Trattamento di fine rapporto garantito in tempi di crisi
di Gianna Elena De Filippis [*]
Il TFR tra i crediti di lavoro
Il contenzioso tra lavoratori e datori di lavoro per i crediti da lavoro insoddisfatti continua ad aumentare notevolmente in questi anni. Stante la drammatica condizione del settore produttivo italiano, si intende osservare, in questa sede, la faccia della “medaglia” dal lato del lavoratore-creditore con particolare attenzione al trattamento di fine rapporto.
Il nostro ordinamento giuridico opera secondo il postulato chiovendiano in attuazione del quale il creditore deve poter conseguire “tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire”[1], essendo creditore, più precisamente, della prestazione nella quale si concreta l’attuazione di un suo diritto[2]. Ciò a volere stabilire che ogni credito andrebbe soddisfatto, prioritariamente, in maniera “perfetta” e specifica e, solo in via secondaria, in maniera generica, vigendo il brocardo giuridico Nemo ad factum praecise cogi potest.
I crediti di lavoro possono essere di diversa natura e originano dallo “schema” civilistico del contratto a prestazioni corrispettive al quale si “aggancia” un ulteriore rapporto fondamentale con gli enti assistenziali-previdenziali. In forza della prestazione lavorativa effettuata, il lavoratore, dunque, vanta, per citarne solo alcuni, crediti per la propria retribuzione ordinaria, per le ore di lavoro straordinario, per la maggiorazione spettante da lavoro a turni e notturno, per le varie numerose indennità stabilite dai CCNL e dalla legge (es. indennità di cassa; per lavorazioni nocive, disagiate, pericolose; indennità per vacanza contrattuale, di trasferimento, di trasferta, altre), per le mensilità aggiuntive, per TFR, per tutto quanto previsto ex lege e da contrattazione collettiva, e crediti di natura assistenziale-previdenziale verso l’INPS e l’INAIL al verificarsi di determinati eventi.
Fermo il principio generale di cui all’art. 2740 c.c. secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e il principio della par condicio creditorum, ex art. 2741 c.c., per i crediti di lavoro l’ordinamento fissa privilegi[3] di particolare importanza. In merito ai privilegi generali sui mobili, l’art. 2751 bis c.c., ad esempio, pone al primo posto, tra i crediti privilegiati, le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile. Qualora i beni mobili non siano sufficienti per soddisfare i crediti del lavoratore, questi crediti sono collocati sussidiariamente sul prezzo ricavato dalla vendita degli immobili, con preferenza rispetto ai soli crediti chirografari, ex art. 2776 c.c..
In merito all’ordine dei privilegi, infine, l’art. 2777 c.c. stabilisce che, immediatamente dopo le spese di giustizia, sono collocati i crediti aventi privilegio generale mobiliare tra cui si ritrovano, in prima posizione, le retribuzioni, le indennità dovute alla cessazione del rapporto di lavoro, le altre voci già su indicate.
Considerevole, dunque, l’attenzione del legislatore per i crediti di lavoro e per la tutela dei lavoratori a fronte dell’inadempimento retributivo datoriale. Si tratta di diritti soggetti a prescrizione. Come noto, il termine di prescrizione è decennale per tutti i diritti per i quali la legge non disponga diversamente ed è, invece, quinquennale per tutti i casi di cui all’art. 2948 c.c., tra cui rientrano le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, la retribuzione ordinaria e gli altri crediti di lavoro per i quali l’adempimento datoriale avviene periodicamente ad anno o in termini più brevi (art. 2948, n.4, c.c.).
Il TFR, Trattamento di fine rapporto, è un emolumento spettante ex lege ad ogni lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2120 c.c. . Esso si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. A fronte dell’obbligo datoriale di soddisfare questo diritto del lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro, ogni impresa è tenuta ad effettuare l’accantonamento del TFR, che è, sostanzialmente, una forma di retribuzione differita e che, al verificarsi dell’evento futuro ed incerto della cessazione del rapporto, va corrisposta al lavoratore. Questo accantonamento viene registrato nello stato patrimoniale del bilancio d’impresa, nel passivo ex art. 2424 c.c..
Per completezza argomentativa si rammenta che, a garanzia del credito di lavoro per TFR e, di fatto, per rimpinguare le casse dell’INPS, dal 1°/1/2007, per le imprese con almeno 50 dipendenti, l’accantonamento del TFR non può più avvenire in azienda bensì, obbligatoriamente, presso il Fondo Tesoreria presso l’INPS.
Tutto ciò premesso, in merito alle garanzie per il TFR dei lavoratori, momento di svolta si è avuto con la direttiva n. 987/80 del Consiglio della CEE, del 20 ottobre 1980 e, successivamente, con la direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro.
