Di questa pandemia, delle sue possibili origini, di come fronteggiarla nel presente e di come ostacolarla nel futuro, si è detto abbastanza. Si è anche ipotizzato che d’ora in avanti le abitudini degli abitanti della terra muteranno. Inoltre la maggior parte dei media è concorde nell’affermare che sinora si è esagerato nel pretendere troppo da madre natura e che diventa indispensabile ridimensionare le nostre pretese su di essa.
Ora non ho le competenze per poter approfondire le varie tesi su questo argomento, ma mi sento in dovere di dire la mia sugli effetti collaterali che ha provocato e i possibili cambiamenti che investiranno nel prossimo futuro la Pubblica Amministrazione, in quanto dipendente del settore per quarant’anni, sin dalla prima Repubblica.
Ovviamente il quadro di riferimento è di parte, e quindi si limita a mettere sotto osservazione il Ministero del Lavoro e le due agenzie ANPAL e INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro).
Prima dell’attuale epidemia gran parte dei dipendenti operanti nelle tre anzidette Amministrazioni erano insoddisfatti delle condizioni di lavoro, delle retribuzioni stagnanti, della poca considerazione che la pubblica opinione serbava loro e stanchi di essere additati come la sola causa della asfissiante burocrazia che penalizza fortemente ogni attività produttiva.
Il grande timore di venir contagiati in qualsiasi momento e addirittura di poter abbandonare questa sede terrestre ha fatto riflettere tutti: dirigenti e lavoratori. Il possibile tsunami economico che potrà ricadere su ogni attività lavorativa con possibile danno sul mondo del lavoro ha, infatti, fatto scoprire ai dipendenti pubblici che le loro retribuzioni non sono poi così male, anzi forse sopra la media nazionale e, grazie alla stabilità del rapporto di lavoro non si rischia né il licenziamento, né il ricorso alla cassa integrazione.
Non solo. Sino a qualche tempo fa i sindacati stentavano a concludere accordi relativi al telelavoro e al più vantaggioso “lavoro agile”, per le resistenze della controparte, nonostante l’emanazione della legge 81 del 2017 e la successiva direttiva della Presidenza del Consiglio (n. 3 del 1/6/2017) regolatrici di tale modalità di lavoro. Ciò perché la maggior parte delle Amministrazioni vedeva il lavoro agile con un certo sospetto, considerando la gran parte dei pubblici dipendenti potenziali furbetti che lontano dal posto di lavoro avrebbero prodotto molto ma molto poco.
Ma il propagarsi del virus, secondo la concezione dantesca del contrappasso, ha imposto l’utilizzo in tutti gli uffici pubblici del lavoro agile per gran parte del personale, salvo l’erogazione di servizi pubblici essenziali e indifferibili. Al Ministero, all’Anpal e all’Ispettorato (INL), all’inizio del propagarsi dell’epidemia e con l’attuazione della quarantena, sono state dichiarate indifferibili attività che hanno coinvolto solo circa il 5% del personale. Pertanto il rimanente 95% è rimasto a casa ed ha lavorato in modalità agile.
È vero che l’impreparazione delle Amministrazioni a fronteggiare un’organizzazione di lavoro così diversa e mai affrontata seriamente, ha portato disfunzioni, malintesi e produttività spesso non eccellente, ma è anche vero che i lavoratori pur in condizioni non ottimali, hanno utilizzato, nella grande maggioranza, salvo una ristretta cerchia di “lavativi”, la strumentazione informatica ben oltre le 36 ore settimanali e le tre Amministrazioni sono rimaste “disorientate” nel constatare l’impegno consistente profuso, inimmaginabile solo alcuni mesi prima.
Certamente le Amministrazioni dovranno adottare e dare ai lavoratori “agili” una diversa attrezzatura informatica, la quale verrà utilizzata soltanto per il lavoro d’ufficio evitando di usare strumentazioni personali, poi dovrà essere prevista una formazione più qualificata (sia di base che specialistica) per garantire anche la salute del lavoratore e la sicurezza e la protezione dei dati e infine iniziare subito la contrattazione integrativa con le OO. SS. per prevedere una diversa organizzazione degli uffici che tenga anche conto della diffusione di questa modalità di lavoro per poterla utilizzare con la dovuta razionalità.
Ma le sorprese non sono finite. Intanto l’andamento della contaminazione del “virus cinese” ha stimolato una produzione notevole di atti governativi mai vista: DPCM, delibere, direttive, circolari, note prefettizie, determine, ecc.
Ebbene questo turbinio di norme ha coinvolto maggiormente l’INL, che ha parallelamente divulgato una miriade di note che, come spesso, purtroppo, accade sono state recepite e date loro attuazione in modo restrittivo da molti e in modo corretto da pochi uffici.
Auspico, quindi, una maggiore vigilanza da parte del vertice amministrativo perché le direttive vengano rispettate in modo uniforme sul territorio.
Comunque, c’è un rischio, a mio avviso, da non sottovalutare, ovvero che l’eccesso di ricorso al lavoro agile possa garantire pochi spazi a un po’ di vita sociale. Si salta dalla sedia della postazione informatica alla pentola che bolle in cucina, senza badare ad orari o pause. Per cui è possibile che si “splafoni” l’orario giornaliero di lavoro e si ottenga qualche pasto forse, per distrazione, troppo cotto…, e quindi oltre a una insoddisfacente alimentazione dei lavoratori si rischia l’isolamento, la privazione dei rapporti amicali e un poco di vita all’aria aperta, e aver pochissimo tempo da dedicare alla frequentazione delle personali amicizie o ad altro. Insomma il tempo residuo per se stessi potrà essere molto ridotto e pertanto si dovrà anche prevedere una disconnessione dalla rete delle attrezzature in fasce orarie obbligatorie per consentire un giusto equilibrio tra vita privata e professionale.
È indispensabile e inevitabile, quindi, che la politica debba modificare e integrare le norme su tale modalità di lavoro per consentire veramente un utilizzo intelligente e proficuo.
Concludo affermando che nonostante tutto, molti dei nostri colleghi, dipendenti pubblici, sono più rilassati, meno preoccupati per eventuali decurtazioni della retribuzione e quindi del loro futuro. Per quanto riguarda il problema dell’ammodernamento strutturale e di un nuovo modello operativo non posso che essere preoccupato in considerazione di un’assenza progettuale da parte dei vertici politici e amministrativi dei nostri tre enti (Ministero del Lavoro, I.N.L., A.N.P.A.L.) mai tanto necessaria come in questo momento in cui è necessario un ripensamento generale dell’aspetto istituzionale, economico e del lavoro, Ad esempio quale dovrà essere l’obiettivo da raggiungere (cosiddetto piano industriale) specialmente nel campo della vigilanza? E quale diversa organizzazione e con quali figure professionali per affrontare questo futuro incerto? E quale maggiore investimento nella formazione, essenziale per poter voltare pagina?
Non mi piace apparire come una novella Cassandra, e spero di essere smentito dai fatti, ma mi accorgo che i nostri vertici attualmente sono molto, ma molto distratti e non pongono l’attenzione dovuta su questo delicato scenario che si potrebbe delineare.
[*] Responsabile amministrativo UILPA Lavoro-INL-ANPAL
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