La convalida delle dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro
di Rita Carpino [*]
1. Premessa
Le dimissioni, considerate atto a forma libera, in quanto espressione del principio della libera recedibilità del lavoratore dal rapporto di lavoro, sono spesso fatte sottoscrivere illegittimamente in bianco dal datore di lavoro, già all’atto dell’assunzione, per poi essere da questo utilizzate quando ritenuto conveniente ed opportuno.
Per porre fine a tale pratica, il Parlamento aveva approvato la Legge del 17 ottobre 2007, n. 188 recante “Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d’opera e della prestatrice d’opera”, su disegno di legge del Governo Prodi che imponeva l’obbligo di redigere le dimissioni su apposito modello informatico predisposto e reso disponibile da uffici autorizzati.
Dal 5 marzo 2008 – secondo quanto disposto dalla predetta legge e dal relativo Decreto attuativo del 21 gennaio 2008 emanato dal Ministero del lavoro di concerto con il Ministero per le Riforme e l’Innovazione nella Pubblica Amministrazione (pubblicato sulla G.U. n. 42 del 19 febbraio 2008) – la procedura per le dimissioni andava eseguita obbligatoriamente on-line tramite il sito del Ministero del Lavoro, pena la nullità delle stesse. Tuttavia, nel giugno 2008, il Governo, con l’art. 39 comma 10, lettera l) del Decreto Legge n. 112 del 25 giugno 2008 (convertito, poi, nella Legge n. 133/2008), ha disposto l’abrogazione della legge n. 188/2007.
Con la Riforma del Lavoro Fornero (Legge. n. 92/2012), riprende la lotta alla pratica illegale delle dimissioni in bianco e alla risoluzione illegittima del rapporto di lavoro, quali le dimissioni fittizie. La Legge n. 92/2012, infatti, rafforza il regime della convalida delle dimissioni, già esistente per le lavoratrici ed i lavoratori che siano anche genitori, e reintroduce per la generalità dei lavoratori una procedura che garantisce la genuinità delle dimissioni, stabilendo anche una sanzione amministrativa (da euro 5.000,00 a euro 30.000,00), per il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto (art. 4 co 16-23). Stessa disciplina si applica anche per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anch’essa considerata espressione della libertà negoziale delle parti (art. 1372 comma 1 C.C.).
Il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, nel dettare le prime istruzioni operative, in tema di dimissioni e risoluzione consensuale, nella lettera circolare n. 18 del 18 luglio 2012, afferma che l’art. 4, commi 16-22, della legge n. 92/2012 introduce “un meccanismo volto ad asseverare la genuina volontà del lavoratore di dimettersi o di prestare il proprio consenso nell’ambito di una risoluzione consensuale del rapporto”, e rileva che si tratta di “una misura di tutela di indubbia importanza in quanto funzionale al contrasto di pratiche volte ad aggirare la disciplina di tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo con ulteriori ripercussioni sotto il profilo assistenziale”.
Prima di entrare nel merito delle procedure di convalida delle dimissioni volontarie e della risoluzione consensuale, va precisato che le dimissioni dei lavoratori o la risoluzione consensuale sono “sospensivamente condizionate” ad una convalida delle stesse. La norma, infatti, nel richiedere una seconda manifestazione di volontà del lavoratore, che si produce con la convalida dell’atto di recesso, sottopone la risoluzione del rapporto ad una condizione sospensiva legata alla convalida dell’atto stesso (art. 4 co. 17-23 Legge n. 92/2012).
2. Procedure di convalida e soggetti destinatari
La Legge Fornero distingue due procedure diverse.
La prima riguarda le lavoratrici in gravidanza e i lavoratori e le lavoratrici che siano anche genitori.
La riforma del lavoro modifica il comma 4 dell’art. 55 del Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, il D. Lgs. n.151/2001, allungando la durata del periodo in cui opera l’obbligo della convalida delle dimissioni volontarie, già prevista fino al primo anno di vita del bambino.
L’art. 4, comma 16, della legge n. 92/2012 recita: “la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per territorio”, nei seguenti casi:
- per la lavoratrice, durante il periodo di gravidanza;
- per la lavoratrice e il lavoratore, durante i primi tre anni di vita del bambino;
- per il lavoratore e la lavoratrice, nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’art. 54, comma 9, del D.Lgs. n. 151/2001.
Quindi viene esteso ai tre anni di vita del bambino la tutela della lavoratrice madre o del lavoratore padre. Il datore di lavoro che riceve la richiesta di dimissioni da un lavoratore/lavoratrice che si trovi in uno dei periodi di tutela indicati sopra, pertanto, informa il lavoratore/lavoratrice che per rendere valide le dimissioni deve recarsi presso la Direzione Territoriale del lavoro a effettuare la convalida. Il rapporto di lavoro non si intende cessato finché il lavoratore/lavoratrice non abbia convalidato le proprie dimissioni.
