cui all’articolo 4, lettera c), è punito con la pena dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda da euro 1500 a euro 7500. Se non vi è scopo di lucro la pena è dell’ammenda da euro 500 a euro 2500. Se vi è sfruttamento dei minori la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo. L’esercizio non autorizzato delle attività di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d) ed e) è punito con l’ammenda da euro 750 ad euro 3750. Se non vi è scopo di lucro la pena è dell’ammenda da euro 250 a euro 1250. Nel caso di condanna è disposta, in ogni caso, la confisca del mezzo di trasporto eventualmente adoperato per l’esercizio delle attività di cui al presente comma. (D.Lgs. n. 251/2004).
2. Nei confronti dell'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), ovvero da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), o comunque al di fuori dei limiti ivi previsti, si applica la pena dell'ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo. (D.Lgs. n. 251/2004).
3. La violazione degli obblighi e dei divieti di cui all’articolo 20 commi 3, 4 e 5 e articolo 21, commi 1 e 2, nonché, per il solo somministratore, la violazione del disposto di cui al comma 3 del medesimo articolo 21, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250. (D.Lgs. n. 251/2004).
3-bis. La violazione delle disposizioni di cui all'articolo 23, comma 1, e, per il solo utilizzatore, di cui all'articolo 23, comma 4, secondo periodo, e comma 7-bis, nonché di cui all'articolo 24, comma 4, lettere a) e b), è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal comma 3. (D.L.gs. n. 24/2012).
4. Fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 11, comma 2, chi esiga o comunque percepisca compensi da parte del lavoratore per avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione è punito con la pena alternativa dell'arresto non superiore ad un anno o dell'ammenda da Euro 2.500 a Euro 6.000. In aggiunta alla sanzione penale è disposta la cancellazione dall'albo.
4-bis. Fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 11, comma 2, è punito con la sanzione penale prevista dal comma 4, primo periodo, chi esige o comunque percepisce compensi da parte del lavoratore in cambio di un'assunzione presso un utilizzatore ovvero per l'ipotesi di stipulazione di un contratto di lavoro o avvio di un rapporto di lavoro con l'utilizzatore dopo una missione presso quest'ultimo.
4-ter. Nelle ipotesi di cui al comma 4-bis in aggiunta alla sanzione penale è disposta la cancellazione dall'albo. (D.L.gs. n. 24/2012).
5. In caso di violazione dell'articolo 10 trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché nei casi più gravi, l'autorità competente procede alla sospensione della autorizzazione di cui all'articolo 4. In ipotesi di recidiva viene revocata l'autorizzazione.
5-bis. Nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all’articolo 29, comma 1, e di distacco privo dei requisiti di cui all’articolo 30, comma 1, l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo. (D.Lgs. n. 251/2004).
7. Nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro agricolo
Nel totale della discussione politica sulla manovra finanziaria contenuta nel Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, pubblicato sulla GU n. 188 del 13/8/2011, conv. in legge 14/09/2011, n.148 interessa in modo specifico, anche per i riflessi che esso assume in materia di sicurezza sul lavoro, il testo dell’art. 12 del decreto legge, riguardante il caporalato. La nuova fattispecie penale intende colpire in maniera specifica il fenomeno del c.d. “caporalato” che è tuttora presente, soprattutto in alcune aree del meridione d’Italia, nel settore dell’agricoltura e dell’edilizia. Questa grave forma di sfruttamento della manodopera, come è noto, consiste nella raccolta, da parte di soggetti spesso collegati con organizzazioni criminali, di operai generici, nel loro trasporto sui campi o presso i cantieri edili per essere messi a disposizione di un’impresa utilizzatrice che pagherà il “caporale” che fornisce la manodopera. Spesso il caporale retribuisce direttamente gli operai e lucra sulla differenza tra quanto percepito dall’impresa e quanto pagato ai lavoratori. A volte il caporale non si limita al reclutamento ma sovraintende e controlla i lavoratori imponendo orari e ritmi di lavoro con l’uso dell’intimidazione o della violenza. Non soltanto il lavoro viene prestato a favore di un soggetto diverso da colui che ha raccolto e retribuito la manodopera, ma spesso si tratto di lavoro irregolare, “in nero” con conseguente evasione fiscale e contributiva o comunque prestato in violazione delle norme in materia di orario di lavoro, riposi e sicurezza, nonché con retribuzioni inferiori a quelle previste dai contratti collettivi[10].
L’art. 12 viene qui riprodotto integralmente:
“Dopo l’articolo 603 del codice penale sono inseriti i seguenti: «Art. 603-bis (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:
1) La sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro metodi di sorveglianza, situazioni alloggiative particolarmente degradanti.
