Il telelavoro si evolve in smart working
di Stefano Olivieri Pennesi [*]
Elementi di novità per il nascente Jobs Act
Lo Smart Working si prefigge di semplificare e rendere maggiormente flessibile lo strumento lavoristico denominato Telelavoro. Il presupposto fondante sia del più noto Telelavoro come del più recente Smart Working è la comune caratteristica della connaturata “flessibilità”. L’obiettivo principale delle due citate speciali tipologie occupazionali è quello di promuovere il cosiddetto “lavoro da remoto” pur mantenendo insite le caratteristiche fondamentali di “lavoro subordinato”, svolto in presenza di aspetti particolari quali: uso sistematico di strumenti informatici e telematici, assenza di una postazione lavorativa fissa (sia interna ovvero esterna all’azienda), svolgimento dell’attività lavorativa al di fuori del sito aziendale, con percentuali variabili di orario di lavoro da doversi prestare.
Altri aspetti fondamentali sono il diritto alla parità di trattamento retributivo rispetto ai cosiddetti lavoratori che possiamo definire normalmente “stanziali”, come anche similari risultano essere le dinamiche di carriere, il diritto/dovere alla formazione, le prerogative sindacali, i premi di produzione e il salario accessorio.
Gli strumenti tecnologici normalmente vengono forniti dal datore di lavoro ma è possibile una eventuale deroga per tale questione talché si addivenga ad intese contrattuali che possono prevedere, di contro, l’uso di attrezzature di proprietà del prestatore di lavoro.
Un aspetto di particolare delicatezza è inoltre rappresentato dal problema della protezione dei dati in uso e/o elaborati dal lavoratore, il quale deve garantire la diligente custodia dei dati aziendali in suo possesso, come anche la detenzione delle attrezzature informatiche eventualmente assegnate. La stessa garanzia della salute e sicurezza sul lavoro viene attivata dai datori di lavoro per la totalità dei propri dipendenti anche in queste categorie speciali.
L’elemento caratterizzante che sta alla base del sopra menzionato “Smart Working” o come si preferisce senza inglesismi “lavoro agile” è certamente la scelta esercitata principalmente dal genere femminile, ma sempre più anche dal genere maschile, di poter meglio conciliare i tempi di vita con i tempi di lavoro, al fine anche di non vedersi penalizzati, dal punto di vista professionale, i personali percorsi lavorativi per l’esigenza di non comprimere o addirittura dover rinunciare ai cicli biologici legati a periodi di maternità.
In sostanza lavorare dove e quando si vuole implementando di fatto una flessibilità oraria e organizzativa attivando concretamente nuovi equilibri lavorativi fondati sulla maggiore libertà e responsabilizzazione dei prestatori di lavoro.
Da studi eseguiti, su tale nuova modalità lavorativa, emerge che chi lavora fuori dall’azienda aumenta la propria performance di produttività del 30-40% e al contempo diminuisce il fenomeno dell’assenteismo ovvero delle malattie “facili o strategiche” di oltre il 60%. Ma il concreto beneficio legato al Telelavoro, come allo Smart Working, è constatabile dal concreto abbattimento dei costi legati agli spostamenti casa-ufficio sia usando mezzi propri sia usando trasporti pubblici. Ma a beneficiare di tali istituti sarebbero anche e soprattutto le stesse aziende che vedrebbero ridursi considerevolmente i costi legati direttamente alla logistica complessiva.
Di contro andrebbero invece potenziati gli strumenti tecnologici in uso al fine di gestire oculatamente i dipendenti in modalità “remota” sapendo di dover formare e modellare il management aziendale alle nuove forme lavorative, sempre più evolute in modalità qualitativa (per obiettivi raggiunti) piuttosto che quantitativa (per lavoro temporalmente svolto) contando sempre più sui risultati raggiunti e meno sulle ore lavorate.
Un rischio però che merita di essere indagato, circa lo svolgimento di lavoro smart, è l’aspetto psicologico soprattutto per le attività di elevato contenuto intellettuale/manageriale per il quale il rischio di rendere il proprio impegno “a ciclo continuo” dove un tempo di lavoro non esiste di fatto più, è quello di non riuscire, se così possiamo dire, a staccare mai la spina.
