La tutela del lavoro dei Minori
di Luigi Oppedisano e Pasqualina Nardi [*]
1. Profilo storico
Il lavoro dei minori è sempre stato oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, che nel corso degli anni è più volte intervenuto con strumenti legislativi e regolamentari a favore di una delle “fasce deboli” della società per tutelarne la particolare condizione. Per tali motivi, nel corso degli anni si è registrata una continua evoluzione normativa.
Nel nuovo stato unitario, l’unica norma di tutela a favore dei lavoratori minori era R.D. 23 dicembre 1865, ereditato dalla normativa piemontese e che prevedeva il divieto di impiegare i fanciulli di età inferiore a 10 anni in lavori minerari sotterranei. A tale norma si aggiunge una legge del 1873 che vietava l’impiego dei fanciulli nelle professioni girovaghe. Successivamente il legislatore attua i primi interventi nel campo del lavoro minorile con la legge 11 febbraio 1886, n. 3657 (c.d. legge Berti dal nome del ministro dell’istruzione dell’epoca) e stabilisce i limiti dell’età minima di ammissione al lavoro a nove anni. La norma riguarda il lavoro dei fanciulli negli opifici, nelle cave e nelle miniere, il lavoro notturno ai minori di età superiore ai dodici anni, nonché la durata massima dell’orario di lavoro giornaliero di otto ore, ha rappresentato il primo importante caso in Italia di legislazione sociale che si inserisce nella contrattazione privata dei rapporti tra gli imprenditori e gli operai. Il relativo regolamento di attuazione prevedeva anche una sanzione che andava dalle 50 alle 100 lire per ogni fanciullo tenuto a lavoro in violazione alla legge. Sanzioni di gran lunga inferiori a quelle del testo originario di 7 anni prima, fissate fino a 500 lire per ogni fanciullo. Questa legge non fu mai interamente applicata poiché mancavano i necessari presupposti economici e politici. Inoltre lo Stato non aveva nominato ispettori per controllare l’applicazione della legge stessa.
La legge 19 giugno 1902, n. 242 (c.d. legge Carcano) univa in una disciplina di carattere igienico-sanitaria la tutela delle donne e dei fanciulli. Questa norma fissava a 12 anni il limite di età per l'ammissione al lavoro dei fanciulli. La legge prevedeva inoltre che una commissione avrebbe deliberato quali lavori particolarmente rischiosi e pericolosi sarebbero stati vietati ai minori di 15 anni.
Il R.D. 7 agosto 1936, n. 1720, composto da un solo articolo presentava due tabelle. La tabella A conteneva l’elenco di 70 categorie di lavori che sono vietati a fanciulli e donne minorenni. La norma, prevedeva la figura dell’ispettore corporativo con compiti di verifica e controllare sui luoghi di lavoro al fine di evitare pericoli alla salute ed all’integrità fisica di fanciulli e donne minorenni. Nella tabella B era presente un elenco di 24 categorie di mansioni che i fanciulli e le donne minorenni potevano svolgere, volti a prevenire e tutelare la salute e l'integrità fisica degli stessi per come indicato dall'ispettore corporativo.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Dichiarazione 20 novembre 1959 si è pronunciata a favore di tale categoria protetta con la “Dichiarazione dei diritti del fanciullo” che sancisce una serie di diritti e di divieti ed al principio 9° prevede: “il fanciullo deve essere protetto contro ogni forma di negligenza, di crudeltà o sfruttamento. Egli non deve essere sottoposto a nessuna forma di tratta. Il fanciullo non deve essere inserito nell’attività produttiva prima di avere raggiunto un’età minima adatta. In nessun caso deve essere costretto o autorizzato ad assumere una occupazione o impegno che minacciano alla sua salute o che ostacolino il suo sviluppo fisico, mentale o morale”.
