Sono trascorsi 21 anni dall’omicidio del Prof. Massimo D’Antona, giuslavorista, consulente del Ministro del Lavoro Antonio Bassolino (Governo D’Alema), che lo ricorda con queste parole: “Massimo D’Antona era un riformatore vero, sempre dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori. La sua competenza ed autorevolezza erano riconosciute da tutte le forze sociali, come ho potuto verificare in tante occasioni. Lo ricordo con enorme stima e fraterno affetto: è anche nel suo nome che deve andare avanti la battaglia per il diritto al lavoro e per nuovi diritti nel lavoro”.
Un omicidio progettato e portato a termine da un commando delle Brigate Rosse, nell’anniversario della emazione della Legge 300 (Statuto dei Lavoratori). Una organizzazione terroristica che, secondo la ricostruzione della moglie del giuslavorista, Olga D’Antona, già dal 1992 aveva ripreso a trasmettere segnali della sua presenza, purtroppo sottovalutati. Ricordiamo che nel 1992 l’attenzione della politica e delle Forze dell’ordine fu tutta concentrata sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Secondo la vedova D’Antona tre sono le parole chiave nei documenti delle BR che vale la pena di decifrare: centralità, selezione e calibramento. Oggi vorrei provare a ricordare il giuslavorista D’Antona attraverso queste tre parole, sganciandole da una cultura di morte.
Un tentativo forse rivoluzionario e che certamente non vuole mancare di rispetto alla vittima, ai suoi cari, alla sua memoria. La sfida, infatti, è quella di provare ad abbandonare una cultura di morte per abbracciare una cultura di vita. Sono le nostre azioni che possono attribuire alle parole significati diversi.
Secondo la cultura di morte delle Brigate Rosse, la centralità si riferisce all’argomento intorno al quale si concentra l’attenzione di quello che loro chiamano il “potere dominante”; la selezione alla scelta delle figure chiave da sopprimere perché coinvolte con successo nel processo da sconvolgere; il calibramento alla capacità di non fare il passo più lungo della gamba, di calibrare le proprie forze e portare a compimento un progetto, seppure di morte.
È stato piuttosto facile raggiungere un uomo privo di scorta, così come qualche anno dopo accadrà con Marco Biagi.
Tre parole per negare e sopprimere il diritto di un uomo alla vita, all’autodeterminazione, alla libertà. Pochi attimi, tanta ferocia.
E veniamo al tentativo di rileggere le tre parole attraverso una cultura di vita. Prenderò in prestito, in alcuni passaggi, il ricordo del prof. Roberto Romei, autore del testo “Massimo D’Antona giurista costruttivo”, e di Claudio Palmisciano, nel 2004 Presidente della Fondazione Massimo D’Antona (Onlus).
Non ci sono dubbi che per il giuslavorista Massimo D’Antona la centralità di tutto, del suo lavoro, del suo impegno sia stata la persona. Da valorizzare, non da sopprimete. Oggi, quando di affronta il tema del lavoro, ricorre spesso l’espressione “mettere la persona al centro”. Ecco, Massimo D’Antona ci dimostra come farlo: impegnandosi a trovare soluzioni buone in un tempo in continua evoluzione. Senza avere paura di osare, ma accompagnando le sfide che i cambiamenti in atto ci lanciano. “Un giurista non astratto”, come lo ha definito il prof. Roberto Romei.
Un costante impegno per un sindacato capace di accompagnare i cambiamenti nel mondo del lavoro, senza irrigidimenti ideologici. “Era convinto che il sindacato dovesse fare propria la sfida della flessibilità, esattamente perché era consapevole dell’esigenza di andare verso quella direzione, al passo con il contesto europeo. Era favorevole, quindi, alla introduzione di nuove forme di flessibilità a condizione, però, che le stesse fossero accompagnate da tutele forti che garantissero a ogni individuo/lavoratore la possibilità di portare avanti il suo progetto di vita nel rispetto della dignità di ognuno”. (Claudio Palmisciano)
Chissà cosa direbbe oggi di fronte a sindacalisti come Marco Bentivogli (CISL)! Certamente sarebbe contento del suo impegno a rinnovare il sindacato. E di fronte alle nuove forme di lavoro? Lo smart working, i rider, la schiavitù del caporalato, i navigator, il reddito di cittadinanza, il Codice degli appalti e molto altro al tempo della pandemia.