La Pubblica Amministrazione potrebbe certamente rappresentare il contesto ideale per promuovere e diffondere maggiormente il ricorso allo Smart Working e al telelavoro, facendo del lavoro a distanza uno strumento fondamentale per abbattere da un lato i costi generale e i fenomeni di assenteismo e scarsa produttività e dall’altro promuovere e migliorare i risultati immaginati con la piena utilizzazione dell’agenda digitale per favorire i servizi a vantaggio dei cittadini.
È proprio il Jobs Act che dovrebbe contemplare e sostanziare la promozione del “lavoro agile”. Lo strumento potrebbe essere la definizione di forme di credito d’imposta per quelle aziende/professionisti che intendono occuparsi di allestire e/o fornire postazioni di lavoro domestico o itinerante.
Come anche la stessa P.A. dovrebbe attivare investimenti tecnologici in Conto Capitale, tali da non incidere sul patto di stabilità generale ed interno, razionalizzando di conseguenza gli spazi in uso.
In sostanza la stessa Amministrazione Pubblica si dovrebbe fare carico di diffondere la cultura positiva rappresentata dalla non più differibile “flessibilità nell’organizzazione del lavoro” legata al raggiungimento di risultati scaturenti da “obiettivi ben definiti e meno legati a misurazioni per quantitativi di atti/servizi.
È bene inoltre non dimenticare, da ultimo, dal punto di vista sociale e della qualità della vita, il beneficio legato al benessere individuale, al miglioramento del rapporto tra territorio-ambiente-inquinamento-mobilità-trasporti-urbanistica-ammodernamento tecnologico infrastrutturale.
Passiamo ora ad esaminare il più consolidato strumento, già adeguatamente normato, denominato Telelavoro.
IL TELELAVORO
ovvero la formula di lavoro “flessibile” sostenibile per eccellenza
Nato agli inizi degli anni ottanta è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge 16 giugno 1998 n.191, ovvero la cosiddetta Bassanini ter, nell’ottica di un’operazione di ammodernamento della P.A. con l’introduzione di forme di lavoro a distanza.
L’art.4, della citata legge, recita: “le Amministrazioni Pubbliche possono avvalersi di forme di lavoro a distanza, autorizzando i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa” .
Il Decreto istitutivo del telelavoro nella P.A. D.P.R. 8 marzo 1999 n.70 ha legittimato il ricorso ad uno strumento organizzativo che può favorire una diversa erogazione dei servizi da parte delle Amministrazioni Pubbliche.
I punti salienti del citato decreto sono:
a) definizione di telelavoro – “la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle Amministrazioni Pubbliche in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che consentono il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione stessa inerisce”;
b) indicazione delle caratteristiche e i criteri per l’installazione e l’utilizzo della postazione di telelavoro;
c) determina che i criteri per l’assegnazione dei propri dipendenti al telelavoro da parte delle Amministrazioni siano stabiliti dalla contrattazione collettiva comunque tra quelli che “consentono di valorizzare i benefici sociali e personali del telelavoro”;
d) stabilire per quanto concerne la determinazione dei progetti di telelavoro “nell’ambito degli obiettivi fissati annualmente, l’organo di governo di ciascuna amministrazione sulla base delle proposte dei responsabili degli uffici dirigenziali generali o equiparati, individua gli obiettivi raggiungibili mediante il ricorso a forme di telelavoro, destinando apposite risorse per il suo svolgimento.