Nel quadro generale degli attuali diritti, svolgere un lavoro subordinato presuppone la sottoscrizione di un contratto con un altro soggetto. Perché tanto sia possibile, è necessario che il lavoratore possegga la capacità di agire, cioè quella capacità di poter compiere atti ed azioni previsti dalla legge. Con particolare riferimento al rapporto di lavoro, tale capacità deve intendersi come capacità di esercitare praticamente i diritti e le azioni che fisiologicamente derivano dal medesimo rapporto. Al riguardo occorre aver cura di valutare quanto stabilito dalla normativa civilistica la quale prevede che la capacità di agire si acquisisce normalmente al conseguimento della maggiore età, cioè a 18 anni, salvo che le leggi speciali stabiliscano un’età inferiore in materia[1], in tal caso il soggetto minorenne è autorizzato all’esercizio dei diritti e degli obblighi che derivano dal rapporto di lavoro.
Per quanto attiene la sottoscrizione del contratto di lavoro subordinato, nonostante il silenzio della norma, a livello ordinamentale si ritiene che il minore acquisisca la capacità di stipulare il contratto di lavoro alla stessa età prevista dalle diposizioni speciali in tema di capacità a prestare il proprio lavoro.
Un discorso differente varrebbe per il minorenne bambino, di età inferiore ai 16 anni, in quanto in tale ipotesi si ritiene che, pur essendo di fatto ammesso alle attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario, il bambino possa esercitare i diritti e le azioni che derivano dal rapporto di lavoro, ivi compresa la sottoscrizione del contratto, solo con l’assistenza dei titolari della potestà genitoriale, in considerazione del fatto che la stessa legge attribuisce ai genitori un ruolo decisivo nell’instaurazione del rapporto di lavoro del figlio.
La legge 17 ottobre 1967, n. 977, recante il titolo “Tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti”, modificata dal D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 345, di attuazione della direttiva 94/33/CE e dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 262, è la norma regolamentare dell’intera disciplina del lavoro dei minorenni. Il nuovo provvedimento, pur mantenendo l'impianto generale della precedente normativa, ha carattere profondamente innovativo, proponendosi di equilibrare progressivamente la realtà lavorativa dei giovani di età inferiore ai diciotto anni al modello europeo[2]. Il legislatore ha voluto unificare le disposizioni in materia di lavoro minorile, estendendo la sua applicazione a tutti i rapporti di lavoro, ordinari e speciali, che riguardino i minori dei diciotto anni. Le nuove disposizioni si applicano, perciò, anche all'apprendistato, nonché a tutte le rimanenti forme contrattuali previsti dalla vigente legislazione. Secondo quanto previsto dalla norma, si definisce minore chi non ha ancora compiuto 18 anni di età. La normativa non si applica nei confronti dei bambini e degli adolescenti addetti ai servizi familiari per come previsto dalla lettera a) dell’articolo 2 della legge n. 977/1967, lavoranti a domicilio di cui alla lettera b) dell’art. 2 della predetta norma, agli occupati a bordo delle navi ed agli occupati negli uffici o nelle aziende dello Stato, delle Regioni, delle province e dei comuni e degli altri enti pubblici, a condizione che disposizioni legislative prevedano un trattamento più favorevole.
Il legislatore ha voluto dare una definizione molto chiara del termine “bambino” ed “adolescente”. Per “bambino” si intende il minore – uomo e donna – che non ha compiuto i 15 anni di età e per “adolescente” si intende il minore di età compresa tra i 15 ed i 18 compiuti.
La normativa prevede che il datore di lavoro, prima di adibire il minorenne al lavoro, deve effettuare una valutazione particolare dei rischi in ordine a:
- sviluppo non ancora completo, mancanza di esperienza e di consapevolezza nei riguardi dei rischi lavorativi, esistenti o possibili, in relazione all'età;
- attrezzature e sistemazione del luogo e del posto di lavoro;
- natura, grado e durata di esposizione agli agenti chimici, biologici e fisici;
- movimentazione manuale dei carichi;
- sistemazione, scelta, utilizzazione e manipolazione delle attrezzature di lavoro, specificatamente di agenti, macchine, apparecchi e strumenti;
- pianificazione dei processi di lavoro e dello svolgimento del lavoro e della loro interazione sull'organizzazione generale del lavoro;
- situazione della formazione e dell'informazione dei minori.
