Le disposizioni emanate per far fronte all'emergenza sanitaria nel corso del 2020 prevedono il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile. Da ultimo, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 novembre 2020 raccomanda che le attività professionali ‘siano attuate anche mediante modalità di lavoro agile, ove possano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza’.
La Legge 22 maggio 2017, n. 81 Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato ha introdotto all’articolo 18 il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in via prioritaria delle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità o dei lavoratori con figli in condizioni di disabilità.
Quindi datore di lavoro e lavoratore concordano gli obiettivi da raggiungere con flessibilità, autonomia e responsabilità di quest’ultimo nella scelta di orari e luoghi, diversamente dal telelavoro. Ma il lavoro svolto in modalità agile favorisce realmente tale conciliazione, come auspicato dalla norma, promuovendo la partecipazione della componente femminile al mercato del lavoro?
Sicuramente il lavoro agile rappresenta un’alternativa al part time poiché permette alle donne di non essere costrette ad abbandonare il proprio lavoro per soddisfare i bisogni di cura nei confronti di figli o genitori anziani, in carenza di servizi assistenziali offerti dalle Pubbliche Amministrazioni. Inoltre, esso incide fortemente sull’autonomia economica avendo ripercussioni sia sulla retribuzione nell’immediato e in prospettiva futura sul calcolo della pensione sia sull’eventuale possibilità di affrontare una separazione dal coniuge/compagno, altrimenti impensabile in mancanza di un’adeguata entrata economica.
Già in condizioni fisiologiche (pre emergenza sanitaria), gli indiscutibili vantaggi di evitare gli spostamenti casa-ufficio e di sperimentare alti livelli di autonomia nella gestione nei tempi erano sovente annullati dalle condizioni di stress prodotte proprio dalla difficoltà di riuscire a gestire i molteplici ruoli da ricoprire separando adeguatamente tempi di vita e di lavoro nell’ambiente domestico: poiché tali tempi potrebbero sfociare l’uno nell’altro a causa di una tecnologia onnipresente il legislatore garantisce tempi di riposo per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.
Inoltre, lavorare continuamente magari in una postazione non propriamente comoda e silenziosa non rende la modalità sperimentata così agile e la casa diventa al pari di una prigione – soprattutto dal punto di vista psicologico – dalla quale è difficile uscire per impostare una vita extra domiciliare di svago e relazioni umane. Per superare questa impasse, gli equilibri familiari andrebbero ridefiniti coinvolgendo figli e marito/compagno nella nuova organizzazione sia innanzitutto rendendola comprensibile sia ridistribuendo i compiti familiari. La maggior competitività aziendale auspicata dalla legge si sostanzierà nella maggior produttività femminile basata sulla flessibilità e ciò può aver luogo solamente in un clima disteso di ascolto e condivisione, oltre che di attenzione ai bisogni individuali.
A monte di questa ridefinizione interna al nucleo familiare vi dev’essere necessariamente un cambiamento culturale dell’organizzazione aziendale che, adattandosi ai tempi correnti, ripone fiducia nelle capacità di gestione autonoma della dipendente e nelle sue competenze digitali per poter svolgere il lavoro da remoto grazie alla tecnologia.
Il repentino isolamento sociale, d’obbligo in fase di emergenza sanitaria, ha costretto una moltitudine di persone a trasformarsi in lavoratori agili senza strumentazione né competenze informatiche specifiche, in condizioni non propriamente ergonomiche, talvolta in ambienti angusti condivisi con altri lavoratori/studenti e con un impegno lavorativo anche superiore a quello normalmente richiesto. Infatti, il numero di lavoratori, soprattutto di imprese piccole/medie e pubbliche amministrazioni, che sono forzatamente rimasti a lavorare in sicurezza a casa è esponenzialmente aumentato rispetto a chi in precedenza sceglieva di lavorare agilmente. Tuttavia tali aspetti della convivenza forzata hanno messo a dura prova anche quelle persone che già lavoravano in modalità agile.