L’Accordo quadro tra ARAN e le OO.SS. del settore pubblico del 24 marzo 2000 stabilisce i punti fondamentali per l’assegnazione dei dipendenti pubblici a progetti di telelavoro:
- l’assegnazione a progetti di telelavoro non muta la fattispecie giuridica del rapporto di lavoro
- i criteri di scelta per l’assegnazione dei dipendenti al telelavoro, in caso di richieste superiori al numero previsto dal progetto sono relativi: a) situazioni di disabilità psico-fisica tali da rendere disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro; b) esigenze di cura di figli minori di 8 anni o di familiari o conviventi; c) maggior tempo di percorrenza dall’abitazione del dipendente alla sede di lavoro
- l’assegnazione è revocabile, anche su richiesta del telelavoratore, a condizione che sia trascorso il periodo di tempo indicato nel progetto o si sia provveduto ad una sostituzione
- il dirigente può esercitare le sue funzioni svolgendo parte della propria attività in telelavoro
- la postazione di lavoro e gli adempimenti dell’Amministrazione: a) le spese d’installazione e manutenzione sono a carico dell’amministrazione come anche quelle relative al mantenimento dei livelli di sicurezza; b) le attrezzature informatiche, comunicative e strumentali sono concesse in comodato d’uso gratuito per la durata del progetto; c) l’amministrazione deve garantire che il telelavoro si svolga in piena conformità con le normative vigenti in materia di ambiente, sicurezza e salute dei lavoratori; d) l’amministrazione prevede l’effettuazione di iniziative formative tendenti a garantire un adeguato livello di professionalità e di socializzazione per gli addetti al telelavoro
- diritti ed obblighi del telelavoratore a) la prestazione di telelavoro può essere svolta secondo modelli innovativi e flessibili di distribuzione dell’orario di lavoro, ferma restando la quantità oraria globale prevista per il personale dell’amministrazione e secondo i criteri definiti nell’ambito della contrattazione di comparto per l’articolazione del tempo di lavoro e la determinazione delle fasce di reperibilità telematica; b) il lavoratore deve consentire l’accesso alla postazione ubicata presso la sua abitazione da parte degli addetti alla manutenzione, nonché del responsabile della prevenzione e protezione e del delegato alla sicurezza, c) al lavoratore è garantito l’esercizio dei diritti sindacali attraverso modalità di informazione, con l’uso di e-mail e apposite bacheche sindacali elettroniche.
La caratteristica primaria del Telelavoro è la “delocalizzazione”. Il lavoro, infatti, può svolgersi in qualsiasi luogo diverso dalla sede istituzionale di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile.
Questo luogo può indifferentemente essere di pertinenza del lavoratore, dell’amministrazione di appartenenza o di un’altra amministrazione, può anche svolgersi in luogo “altro” se pensiamo all’ipotesi del telelavoro “mobile” che si può svolgere anche all’aperto.
Origine e aspetti economico-sociologici del Telelavoro
L’avvento della rivoluzione industriale ha rappresentato una rivoluzione copernicana incidendo radicalmente sui molteplici aspetti della vita umana: è stato infatti la presenza delle macchine a richiedere l’aggregazione del lavoro sotto l’egida delle “fabbriche”.
L’organizzazione del lavoro nell’accezione moderna trova le sue origini grazie alle intuizioni dell’ingegnere americano F.W.Taylor: l’idea fondamentale sulla quale si basò fu quella di realizzare un incremento della produttività degli operai razionalizzando i metodi di lavoro ripartendo le diverse mansioni in operazioni semplici e circoscritte assegnando le stesse a più operatori, al fine di determinare maggiore specializzazione con la conseguenza di ridurre i tempi delle singole lavorazioni.
Ha questa nuova impostazione di organizzazione del lavoro ha notevolmente contribuito un altro ingegnere americano, H. Ford senior, il quale sviluppò un modello basandosi sui ritmi operativi e sul collegamento integrato delle operazioni, soprattutto nelle fasi di assemblaggio della produzione delle autovetture.
Si pensò di frazionare ulteriormente le mansioni lavorative rendendo mobili sia i piani di lavoro sia i componenti da assemblare, seguendo la logica dell’ormai nota catena di montaggio, caratterizzata da una produzione di massa standardizzata, dalla rigidità degli orari, dalla concentrazione dei lavoratori all’interno dell’unità produttiva (officine ed uffici) dalla coesistenza tra il tempo e il luogo della prestazione lavorativa.