Quanto alle lavorazioni vietate, la nuova disciplina all’articolo 7 preclude l'adibizione degli adolescenti ad una serie di attività elencate nell'allegato I, con espressa abrogazione delle disposizioni contenute nel D.P.R. 20 gennaio 1976, n.432 riguardante i lavori vietati ai fanciulli ed agli adolescenti. Il summenzionato allegato distingue tra esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici, processi e lavori. Nel merito, per quanto riguarda i divieti di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici, va detto dapprima che gli stessi sono stati inseriti dalla direttiva 94/33 CE del 22 giugno 1994, anche se la gran parte era già presente nella previgente legislazione. Si fa comunque rilevare che con riguardo ai singoli agenti, il divieto di esposizione al rumore non opera inconsapevolmente ma deriva dall’attenta valutazione dei rischi e scatta a partire da un livello di 80 dB. Mentre per gli agenti chimici , fermo restando il divieto incondizionato di esposizione agli agenti definiti come molto tossici, tossici, corrosivi, esplosivi e molto infiammabili, per gli agenti nocivi ed irritanti il divieto vige solo per quelli definiti con le frasi di rischio e sono vietati solo quelli sensibili per inalazione o per contatto cutaneo. Per quanto concerne i divieti riferiti a processi e lavori, si evidenzia che solo alcuni divieti sono stati inseriti dalla direttiva europea, mentre la parte più rilevante è stata ripresa dalla previgente legislazione in corrispondenza al particolare criterio di delega secondo cui l'attuazione di una direttiva non può costituire occasione per il peggioramento del livello di protezione. E’ giusto, comunque, sottolineare che, laddove il divieto è riferito solo ad alcune fasi del processo produttivo, lo stesso si riferisce a tali specifiche fasi e non all'attività nel suo complesso.
Il legislatore comunitario, con la direttiva 13 dicembre 2011, n. 92, ha inteso tutelare i minori con nuovi strumenti di contrasto degli abusi sessuali e della pornografia minorile. La predetta direttiva è stata recepita dal legislatore italiano con il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 39 che, introducendo al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, l'art. 25 bis, ha previsto a carico dei soggetti che intendono impiegare al lavoro persone per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate e che implicano contatti diretti e regolari con minori, deve richiedere, prima di stipulare il contratto di lavoro e, pertanto, prima dell’assunzione al lavoro, il certificato del casellario giudiziale della persona da impiegare, al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluni reati di cui agli articoli 600 bis (prostituzione minorile), 600 ter (pornografia minorile), 600 quater (detenzione di materiale pornografico), 600 quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) e 609 undieces (adescamento minorenni) del codice penale, ovvero, l'assenza di misure interdittive che comportano il divieto di contatti diretti e regolari con minori. L’obbligo non sorge, al contrario, qualora il soggetto si avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all’interno di un definito rapporto di lavoro[3].
Non vi è alcun dubbio che tra gli organi amministrativi deputati ad irrogare la suddetta sanzione amministrativa vi siano comprese le Direzioni Territoriali del Lavoro che, tra l’altro, sono già competenti a verificare la regolarità del rapporto di lavoro e le condizioni di sicurezza dei minori.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali[4] nel fornire indicazioni di carattere operativo al personale ispettivo delle DTL ha confermato che il predetto adempimento riguarda i nuovi rapporti di lavoro instaurati successivamente al 5 aprile 2014 e la norma comprende sia le tipologie di lavoro subordinato che quelle di natura autonoma. Il suddetto Ministero, inoltre, chiarisce che rimangono esclusi dalla sfera sanzionatoria quei rapporti di volontariato il cui obbligo di richiedere il certificato rimane solo qualora detti organismi assumano la veste di datore di lavoro e che rimangono esclusi dal campo di applicazione i datori di lavoro domestico .
2. Età minima per l’ammissione al lavoro
La Costituzione all’articolo 37 prevede che sia la legge a stabilire il limite minimo di età per il lavoro salariato[5].
Il limite minimo per l’ammissione al lavoro è previsto dall’articolo 3 della Legge n. 977/1967 che, come modificato dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 345/1999, così recita: “l’età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non inferiore a 15 anni compiuti”. La Legge 27/12/2006, n. 296, all’articolo 1, comma 622, modificando l’articolo 3 della predetta Legge n. 977/1967, ha elevato a 10 anni l’obbligo di istruzione e, conseguentemente, l’età per l’accesso al lavoro passa da 15 a 16 anni. La stessa norma rimanda la decorrenza dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione a partire dall’anno scolastico 2007/2008.