Su questo tema, è opportuno precisare che il Ministero del Lavoro, nell’interpello n. 6/2013, ha dichiarato, che la lavoratrice madre che si dimetta dal lavoro ha diritto all’indennità di disoccupazione solo se rassegna le dimissioni entro il primo anno di vita del bambino, periodo durante il quale vige il divieto di licenziamento per il datore di lavoro. Non rileva, quindi, il fatto che la riforma Fornero abbia esteso il periodo di convalida delle dimissioni da uno a tre anni. Con questo interpello il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha richiesto il parere della Direzione Generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in ordine alla corretta applicazione della disposizione normativa ex art. 55, D.Lgs. n. 151/2001, concernente la disciplina delle dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice madre nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento. L’interrogativo da sciogliere, in particolare, riguarda, se a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 92/2012, sulla convalida delle dimissioni per un periodo pari ai primi tre anni di età del bambino, la lavoratrice madre possa fruire dell’indennità di disoccupazione (ASPI) per il medesimo arco temporale e quindi fino ai tre anni del bambino. Il Ministero risponde che al fine di fornire la soluzione alla problematica sollevata occorre partire dalla lettura dell’art. 54, comma 1, del D.Lgs. n. 151/2001, ai sensi del quale “le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino”. In questo periodo opera infatti una tutela legale a favore della lavoratrice madre che supera il periodo di astensione obbligatoria post partum. Con riferimento al periodo in cui sussiste il divieto di licenziamento, l’art. 55, comma 1, D.Lgs. n. 151/2001 equipara la fattispecie delle dimissioni volontarie a quella del licenziamento verificatosi nel medesimo arco temporale ai fini della fruizione delle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali (come l’indennità di disoccupazione, oggi Assicurazione Sociale per L’impiego – Aspi). Alla luce delle norme in esame, si evince dunque, che la lavoratrice madre/lavoratore padre ha diritto a percepire l’indennità – compresa quella di disoccupazione involontaria - disposte nel’ipotesi di licenziamento, esclusivamente laddove abbia presentato la richiesta di dimissioni o sia stata licenziata entro il compimento di un anno di età del figlio.
Il Ministero chiarisce che la legge Fornero, con le modifiche introdotte e di cui di cui all’art. 55, comma 4, D.Lgs. n. 151/2001 ossia l’estensione della convalida delle dimissioni fino a tre anni di vita del bambino, ha inteso solo rafforzare la procedura volta ad asseverare la genuinità della scelta di porre termine al rapporto di lavoro. In definitiva, in risposta al quesito avanzato, il Ministero del Lavoro ritiene che l’estensione temporale dell’istituto della convalida non abbia riflessi sul diritto all’indennità erogata a seguito di dimissioni volontarie che, pertanto, può essere fruita solo nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento e cioè fino al compimento del primo anno di età del bambino.
La seconda procedura prevista dalla Legge n. 92/2012 riguarda la generalità dei lavoratori.
Anche in questo caso viene introdotto il regime della convalida con due metodi, uno alternativo all’altro. Questi sono previsti dai commi 17 e 18 dell’art. 4 della citata legge.
La convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del lavoratore e della lavoratrice si può ottenere presso alcune sedi che già svolgono importanti funzioni in materia di lavoro, e cioè la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL), il Centro per l’impiego territorialmente competente, o le sedi individuate dai Contratti Collettivi Nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale[1]. In alternativa, il lavoratore, può convalidare le dimissioni sottoscrivendo una dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, che l’azienda è obbligata a inviare al Centro per l’impiego entro 5 giorni dalla data in cui è prevista la cessazione del rapporto. Ne consegue la necessità di definire il momento a partire dal quale (c.d. dies a quo) scaturisce l’obbligo di comunicare la cessazione del rapporto di lavoro al Centro per l’impiego, anche al fine di non incorrere nella sanzione amministrativa stabilita ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003, in un importo da euro 100,00 a euro 500,00.