L’avvento dell’informatica ha condotto al progressivo superamento dell’era fordista determinando processi automatizzati aventi criteri di specializzazione flessibile determinando la creazione di strutture agili, la nascita di nuove forme occupazionali e lo sviluppo di centri nodali alternativi collegati fra loro da reti virtuali.
Accanto allo sviluppo scientifico-tecnologico, le innovazioni organizzative, lo sviluppo delle comunicazioni hanno determinato la centralità del sapere rispetto al produrre, la prevalenza dei beni immateriali rispetto alla produzione di beni materiali creati in serie.
L’aspetto sociologico che ne è derivato contiene caratteristiche inedite nella storia della società moderna rappresentando un passaggio epocale della società industriale a quella post-industriale, caratterizzata da strutture e culture contrapposte alle precedenti.
Parliamo di una società in cui il lavoro tende a destrutturarsi, sia per la dimensione temporale sia per la dimensione spaziale, la metropoli rende difficile gli spostamenti quotidiani l’inquinamento ed il surriscaldamento globale sono tra le emergenze del nuovo millennio, la concentrazione tra tempo e luogo della prestazione lavorativa, a cui sono costretti ogni giorno milioni di lavoratori, non corrisponde più né ad una necessità reale della produzione né ad un bisogno effettivo dei singoli, e al contempo si contrappone alle esigenze della new economy.
Sempre più evidente si pone la parziale inutilità di un lavoro svolto in sedi centralizzate e si diffonde, progressivamente, l’aspirazione verso una gestione autonoma, flessibile, soggettiva e decentrata, del proprio lavoro.
Si prende coscienza delle opportunità offerte dal progresso tecnologico capace di offrire un accesso immediato a qualsiasi informazione e di annullare i vincoli spazio-temporali; ci si rende conto dell’assorbimento del lavoro ripetitivo ed esecutivo da parte delle macchine e della necessità che esso debba essere sostituito da una prestazione intellettuale di tipo creativo, sul quale rimane il monopolio dell’uomo.
Il primo capitolo della “bozza dei principi e linee guida sul telelavoro” redatta dal consiglio europeo nel 1997 recita testualmente: ”in tutto il mondo le tecnologie dell’informazione stanno generando una nuova rivoluzione industriale che si annuncia fin d’ora non meno importante e portatrice di conseguenze di quelle dei secoli passati”.
È una rivoluzione basata sull’informazione, essa stessa espressione della conoscenza umana: il progresso tecnologico ci consente oggi di elaborare, memorizzare, reperire e comunicare, l’informazione indipendentemente da come si estrinseca, orale, scritta, visiva, senza limiti di distanza, tempo e dimensione. È una rivoluzione che consente all’uomo di acquisire nuove capacità, “cambiando il nostro modo di lavorare e di vivere insieme”.
Si evidenzia quindi l’aspetto tecnologico, organizzativo e soprattutto culturale, con l’accettazione delle tendenze tipiche dell’era post-industriale, nella quale, le risorse chiavi, non sono più i beni materiali e l’energia ma le informazioni, le conoscenze scientifiche e la cultura.
All’interno di un contesto, quello attuale, in continua evoluzione, nasce e si sviluppa il concetto di telelavoro che prende avvio negli anni ’70 negli USA.
Si immaginò che l’impiego di tecnologie informatiche e telematiche, avrebbe potuto contribuire a decentrate le attività lavorative presso le residenze degli impiegati e nelle immediate vicinanze.
Per quanto riguarda la P.A., la prima che adottò il telelavoro fu quella americana, nel 1988 iniziò lo stato della California, successivamente seguito da altri stati.
In Italia lo sviluppo del telelavoro è stato promosso principalmente da Enti Pubblici come l’INPS, l’ACI ecc.