Dal punto di vista sostanziale si sottolinea che l’età minima di ammissione al lavoro non può, tuttavia, essere inferiore all’età in cui cessa l’obbligo scolastico essendo ammesso un legame funzionale tra l’accesso al lavoro e l’assolvimento dell’obbligo scolastico poiché quest’ultimo, rivolto a tutelare la crescita psico-intellettiva del minore, fa pensare raggiunta da parte dello stesso la maturità necessaria affinché possa svolgere legalmente l’attività lavorativa. Proprio per questo, l’età minima per stipulare un contratto di lavoro è sottoposta ad un duplice requisito: il compimento dell’età minima prevista dalla legge (16 anni) e l’assolvimento dell’obbligo di istruzione (per almeno 10 anni)[6]. Nel merito, il Decreto Ministeriale 9 agosto 1999, n. 323 del Ministero della Pubblica Istruzione ha precisato che nel computo dei 10 anni vanno considerati validi anche gli anni di ripetizione di una stessa classe[7]. Se dovesse mancare uno dei suddetti requisiti non si può, sicuramente, stipulare un contratto di lavoro, atteso che i due beni costituzionali – il lavoro e l’istruzione – sono ugualmente garantiti ed il legislatore ha inteso favorire quello collegato all’istruzione.
Si evidenzia che qualora il minore da avviare al lavoro è un cittadino extracomunitario, ulteriore requisito per la regolare assunzione sarà il possesso di un titolo di soggiorno che consente lo svolgimento di attività lavorativa.
L’articolo 48, comma 8, della legge 4 novembre 2010, n. 183 introduce un'eccezione all’età minima per accedere al lavoro. La norma prevede che i soggetti che hanno compiuto 15 anni e che non hanno ancora assolto all'obbligo di istruzione, possono entrare nel mondo del lavoro con un contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, finalizzato all'assolvimento dell'obbligo e al conseguimento di una qualifica professionale, ovvero l'apprendistato "per la qualifica e per il diploma professionale". Si aggiunge, al riguardo, che il D.Lgs. n. 167/2011 ha confermato quanto già previsto dal suddetto art. 48 della legge n. 183/2010[8].
Le sole eccezioni al limite di età sono disciplinate dall’art.4 della legge n. 977/1967, come sostituito dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 345/1999 e dal D.M. 27 aprile 2006, n. 218. Esse riguardano l’impiego di bambini in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo, pubblicitario, nel settore dello spettacolo e nei programmi televisivi. La prestazione può essere autorizzata solamente con provvedimento della Direzione Territoriale del Lavoro, previo assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale, purché si tratti di attività che non pregiudicano la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale.
Particolare importanza, per l’applicazione della normativa, bisogna riconoscere alla direttiva 94/33/CE del 22 giugno 1994, la quale ha stabilito i principi base per rivisitare la disciplina dei rapporti di lavoro dei minorenni. In primo luogo è stato fissato il limite del quindicesimo anno d’età come requisito per accedere nel mondo del lavoro, secondariamente è stato stabilito che il giovane, prima di ogni cosa, deve intraprendere un percorso di istruzione e formazione professionale. In attuazione alla suddetta direttiva il governo ha provveduto a riorganizzare la materia del lavoro minorile con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 345 e successivamente modificato dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 262 al quale sono seguite altre disposizioni a livello locale.
Gli artt. 3 e 4, comma 1), della legge n. 977/1967, come modificata rispettivamente dagli artt. 5 e 6 del D.Lgs. n. 345/1999 prevedono limitazioni nell’organizzazione dell’orario di lavoro dei minori. L’orario convenzionale previsto è di 8 ore di lavoro al giorno con interruzione dopo le 4 ore e mezza, intervallato da un riposo di almeno 1 ora o di mezz’ora, secondo taluni CCNL, e di 40 settimanali, i minori non possono svolgere lavoro straordinario.