La direttiva ha inteso proteggere i lavoratori dipendenti che hanno spettanze pendenti rispetto a un datore di lavoro che risulta in stato di insolvenza. Lo stato di insolvenza fa seguito ad un’istanza di procedimento giudiziario che comporta lo spossessamento parziale o totale del datore di lavoro e la designazione di un curatore, nel caso in cui l’autorità giudiziaria competente ha deciso l’apertura del procedimento oppure ha constatato la chiusura definitiva dell’impresa o dello stabilimento del datore di lavoro e l’insufficienza dell’attivo disponibile.
Gli Stati membri dell’Unione europea (UE) potevano, in via eccezionale, escludere dall’ambito di applicazione della direttiva i diritti di alcune categorie di lavoratori subordinati in presenza di altre forme di garanzia e di tutela equivalente. Essi, inoltre, potevano escludere dalla protezione della direttiva i lavoratori domestici occupati presso una persona fisica e i pescatori retribuiti a percentuale. Al di fuori delle eccezioni di cui sopra, tutti i lavoratori possono, oggi, avvalersi della garanzia che si spiegherà di seguito, a prescindere dalla durata del contratto di lavoro. Pertanto, essa si applica anche ai lavoratori a tempo parziale, ai lavoratori con contratto a tempo determinato e ai lavoratori aventi un rapporto di lavoro interinale.
Il Fondo di garanzia presso l’INPS
Nel 1982, in attuazione dei vincoli comunitari, dunque, la legge n. 297/1982 istituisce, ex novo, in Italia, il Fondo di Garanzia per il TFR presso l’INPS. Successivamente, il d.lgs. n. 80/1992 estende la garanzia alle ultime tre retribuzioni spettanti al lavoratore. Ulteriori integrazioni vengono disposte con il d.lgs. n. 186/2005 a recepimento della direttiva europea sulle situazioni transnazionali.
Oggi il Fondo di Garanzia è un fondo gestito dall'Inps; esso eroga il trattamento di fine rapporto (TFR) e le ultime tre mensilità spettanti al lavoratore in sostituzione del datore di lavoro insolvente.
Opera a favore di tutti i lavoratori dipendenti da aziende private che abbiano cessato un rapporto di lavoro subordinato (inclusi apprendisti e dirigenti di aziende industriali) o “aventi diritto” (ex art. 2122 c.c., coniuge, figli e, se a carico del lavoratore, anche parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo) e, dal 1°/7/1997, anche ai soci delle cooperative di lavoro.
Eventuali domande presentate da società finanziarie o altri cessionari del credito di TFR sono automaticamente respinte dall’INPS. Il Fondo è finanziato dal datore di lavoro con contributi di diversa entità. Il contributo è dello 0,20%, in caso di aziende iscritte all'l'INPS; è dello 0,30%, in caso di aziende iscritte all’INPGI e dello 0,40%, in caso di dirigenti di aziende industriali (ex INPDAI). A seguito della riforma della previdenza complementare, inoltre, è previsto l’esonero dal versamento di questo contributo nella misura del TFR da versare al Fondo di Tesoreria presso l’INPS ovvero nella misura del TFR maturando presso fondi di previdenza complementare (art. 10, d.lgs. n. 252/2005)[4].
Per l’intervento del Fondo di Garanzia è necessario presentare apposita domanda all’INPS territorialmente competente attraverso un modulo prestampato e disponibile on line sul sito www.inps.it.
In merito alla richiesta di intervento del Fondo di Garanzia, si distingue tra l’ipotesi di insolvenza accertata in sede concorsuale[5] e l’ipotesi relativa al procedimento esecutivo avviato nei confronti del datore di lavoro inadempiente.
Nel primo caso, il lavoratore presenta all’ente domanda di TFR decorsi 15 giorni dal deposito dello stato passivo reso esecutivo (fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria) o dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza (decreto) di omologazione o dalla cessazione del rapporto di lavoro se questo è proseguito dopo l’apertura della procedura concorsuale (esercizio provvisorio). Nel caso di opposizioni, occorre attendere la sentenza che le decide.
Per quanto concerne il requisito dell'insolvenza di datori di lavoro soggetti alla legge fallimentare[6], questo requisito va dimostrato unicamente mediante l'apertura di una procedura concorsuale.
Nel caso in cui il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 10 della legge fallimentare, non risulti soggetto a fallimento per aver cessato l'attività di impresa da oltre un anno, va considerato non soggetto a fallimento (sent. C. Cass. n. 1178/2009; INPS, circ. n. 32/2010). L'espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267/1942” va interpretata nel senso che l'azione verso il Fondo di Garanzia è ammessa ogni volta che il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento per mancanza dei requisiti soggettivi di cui all’art. 1, legge fallimentare, e anche per sue condizioni e ragioni oggettive ( sent. C. Cass, n. 4585/2011).
Il lavoratore, dunque, per ottenere l'immediato pagamento di quanto dovuto da parte del Fondo deve provare la cessazione del rapporto di lavoro, l’accertamento del credito di TFR, l'inadempimento posto in essere dal debitore e lo stato di insolvenza in cui verte quest'ultimo.