Tipi di Telelavoro
In ragione del luogo dello svolgimento della prestazione lavorativa si possono distinguere sei tipologie di telelavoro.
a) Telelavoro domiciliare (home based tele work): il prestatore di opera dal suo domicilio e comunica con l’azienda per mezzo di strumenti elettronici come il pc, il fax, il palmare, ecc. il computer può essere connesso stabilmente alla rete aziendale ovvero ci si collega solo per la ricezione e l’inoltro del lavoro.
b) Telelavoro da centro satellite. La prestazione lavorativa viene svolta in una filiale creata specificamente dall’azienda, che non è destinata alle esigenze della clientela ma bensì per i propri dipendenti che possono collegarsi telematicamente con la sede madre.
c) Telelavoro mobile (mobile telework): la prestazione si svolge per mezzo di un pc portatile, cellulare, ecc. da luoghi diversi spesso all’aperto. Tale modalità è diffusa principalmente tra lavoratori autonomi o a progetto.
d) Telelavoro da tele centri: il lavoro è svolto in appositi centri creati per lo scopo da consorzi di aziende o strutture aziendali affiliate.
e) Remotizzazione: il telelavoro è svolto da più persone che si trovano in luoghi diversi, ma che sono collegate tra loro.
f) Sistema diffuso d’azienda ovvero s’intende per accezione la cosi detta azienda virtuale, vale a dire esistente a livello di rete
Aspetti positivi e negativi del telelavoro
Al fine di introdurre con successo il telelavoro in una realtà aziendale, è necessario che venga rivisitata l’intera struttura organizzativa e ridisegnata in base a nuovi criteri, e solo dopo si potrà reingegnerizzare le modalità classiche di lavoro.
I cambiamenti che si richiedono sono la conseguenza diretta di un ampio processo di trasformazione organizzativa che sta, progressivamente, interessando il mondo aziendale e del lavoro e deriva, in ultima analisi, dal passaggio da una società industriale a una post industriale.
Un’azienda che vuole introdurre il telelavoro non può basare il proprio funzionamento su un’organizzazione di derivazione tayloristica. È necessaria di contro una struttura organizzata per processi rivolti a criteri di decentramento e flessibilità in cui il fulcro della produzione si sposta dalla lavorazione di materie ovvero realizzazione di beni materiali al trattamento e alla diffusione dell’informazione della conoscenza. E’ necessario, anche, modificare l’ambiente aziendale basato su rapporti prettamente gerarchici, sostanzialmente chiusi all’esterno, con altre concezioni che si basano su strutture più organiche aperte ai nuovi mercati, con presupposti di cooperazione e comunicazione dentro e fuori l’azienda.
In tale contesto le risorse umane assumono un ruolo determinante. Da una concezione di lavoro passivo si passa ad una concezione di lavoro propositivo, dove il lavoratore comprende, coordina, programma, inventa.
In una sola parola il lavoro diviene creativo ed ideativo con caratterizzazioni di controllo e regolazione degli eventi infarciti di processi informativi e decisionali basati sull’elevata conoscenza degli stessi processi, nonché sulla responsabilità.
Diventa quindi necessario gestire, in modo innovativo e flessibile, la risorsa umana. È necessario gestire non solo le esigenze del sistema produttivo ma anche e principalmente le esigenze e i bisogni degli individui che operano direttamente nel sistema d’impresa.
Migliore gestione del tempo personale non soltanto in rapporto all’attività lavorativa ma anche alla vita familiare, ai rapporti sociali, agli interessi personali, proiettandosi verso una maggiore responsabilità inerente i risultati, ma anche maggiore autonomia rispetto alle modalità di lavoro, e migliori condizioni di vita del lavoro.
È chiaro quindi che l’utilizzazione di forme di telelavoro può avere profonde ricadute sia sul sistema organizzativo che lo implementa che sui singoli individui che lo attuano.
Le stesse implicazioni possono assumere valenza positiva o negativa in base della specificità che caratterizza gli attori primari.
In conclusione non sono da sottovalutare i benefici che l’intero sistema sociale, nel suo complesso, può ottenere dalla diffusione del telelavoro.
In primis una drastica riduzione dell’impatto degli spostamenti collettivi, principalmente verso le grandi metropoli, rispetto all’inquinamento indotto. Migliore gestione degli spazi urbani e riqualificazione conseguente delle città. Ottimizzazione delle dimensioni spaziali delle aziende, migliore distribuzione dei costi passivi.