I minori hanno diritto ad un periodo di riposo settimanale di almeno due giorni, se possibili consecutivi comprendenti la domenica; tale riposo può essere ridotto, ma mai al disotto delle 36 ore consecutive, per comprovate ragione di ordine tecnico-organizzativo. Per alcune attività il riposo settimanale può essere concesso il giorno non coincidenti con la domenica, per i settori : turistico, alberghiero o di ristorazione, attività culturali, artistiche, sportive e pubblicitarie.
L’assunzione di un minorenne è subordinata all’effettuazione di una visita medica preventiva che ne accerti l’idoneità alla specifica attività lavorativa cui sarà adibito. L’idoneità alla mansione del minore sarà oggetto di periodico controllo, fino al compimento della maggiore età, con visite ad intervalli non superiori a un anno. Le modalità di esecuzione delle visite mediche si distinguono a seconda che il datore di lavoro sia soggetto o meno all’obbligo di sorveglianza sanitaria. Qualora vi sia l’obbligo di sorveglianza sanitaria, il lavoratore minorenne deve essere sottoposto a visita da parte del medico competente regolarmente nominato in azienda. Qualora, il datore di lavoro non sia sottoposto al succitato obbligo, sia la visita preassuntiva che quelle periodiche dovranno essere effettuate, a cura e spese del datore di lavoro, presso l’Asl territorialmente competente ovvero presso un medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale.
3. Orario di lavoro
L'orario di lavoro dei minori di anni 15, liberi dagli obblighi scolastici, non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 ore settimanali[9]. I minori di 15 anni che non hanno invece assolto il predetto obbligo, possono svolgere attività lavorativa soltanto se la durata della prestazione risulta compatibile con la frequenza della scuola e con l'adempimento dei relativi doveri di studio. Durante il periodo estivo i minori di anni 15 che abbiano concluso con profitto l'anno scolastico possono essere considerati temporaneamente liberi dall’obbligo scolastico[10].
L'orario di lavoro dei minori di età compresa tra i 15 e i 18 anni non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali. I suddetti limiti devono essere rispettati anche qualora i minori siano adibiti a lavori discontinui. Gli adolescenti, inoltre, non possono essere adibiti al trasporto di pesi per più di 4 ore durante la giornata, compresi i ritorni a vuoto. La normativa prevede che i minorenni non possono essere adibiti a lavorazioni effettuate con il sistema dei turni "a scacchi" a meno che tale sistema sia consentito dai contratti collettivi di lavoro e rimane, in ogni caso, subordinata all'autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. Non è consentito ai lavoratori minorenni di svolgere prestazioni di lavoro straordinario.
L'articolo 20 della legge stabilisce altresì che l'orario di lavoro dei bambini e degli adolescenti non può durare, senza interruzione, più di 4 ore e mezza e, nel caso che l'orario di lavoro giornaliero superi il predette limite, deve essere interrotto da un riposo intermedio della durata di almeno un'ora, riducibile a mezz'ora dai contratti collettivi o, in mancanza, dalla Direzione Territoriale del Lavoro, quando il lavoro non presenta caratteri di pericolosità o gravosità e sentite le competenti associazioni sindacali. La Direzione Territoriale del Lavoro può tuttavia proibire la permanenza dei minorenni nei locali di lavoro durante i riposi intermedi e prescrivere che il lavoro dei minori non duri, senza interruzione, oltre le 3 ore qualora ritenga che esso abbia caratteri di pericolosità o gravosità.
La normativa prevede il divieto di adibire i minori al lavoro notturno, intendendosi per notte un periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l'intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le ore 23 e le ore 7. In deroga al suddetto divieto la legge prevede che la prestazione lavorativa del minore impiegato nelle attività di carattere culturale, artistico, sportivo, pubblicitario e dello spettacolo può protrarsi non oltre le ore 24. In tale ipotesi il minore deve beneficiare, a prestazione terminata, di un periodo di riposo di almeno 14 ore consecutive. Inoltre, la norma prevede che gli adolescenti che hanno compiuto 16 anni possono essere, eccezionalmente e per il tempo strettamente necessario, adibiti al lavoro notturno quando si verifica un caso di forza maggiore che ostacola il funzionamento dell'azienda, purché tale lavoro sia momentaneo e non ammetta ritardi, non siano disponibili lavoratori adulti e siano concessi periodi equivalenti di riposo compensativo entro tre settimane. Il datore di lavoro in tale ipotesi deve informare tempestivamente la Direzione Territoriale del Lavoro indicando i nominativi dei lavoratori e le ore di lavoro, le condizioni formanti la forza maggiore.