In caso di datore di lavoro non soggetto alla legge fallimentare, il dipendente deve anche dimostrare che il datore di lavoro non è soggetto alle procedure esecutive concorsuali e che mancano o sono insufficienti le garanzie patrimoniali del debitore (Cass. 22647/2009; INPS, circ. n. 32/2010). “Al fine di ottenere dall’INPS il pagamento del trattamento di fine rapporto in sostituzione del datore di lavoro fallito, il lavoratore è tenuto a corredare la relativa istanza con la documentazione necessaria richiesta dall’ente previdenziale cui non incombe l’obbligo di provvedere d’ufficio all’acquisizione dei dati necessari per la liquidazione del dovuto”, così C. Cass. sent. n. 7355/1999.
Le erogazioni vengono eseguite dall’ente entro 60 giorni dalla richiesta, decorrenti dal giorno in cui il lavoratore interessato assolve al proprio onere di consegnare all’ufficio competente la domanda completa e corredata da tutta la documentazione.
A fronte di eventuale rigetto della domanda, è ammesso ricorso amministrativo al Comitato provinciale INPS entro 90 giorni dalla ricezione del provvedimento. Il Comitato ha 90 giorni per decidere. Decorso inutilmente questo termine, il lavoratore può presentare ricorso al giudice entro un anno decorrente dal giorno di scadenza per la decisione del ricorso.
Se l’impresa è stabilita in uno stato membro dell’UE diverso da quello di residenza del dipendente, l’organo di garanzia competente è quello dello stato in cui si apre la procedura concorsuale o viene dichiarata la chiusura dell’impresa o stabilimento del datore di lavoro.
I termini di prescrizione per richiedere il TFR è di 5 anni ma il decorso del termine è sospeso dall’ammissione del credito allo stato passivo del fallimento. Il lavoratore non può ottenere il TFR prima della verifica della esistenza e della misura del credito in sede concorsuale. Dunque, ex art. 2935 c.c., la prescrizione non può decorrere in data antecedente all’ammissione al passivo.
Nell’altra ipotesi, riguardante l’inadempienza del datore di lavoro accertata al di fuori di una procedura concorsuale, il lavoratore può presentare domanda al Fondo di Garanzia solo dopo l’esperimento dell’esecuzione forzata con esito negativo. In tal caso, il termine per presentare domanda decorre dal momento in cui l’esecuzione coattiva nei confronti del datore di lavoro inadempiente non si è conclusa positivamente per il lavoratore.
A seguito del pagamento, il Fondo di garanzia è surrogato di diritto nella medesima posizione e nel medesimo grado, al lavoratore e ai suoi aventi causa. L’INPS partecipa, pertanto, al riparto dell’attivo per ottenere, ove vi sia capienza, il rimborso di quanto anticipato ai lavoratori. Giova ricordare, concludendo, che il legislatore, modificando, nel 2007, l’articolo 115, comma 2, legge fallimentare, ha stabilito che “se prima della ripartizione i crediti ammessi sono stati ceduti, il curatore attribuisce le quote di riparto ai cessionari, qualora la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l’intervenuta cessione. In questo caso, il curatore provvede alla rettifica formale dello stato passivo. Le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione del creditore”. Dunque, non serve più l’insinuazione tardiva del Fondo, bensì è sufficiente una richiesta di surroga direttamente al curatore per le variazioni dello stato passivo. I crediti del Fondo godono dello stesso privilegio spettante ai lavoratori e, dunque, il Fondo assume la stessa posizione giuridica del creditore originario[7].
Note
[1] G. Chiovenda, Istituzioni di dir. Proc. Civ., I, Napoli, 1935
[2] C. Mandrioli, Diritto processuale civile, IV, G. Giappichelli Editore.
[3] Il privilegio è una causa di prelazione ovvero un titolo di preferenza che attribuisce al creditore, titolare di esso, la possibilità di recuperare il credito “con preferenza” rispetto agli altri creditori non privilegiati.
[4] La garanzia del Fondo e la relativa contribuzione sono esclusi per l’importo del TFR devoluto ai fondi di previdenza complementare o al fondo tesoreria gestito dall’INPS.
[5] R.D. n. 267/1942, Art.5. Stato d'insolvenza. L'imprenditore che si trova in stato d'insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
[6] R.D. n. 267/1942 e successive modifiche ed integrazioni.
[7] Per approfondimenti, La tutela del lavoratore nei confronti dell’insolvenza del datore di lavoro, di Gaetano Zilio Grandi, Mauro Sferrazza, in Diritto delle Relazioni Industriali, n. 1/XXIV – 2014.
[*] Vincitrice 2012 del Premio Massimo D’Antona. Consulente del lavoro. Articolista e responsabile blog Lavoro-Nuove Formule, Nuove Esigenze, Nuove Priorità, su www.professionegiustizia.it.
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