Lavoratore | Azienda | ||
---|---|---|---|
Vantaggi | Svantaggi | Vantaggi | Svantaggi |
Diminuzione del tempo dedicato agli spostamenti | Minore visibilità e carriera | Aumento della produttività (oltre il 10%) | Difficoltà nella gestione dei lavoratori distanti |
Lavoro secondo la propria disponibilità | Isolamento, riduzione della vita relazionale esterna | Diminuzione dei costi e delle dimensioni aziendali | Riorganizzazione culturale dei processi aziendali |
Aumento del tempo libero | Diminuzione del tempo libero | Maggiore motivazione dei dipendenti | Diversi contratti di lavoro da gestire |
Controllo per obiettivi | Minore guida ed aiuto nel lavoro | Riduzione del numero e ruolo dei capi intermedi | Conflittualità con i capi intermedi |
Maggiore vicinanza alla famiglia e amici | Maggiore vicinanza alla famiglia e amici | Minori spese per l’affitto degli immobili e turn over | Maggiori spese per apparati di telecomunicazione e formazione |
Libera scelta del posto dove vivere | Riduzione della distinzione spaziale tra casa e ufficio | Maggiore flessibilità organizzativa | Ridiscussione dell’organizzazione aziendale |
Il telelavoro nel vecchio continente
Recentemente è stato sottoscritto a Bruxelles l’accordo quadro sul telelavoro tra le organizzazioni datoriali e sindacali europee (Unice e Ces).
Tale accordo prevede il potenziamento dello sviluppo delle attività di telelavoro nel contesto europeo e disciplina specifiche misure di protezione dei lavoratori dipendenti che svolgono questa particolare attività di lavoro.
L’accordo riguarda circa quattro milioni di lavoratori ed è ispirato a principi di flex-security per i quali vi saranno casi in cui i datori di lavoro non potranno imporre il telelavoro (nel caso in cui non saranno previste preventivamente dette attività per cui il lavoratore è stato assunto) come pure i datori di lavoro potranno rifiutare la concessione del telelavoro. Gli stati membri dovranno recepire l’accordo quadro entro tre anni e vigilare sull’applicazione a livello nazionale di quelle norme fondamentali contenute nell’accordo.
Le garanzie generali si applicheranno a tutti i telelavoratori a prescindere dalla durata del contratto di lavoro. La disciplina comune a livello europeo coinvolge ora circa nove milioni di lavoratori che sono destinati a crescere significativamente nei prossimi anni.
I paesi più avanzati, dove la cultura del telelavoro si è maggiormente radicata, sono ad oggi quelli scandinavi, paesi dove è di largo uso internet e dove le tecnologie più progredite sono grandemente disponibili a cosi relativamente bassi, con una legislazione particolarmente duttile e una cultura aziendale aperta e innovativa, ma soprattutto una minor burocratizzazione rispetto a paesi come il nostro.
Le ragioni di un notevole ritardo nella diffusione di questa modalità lavorativa in Italia non sono da ricercarsi nei vincoli di natura tecnica ed economica, ma piuttosto in ragioni di tipo culturale ed organizzativo.
Da noi stenta ad affermarsi la cultura del decentramento e della flessibilità che è alla base delle principali esperienze di telelavoro realizzate a livello internazionale, ma anche i soggetti coinvolti agiscono ancora con forti condizionamenti di natura psicologica, connessi a timori di isolamento sociale e professionale.
L’ostacolo primario per l’intensificazione del telelavoro in Italia viene individuato nella eccessiva rigidità degli attuali modelli organizzativi, caratterizzati da una struttura fortemente gerarchica.
Le maggiori riluttanze provengono dallo stesso management aziendale preoccupato di perdere il proprio potere fondato sostanzialmente sul controllo diretto dei lavoratori e quindi non preparato ad un rinnovamento dei sistemi organizzativi e di gestione delle risorse umane (tesi sostenuta, tra gli altri, da G.Cassano). Ma anche le organizzazioni sindacali hanno espresso serie perplessità soprattutto nei riguardi del telelavoro domiciliare. Perdita di potere contrattuale dei lavoratori, eccessiva frammentazione della forza lavoro, rischio di cottimo telematico, difficoltà ad organizzare sindacalmente i telelavoratori.