4. Il regime sanzionatorio
L’impianto sanzionatorio fissato dell’articolo 26 della legge n. 977/1967 ha previsto nei confronti dei trasgressori sia sanzioni amministrative che penali. Il legislatore ha previsto sanzioni anche per chi esercita la potestà genitoriale sul minore. Le violazioni possono essere di due tipi:
- illeciti di natura amministrativa, puniti con sanzione amministrativa;
- illeciti di natura penale punti con l’arresto ovvero con pena alternativa dell’arresto fino a 6 mesi o dell’ammenda.
In ordine agli illeciti amministrativi gli stessi possono essere estinti, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 124/2004, pari al minimo edittale, mediante il pagamento dell’importo entro il termine di giorni 15 dalla notifica dell’atto, ovvero entro il termine di giorni 45 dalla notifica dell’atto qualora con lo stesso sia impartita la diffida alla regolarizzazione di violazioni ancora non sanate.
Inoltre, il relativo illecito amministrativo può essere estinto con il pagamento, entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notifica della violazione, di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa, o, se più favorevole, al doppio del minimo della sanzione edittale, oltre alle spese del procedimento.
Entro il termine di 30 giorni dalla contestazione o dalla notifica dell’illecito gli interessati possono presentare scritti difensivi o documenti e possono chiedere l’audizione diretta alla Direzione Territoriale del Lavoro quale autorità competente a ricevere il rapporto per le violazioni amministrative e ad emettere l’ordinanza-ingiunzione per il pagamento, ovvero a disporre l’archiviazione degli atti nel caso in cui dovesse procedere all’accoglimento delle osservazioni dell’interessato.
In caso di illeciti penali, le contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda potranno essere estinti effettuando l’adempimento e versando una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilito per la contravvenzione commessa. L’organo di vigilanza che accerta la violazione ha l’obbligo di riferire al Pubblico Ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione e di comunicare successivamente allo stesso l’adempimento della prescrizione ed il pagamento della somma, ovvero l’inadempimento.
Nella prima ipotesi il Pubblico Ministero richiede l’archiviazione, mentre nella seconda farà seguito un procedimento penale a carico del contravventore, nell’ambito del quale un eventuale adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione sono valutati ai fini dell’applicazione dell’oblazione. Le contravvenzioni punite con il solo arresto sono invece connotate da una maggiore gravità e per esse non è consentita l’estinzione attraverso l’oblazione.
Violazione | Penalità |
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Art. 4, comma 1. Divieto di adibire al lavoro i minori al lavoro. |
Art. 26, comma 1. Arresto fino a sei mesi |
Art. 6, comma 1. Divieto di adibire gli adolescenti alle lavorazioni indicate nell’allegato I |
Art. 26, comma 1. Arresto fino a sei mesi |
Art. 8, comma 7. Divieto di far proseguire il lavoro al minore risultato non idoneo a seguito di visita medica. |
Art. 26, comma 1. Arresto fino a sei mesi |
Art. 3. Divieto di adibire i minori al lavoro in assenza della conclusione del prescritto periodo di istruzione o non aver compiuto i 15 anni di età. |
Art. 26, comma 2. Arresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art. 6, comma 2. Divieto di svolgimento da parte degli adolescenti delle lavorazioni indicate nell'allegato I senza la sorveglianza di formatori competenti. |
Art. 26, comma 2. Arresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art. 7, comma 2. Mancata comunicazione delle informazioni di cui all'art. 24 del D.Lgs. n. 626/1994 e successive modificazioni ai titolari della potestà genitoriale. |
Art. 26, comma 2. rresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art. 8, commi 1, 2, 4, 5. Mancata visita medica. |
Art. 26, comma 2. rresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art.15, comma 1. Lavoro notturno. |