La lettera circolare n. 18273 del Ministero del Lavoro del 12/10/2012 ha chiarito che, quanto all’insorgenza dell’obbligo di comunicare la risoluzione del rapporto a seguito della procedura di cui all’art. 4, commi 16-22, della L. n. 92/2012, lo stesso non può che coincidere con il momento a partire dal quale il lavoratore (nel caso di dimissioni) o le parti (nel caso di risoluzioni consensuali) intendono far decorrere giuridicamente la stessa risoluzione. A titolo esemplificativo, qualora in una lettera di dimissioni presentata l’1 giugno si faccia riferimento alla data del 30 giugno, quale ultimo giorno di lavoro, dal 1 luglio decorreranno i 5 giorni per comunicare al Centro per l’impiego la cessazione del rapporto. Resta ferma la possibilità di effettuare la comunicazione in un periodo antecedente. Nell’ipotesi di revoca delle dimissioni, continua la nota ministeriale, occorre evidenziare che la stessa non potrà che comportare, in caso di comunicazione già effettuata, l’insorgere di un nuovo obbligo comunicazionale.
Nel caso in cui il lavoratore non provveda alla convalida o alla sottoscrizione, il datore di lavoro è tenuto nel tempo massimo di giorni 30 decorrenti dalla fine del rapporto di lavoro (anche in questo caso la nota ministeriale n. 18273/2012 chiarisce che i 30 giorni decorrono dalla cessazione giuridica del rapporto) ad invitare per iscritto il lavoratore a presentarsi nelle sedi previste per la convalida o per effettuare la sottoscrizione. Se il datore di lavoro non provvede nei termini indicati, le dimissioni si intendono prive di effetto (art. 4 comma 22, legge n. 92/2012).
Il lavoratore entro sette giorni dall’invito del datore di lavoro può:
- aderire all’invito formulato dal datore di lavoro;
- non aderire all’invito formulato e in questo caso il rapporto di lavoro si intende risolto;
- revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale.
La circolare n. 18/2012 del Ministero del Lavoro chiarisce che l’eventuale revoca della dimissioni – “seppur non imposta dalla legge in forma scritta” – deve essere formalizzata per evitare dubbi sulla effettiva volontà e per prevenire possibili contenziosi. Va rilevato che ai sensi dell’art. 4, comma 21, della legge n. 92/2012 la revoca “può essere comunicata in forma scritta “, senza alcuna obbligatorietà. Comunque, una volta comunicata, le dimissioni o la risoluzione consensuale perdono la loro efficacia e il contratto di lavoro tra le parti torna ad avere il suo normale corso dal giorno successivo alla comunicazione della revoca . Per quanto riguarda il periodo che intercorre tra la data di presentazione delle dimissioni e la data della revoca, il lavoratore non ha diritto retributivo qualora in tale periodo non sia stata svolta la prestazione lavorativa.
L’obbligo di convalida, di cui alla legge Fornero n. 92/2012, riguarda le dimissioni presentate o le risoluzioni consensuali concluse a decorrere dal 18 luglio 2012. Inoltre, la circolare n. 18/2012, in un ottica di semplificazione, afferma che la convalida non è richiesta in tutte le ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro rientri nell’ambito di procedure di riduzione del personale svolte in una sede qualificata istituzionale o sindacale, poiché tali sedi offrono le stesse garanzie di verifica della genuinità del consenso del lavoratore cui è preordinata la novella normativa.
3. Apparato sanzionatorio ed estensione della disciplina
Il comma 23 dell’art. 4 della riforma del lavoro sanziona duramente il datore di lavoro in tema di dimissioni in bianco: “Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, è punito con la sanzione amministrativa da euro 5.000,00 a euro 30.000,00. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni Territoriali del Lavoro. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge n. 689/1981”. La violazione non è sanabile, pertanto non è applicabile l’istituto della diffida obbligatoria ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. n.124/2004.
Da ultimo, il cosiddetto Decreto Lavoro, Legge n. 76/2013 ha esteso la procedura di convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale (le disposizioni di cui ai commi da 16 a 23 dell’art. 4 legge n. 92/2012), per quanto compatibile anche alle lavoratrici e ai lavoratori impiegati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto di cui all’art. 61, comma I del D.Lgs. n. 276 /2003 ed a quelli impiegati con contratto di associazione in partecipazione di cui all’art. 2549, secondo comma del Codice Civile.
Note
[1] Sul tema si veda interpello 35/2012 del 22/11/2012 con il quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in risposta al quesito avanzato dall’Università degli Studi di Firenze , chiarisce che l’art. 4 commi 16-22, Legge 22/2012, in materia di validazione delle dimissioni presso la competente Direzione Territoriale del Lavoro, ovvero presso i Centri per l’impiego o altre sedi individuate dalla Contrattazione Collettiva, non sia immediatamente applicabile con riferimento al personale contrattualizzato delle Università e, più in generale, delle pubbliche amministrazioni.
[*] L’Avv. Rita Carpino è funzionario ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in servizio presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono esclusive del libero pensiero dell’autrice e non impegnano, in alcun modo, l’amministrazione di appartenenza.
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