Resistenze allo sviluppo del telelavoro
Rispetto alle previsioni sul telelavoro formulate decenni addietro pur nella consapevolezza dell’essere tecnicamente praticabile, non rappresenta oggettivamente quel fenomeno globale che si ipotizzava.
Ciò è parzialmente spiegabile con il fatto che non tutte le professioni sono ugualmente telelavorabili, che la gran parte delle aziende sono ancora rigidamente legate a criteri obsoleti di organizzazione, offrendo pochi margini alle modalità di telelavoro; il solo uso del pc non misura la tendenza concreta per la realizzazione di attività telelavorabili.
Alcune tipologie di lavoro si sposano più di altre alla loro commutazione in telelavoro considerando alcune peculiarità: programmazione dell’attività lavorativa – controllo e agevole valutazione dei risultati – esigenza marginale di comunicazione interna – gestire ed organizzare in modo autonomo l’attività lavorativa.
Testimonianza diretta della oggettiva riluttanza alla crescita del telelavoro è rappresentata dai semplici dati statistici. Infatti, nel 2008, il nostro Paese contava solo 800 mila telelavoratori, nel 2007 erano 700 mila ovvero il 3,2 % degli occupati, nel periodo 2007-2011 si stima una crescita superiore al 7% comunque molto al di sotto di altri Paesi (Scandinavi oltre il 27%, Regno Unito e Germania 17%, ecc.).
Altre ragioni della diversità del nostro paese sono rilevabili in un diverso sviluppo del modello economico, dove per la nostra economia il settore manifatturiero rappresenta un punto di forza e conseguentemente ineliminabile lo è anche la presenza fisica, in quanto lavoro manuale (come sostenuto da L.Solari).
Le Pmi piccole medie imprese, ossatura della nostra tipologia industriale, rappresentano anche la calamita rispetto alla localizzazione della forza lavoro distribuita sul territorio.
Come anche non secondaria è la tendenza dei nostri imprenditori a richiedere la presenza fisica giornaliera dei loro dipendenti con l’idea di attuare un maggior controllo sul lavoro svolto e del tempo dedicato ad esso, l’idea di fondo quindi è che chi sta nel suo posto di lavoro aziendale produce di più e meglio.
Anche le organizzazioni sindacali sono scarsamente convinte e proiettate su tale modalità di lavoro, ritenendo che “le persone hanno bisogno di parlarsi e di vedersi” (C.Treves - cgil) il posto di lavoro è elemento centrale anche in termini di relazioni sociali di integrazione e di crescita professionale (R.Polverini – ugl).
Il telelavoro riduce queste possibilità. È altamente positivo, per le persone diversamente abili, o nei momenti in cui, per motivi familiari, si deve necessariamente rimanere più tempo in casa, per esempio la maternità.
In definitiva, il concetto di lavoro inclusivo, continua ad essere una componente essenziale dello stesso. Anche la solitudine rappresenta un’ulteriore rischio, lavorare sempre da soli provoca il sentimento di isolamento e abbandono per questo deve prevedersi un certo quantitativo di tempo lavorativo da svolgersi all’interno dell’azienda.
L’Organizzazione tecnologica adeguata rappresenta costi certi per attrezzare compiutamente l’abitazione del telelavoratore, che non tutte le imprese possono supportare, quale investimento.
Non a caso le aziende che offrono maggiori opportunità di lavorare in remoto, sono le società che appartengono al settore delle telecomunicazioni (telecom in testa) che hanno cominciato questa esperienza da almeno un decennio e che hanno avuto il riconoscimento della qualità di best practice a livello nazionale ed internazionale.
Bibliografia:
g. bracchi – p. di nicola – r. trabucchi – f. butera
[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, Roma – titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro”. Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza ai sensi della Circolare del Ministero del Lavoro del 18-3-2004.
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