Art. 26, comma 2. rresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art. 17, comma 1. Lavoro notturno dei minori impiegati nelle attività di cui all'art. 4, c. 2, oltre le ore 24 o mancata concessione del periodo di riposo. |
Art. 26, comma 2. rresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art. 18. Violazione all’orario di lavoro. |
Art. 26, comma 2. rresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art. 21. Adibizione dei minori a lavori gravosi e pericolosi per più di 3 ore senza interruzione. |
Art. 26, comma 2. rresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Art. 22. Riposo settimanale. |
Art. 26, comma 2. rresto non superiore a sei mesi o ammenda fino a € 5.164,57. |
Violazione | Penalità |
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Art. 3. Violazione al divieto dell’età minima e della formazione scolastica del minore per l'ammissione al lavoro. |
Art. 26, commi 6 e 2. Arresto non superiore a tre mesi o ammenda fino a € 2.582,82. |
Art. 4, comma 1. Violazione al divieto di adibire al lavoro i bambini minori di 15 anni. |
Art. 26, commi 6 e 1. Arresto fino a tre mesi |
Art. 6, comma 1. Violazione al divieto di adibire gli adolescenti alle lavorazioni, ai processi e ai lavori indicati nell'Allegato I |
Art. 26, commi 6 e 1. Arresto fino a tre mesi |
Quanto al procedimento di estinzione delle violazioni, si segnala che è applicabile il procedimento prescrittivo di cui al D.Lgs. n. 758/1994, come modificato dall'art. 15 del D.Lgs. n. 124/2004 in quanto con riferimento alla condotta, sebbene ormai esaurita, può essere impartita la c.d. prescrizione ora per allora che consente l'estensione del beneficio anche nelle ipotesi di reintegrazione fittizia dell'ordine giuridico violato.
Alle sanzioni amministrative previste dalla legge n. 977/1967, in assenza di specifica previsione, si ritiene sia applicabile l’istituto della diffida di cui all’articolo 13 del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, secondo la quale il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma in misura del minimo edittale o un terzo del massimo, qualora la norma sanzionatoria non prevede un minimo. Per un quadro riassuntivo delle fattispecie sanzionatorie degli illeciti amministrativi in materia di orario di lavoro si rinvia al prospetto che segue.
Fonte normativa | Norma sanzionatoria | Importo € | Diffidabile art. 13 D.Lgs. n. 124/2004 |
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Art. 4, comma 2. Obbligo dell’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. |
Art. 26, comma 4. | Fino a 2.582 | Sì |
Art. 6, comma 3. Divieto di far svolgere agli adolescenti le attività di cui all'allegato I. |
Art. 26, comma 5. | Fino a 2.582 | Sì |
Art. 8, comma 6. Obbligo di comunicazione riguardante il giudizio sull'idoneità del minore al lavoro. |
Art. 26, comma 3. | Da 516 a 2.582 | Sì |
Art. 17, comma 2. Rispetto delle condizioni richieste per lo svolgimento da parte degli adolescenti di lavoro notturno nei casi di forza maggiore. |
Art. 26, comma 3. | Da 516 a 2.582 | Sì |
Art. 19. Divieto di adibire gli adolescenti al trasporto di pesi oltre un certo limite ed a lavorazioni con il sistema dei turni a scacchi. |
Art. 26, comma 3. | Da 516 a 2.582 | Sì |
Art. 20, commi 1 e 2. Riposi intermedi. |
Art. 26, comma 3. | Da 516 a 2.582 | Sì |
Il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 39 ha previsto la seguente sanzione pecuniaria amministrativa da applicare a carico del datore di lavoro che non adempie all’obbligo di richiedere il certificato penale del casellario giudiziale dei lavoratori da impiegare al lavoro e che comportano contatti con minori.
Fonte normativa | Norma sanzionatoria | Importo € |
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Art. 25 bis, co. 1, DPR 14/11/2002, n.313 Mancata richiesta del certificato penale del casellario giudiziale del lavoratore da impiegare al lavoro che comportino contatto con minori. |
Art. 25bis, co.2, DPR 14/11/2002, n.313 | da 10.000 a 15.000 |
Il trasgressore può estinguere, entro i termini stabiliti dalla notifica, l’illecito mediante il versamento dell’importo di 5.000 euro, un terzo del massimo, che risulta più favorevole rispetto al c.d. doppio del minimo.