Ancora Palmisciano: “Sulla pubblica amministrazione va ricordato che, le uniche azioni che hanno in qualche modo rappresentato un’importante spinta all’innovazione ed alla semplificazione sono quelle sostenute da Massimo D’Antona, che hanno consentito di dar vita alla cosiddetta Privatizzazione del diritto del lavoro pubblico, portate avanti nel 1993 (Governo Amato) e nel 1998 (Governo D’Alema). Due provvedimenti molto complessi e articolati ma che, fra le molte innovazioni contenute, sancivano la piena responsabilizzazione della dirigenza pubblica anche con l’introduzione del principio fondamentale della separazione tra le funzioni di indirizzo politico e le funzioni di gestione ma, in particolare, con la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro e la generalizzata applicazione delle norme del codice civile nel pubblico impiego.
Soprattutto, va evidenziato, le nuove norme si proponevano di accrescere l’efficienza delle amministrazioni e di razionalizzare il costo del lavoro pubblico; per la prima volta nella gestione degli uffici venivano introdotti i principi di speditezza, economicità e trasparenza“.
Massimo D’Antona viene ricordato soprattutto per aver contribuito al “Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione” (1998). Un patto firmato da Governo, Associazioni imprenditoriali e Organizzazioni sindacali con nel cuore il rafforzamento della concertazione. La sua opera, evidentemente, va molto oltre. Selezione, dunque, intesa come scelta di temi cui far convergere tutto l’impegno per valorizzare il lavoro e i lavoratori.
Il prof. Roberto Romei scrive che “in molti suoi saggi degli anni ’90 traspare l’atteggiamento del giurista che osserva la realtà, magari non condividendola, ma nemmeno rifiutandola, tentando semmai di comprenderla e di riportarla ad una razionalità, che non era una razionalità assoluta, ma relativa e personale. Una razionalità fatta di equilibrio e controllabilità nelle e delle soluzioni proposte, ricondotte sempre ad un sistema che non era concepito come un universo statico di concetti, ma innervato innanzitutto dai valori costituzionali “. Calibramento, dunque, come capacità di tenere insieme il proprio modo di conoscere la realtà e lo sforzo di riconoscerla e ricomprenderla alla luce dei cambiamenti in atto.
Queste ultime parole possono essere assunte come un testamento spirituale al quale attingere non solo per dare risposta ad alcune delle domande qui poste sulla condizione del sindacato oggi e sulle nuove forme di lavoro, ma per riflettere sull’attuale impegno politico e giuslavoristico schierato su questo fronte.
Non lasciamo che siano la diatriba sulla concessione o meno del reddito di cittadinanza ad uno dei componenti delle BR e gli ultimi passi del giuslavorista a fare da sigillo ad una storia di impegno.
Ricapitoliamo, allora. Tre parole incastrate in una logica di morte, liberate da una cultura di impegno e di vita. Tentativo riuscito?
La vita è certamente più potente della morte e il prof. D’Antona, come tanti altri uomini uccisi per il loro impegno personale oltreché professionale, profuma ancora di vita.
[*] Assistente di Direzione (Grand Hotel President - Siderno - RC). Autrice del blog The Job Enquirer - Occhio vivo sul mondo del lavoro. Dal 2015 al 2019 Direttore del Corso di formazione all'impegno sociopolitico e alla cura del creato "Laudato si" della diocesi di Locri-Gerace.
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