L’art. 12, che ormai passa come misure “contro il reato di caporalato”, punisce come aggravante specifica (con l’aumento della pena da un terzo alla metà):
a) La circostanza che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
b) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
c) che con l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, si siano esposti i lavoratori intermediati, a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
La condanna per il reato di caporalato comporta anche pene accessorie che possono consistere nell’esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici e dell’Unione europea, all’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, al divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione.
8. Il job sharing in agricoltura
Con il decreto firmato il 14 gennaio 2014 dal Ministro del Lavoro “Giovannini”, vengono definiti il campo di applicazione, i soggetti e le modalità del contratto di rete, con cui le imprese agricole potranno procedere ad assunzioni congiunte di lavoratori dipendenti. Uno strumento, il contratto di rete, creato con il cosiddetto "Pacchetto occupazione" varato dal governo a giugno 2013 (D.L. n. 76/2013 convertito nella Legge n. 99/2013), di cui adesso il Ministero ha provveduto a dettare le norme attuative. Possono utilizzare il contratto di rete per l’assunzione congiunta, secondo l’art. 1 del decreto, le imprese agricole, anche in forma cooperativa, che appartengono allo stesso gruppo di impresa di cui all’art. 31, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, oppure che sono riconducibili allo stesso proprietario o a soggetti diversi legati da vincolo di parentela o affinità entro il terzo grado, oppure ancora che le imprese sono legate da un contratto di rete, quando almeno il 50% di esse sono imprese agricole. Quanto agli obblighi di comunicazione di cui al D.M. del Ministero del Lavoro del 30 ottobre 2007 (assunzione, trasformazione, proroga e cessazione dei lavoratori assunti congiuntamente), il decreto stabilisce che i relativi adempimenti possono essere effettuate da un unico soggetto per l’intero gruppo, e in particolare: dall’impresa capogruppo, per i gruppi di impresa e per le imprese legate tra loro da contratti di rete; dal proprietario, per le imprese riconducibili allo stesso proprietario; dal soggetto individuato come incaricato in base a specifico accordo (che va depositato presso le associazioni di categoria), per le imprese riconducibili a soggetti legati tra loro da parentela o affinità entro il terzo grado.
Note
[1] Cfr. Circ. Inps. n. 53/2003 e circ. n. 186/2003.
[2] Sono piccoli imprenditori che si dedicano direttamente ed abitualmente alla manuale coltivazione dei fondi , in qualità di proprietari, affittuari, usufruttuari, enfiteuti. e/o all'allevamento e attività connesse (artt. 1 e 2 L. 1047/57), come integrati e modificati dalla Legge 9/1963. Per essere riconosciuti tali e per poter essere iscritti nell'apposita sezione dell'I.N.P.S. essi devono dimostrare di impegnare almeno i due terzi del proprio tempo lavorativo alla coltivazione diretta e manuale dei terreni di cui dispongono (almeno 1.500 ore annue) e di trarre dall'attività agricola almeno i due terzi del proprio reddito. Inoltre che siano possessori o che conducano (con contratto di comodato o di affitto) almeno 10.000 m² di terreno e che possano dimostrare di avere i mezzi per lavorarlo. Essi costituiscono, assieme agli imprenditori agricoli, il cosiddetto settore primario dell'economia italiana. Cfr. Coltivatore diretto in Tesauro del Nuovo Soggettario, BNCF, marzo 2013.
[3] È imprenditore agricolo professionale – IAP – colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all'art. 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro.
[4] La mezzadria (da un termine derivante dal latino tardo che indica "colui che divide a metà") è un contratto agrario d'associazione con il quale un proprietario di terreni (chiamato concedente) e un coltivatore (mezzadro), si dividono (normalmente a metà) i prodotti e gli utili di un'azienda agricola (podere). La direzione dell'azienda spetta al concedente. Nel contratto di mezzadria, il mezzadro rappresenta anche la sua famiglia (detta famiglia colonica).
[5] La colonìa parziaria è un sistema di sfruttamento dei fondi rustici per il quale il proprietario del fondo (o chi altri ne ha il godimento) lo affitta a chi si obblighi di coltivarlo nel comune interesse col patto di dividerne i prodotti agricoli in natura.
[6] La nozione generale di soccida si trae dall’art. 2170, co. 1, c.c., secondo il quale nella soccida il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti che ne derivano.
[7] Cfr. Circ. INPS n.126/2009.
[8] Cfr. Interpello MLPS n. 6/2011 “Scambio di manodopera tra coltivatori diretti e coloni-mezzadri in possesso o meno della qualifica di IAP”.
[9] Cfr. P. Rausei, “Illeciti e sanzioni”- il diritto sanzionatorio del lavoro, IPSOA, 2013.
[10] Cfr. M.Pala, “Il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, Altalex 24/9/2011.
[*] Dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegnano, in alcun modo, l’amministrazione di appartenenza.
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