5. Conclusioni
Il lavoro dei minori, insieme a quello delle donne, sin dalla nascita dello Stato Italiano è stato considerato meritorio di particolare tutela da parte della legislazione al fine di evitare condizioni di sfruttamento nell’ambito del lavoro subordinato.
La disciplina legislativa sui minori si è distinta, fin dalla sua origine, dalla necessità rispetto alla normativa sulla tutela del lavoro in genere, di considerare la capacità di lavoro in relazione all’età del giovane in fase di crescita, con le conseguenti modalità di impiego ad essa adeguate. Proprio per tali finalità, la legge 17 ottobre 1967, n. 977 tutela il lavoro subordinato svolto dai bambini e dagli adolescenti e stabilisce: l’età minima di ammissione al lavoro, la durata minima del corso degli studi, la limitazione dell’orario di lavoro, il divieto di effettuare lavoro notturno e di eseguire prestazioni di lavoro straordinario, i lavori vietati, il divieto di esposizione al rumore, la valutazione di specifici rischi, il controllo sanitario, il riposo giornaliero e settimanale.
Il livello di tutela stabilito dal legislatore ha raggiunto condizioni rispettabili per una società moderna, come quella italiana. Comunque, l’auspicio degli scriventi, proprio in questo momento di recessione economica, è quello di non vedere negate quelle garanzie ormai conquistate a favore dei minori e di altri soggetti meritevoli di particolare tutela.
Note
[1] L’articolo 2 del c.c. prevede: “La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un'età diversa.
Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un'età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all'esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro.
[2] In tal senso si è espresso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare 5 gennaio 2000, n. 1.
[3] In tal senso si è espresso il Ministero della Giustizia con la circolare del 3/4/2014 e delle due note di chiarimento dell’Ufficio legislativo dello stesso Ministero, in merito alla portata applicativa delle disposizioni dell’articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39, in materia di lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile.
[4] Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la nota 11/4/2014, n. 37 ha fornito indicazioni operative al personale ispettivo in ordine all’applicazione del decreto legislativo 39/2014.
[5] L’articolo 37 della Costituzione prevede: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
[6] Il MLPS nella circolare 5 gennaio 2000, n. 1 ha evidenziato con estrema chiarezza che “per determinare il limite di età per l'instaurazione di un rapporto di lavoro con minori occorre verificare la sussistenza di due requisiti: il compimento del quindicesimo anno di età e l'avvenuto assolvimento dell'obbligo scolastico”.
[7] L’articolo 1, comma 3, del D.M. 9 agosto 1999, n. 323 del Ministero dell’Istruzione stabilisce: “Ha adempiuto all’obbligo scolastico l’alunno che abbia conseguito la promozione al secondo anno di scuola secondaria superiore; chi non l’abbia conseguita è prosciolto dall’obbligo se, al compimento del quindicesimo anno di età, dimostri di avere osservato per almeno nove anni le norme sull’obbligo scolastico”.
[8] Il D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167 c.d. “testo unico sull’apprendistato” all’articolo 3, comma 1, prevede: “Possono essere assunti con contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, in tutti i settori di attività, anche per l'assolvimento dell'obbligo di istruzione, i soggetti che abbiano compiuto quindici anni …”.
[9] L’articolo 18 della legge n. 977/1967 prevede: “Per i bambini, liberi da obblighi scolastici, l'orario di lavoro non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 settimanali. Per gli adolescenti l'orario di lavoro non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 settimanali”.
[10] Il MLPS con la circolare n. 183/1972 ha stabilito che “durante il periodo estivo i minori di anni 15 che abbiano concluso con profitto l'anno scolastico possono essere considerati temporaneamente liberi da obblighi scolastici”.
[*] Il dott. Luigi Oppedisano e la dott.ssa Pasqualina Nardi sono funzionari del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in servizio presso la DTL di Cosenza. Le considerazioni esposte in questo articolo sono frutto esclusivo del libero pensiero degli autori e, ai sensi della vigente normativa, non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l'Amministrazione di appartenenza.
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