Durante la pandemia, tale modalità di lavoro viene attuata in superamento dell’obiettivo di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro al fine di tutelare la salute pubblica, cercando di contenere il contagio attraverso l’isolamento nella propria abitazione.
Sono soprattutto le donne che attualmente prestano la loro attività lavorativa da casa in un ambiente dove i confini tra lavoro e privato sono quasi assenti interferendo continuamente l’uno con l’altro e che si fanno principalmente carico della nuova gestione della funzione educativa e dell’accudimento dei figli in toto, finora in parte delegati al sistema scolastico e a parenti vari.
A queste difficoltà oggettive si sommano quelle emozionali soggettive conseguenti al fronteggiamento psicologico attivato nei confronti dello stato di pandemia, in particolare alle misure restrittive per contenere la diffusione del virus e il potenziale contagio, in grado di produrre allarmismo sulla propria condizione di salute. Tali criticità non permettono alle lavoratrici agili, quindi, di compiere un effettivo recupero delle energie sviluppando ripercussioni negative a livello psicofisico.
La pandemia ha, inoltre, distolto l’attenzione da altri importanti temi a valenza sociale, quale quello delle violenze domestiche: il periodo di isolamento, infatti, ha favorito l’emergere di situazioni familiari conflittuali e messo in pericolo le persone più fragili, quali donne e bambini.
Il 1522 è il numero verde gratuito messo a disposizione dal Dipartimento per le Pari Opportunità per sostenere e aiutare le vittime di violenza di genere: fornisce informazioni di primo soccorso in caso di emergenza o indicazioni utili sui servizi e i centri antiviolenza attivi a livello territoriale.
Nel giugno 2020 ISTAT ha pubblicato i risultati dell’elaborazione dei dati forniti dal Dipartimento per le Pari Opportunità, sottolineando il significativo aumento dei casi di violenza all’interno delle mura domestiche in seguito all’emanazione delle misure di distanziamento sociale del DPCM dell’8 marzo 2020.
Se durante i mesi del 2020 antecedenti al lockdown si riscontrava una diminuzione delle telefonate rispetto allo stesso periodo del 2019, a partire da marzo si è verificato un notevole incremento delle richieste di aiuto e delle segnalazioni di episodi di violenza domestica. Infatti, durante il periodo di emergenza sanitaria (1 marzo-16 aprile) le richieste totali di aiuto sono state 5.031, ben il 73% in più dello stesso periodo dell’anno precedente.
Il numero è stato chiamato per segnalare casi di violenza ed emergenza (2.013 chiamate, pari al 40%), per chiedere informazioni sul servizio stesso (1.423, pari al 28,3%), per chiedere assistenza di tipo sociale o psicologica (858, pari al 17,1%) e per ricevere informazioni sui centri antiviolenza (654, pari al 13%).
Le vittime sono donne nel 97% dei casi, appartengono a diverse classi di età e sono in maggioranza coniugate, a conferma che la violenza viene consumata per lo più all’interno delle mura domestiche: la violenza subita non viene, pertanto, denunciata per evitare le possibili conseguenze negative. Il 56% delle richieste di aiuto giunge da vittime con figli, di cui il 33,7% minori: il 64,1% di loro segnala casi di violenza a cui hanno assistito minori e/o casi di violenza subita dai minori stessi.
Sono soprattutto fisiche e psicologiche le segnalazioni di violenza che normalmente pervengono al numero verde ma anche qui si notano gli effetti del lockdown: quelle a carattere fisico sono aumentate dal 43,4% al 52,7%, quelle a carattere psicologico dal 37,9% al 43,2%. Inoltre, le vittime riferiscono di vivere in uno stato di disagio per la paura di morire e per le preoccupazioni sulla propria incolumità.
Tra lavoro agile sempre maggiormente consigliato e utilizzato in questo secondo soft lockdown e l’impossibilità per molte donne di poter considerare la casa familiare un luogo sicuro, anche quest’anno si giunge al 25 novembre – Giornata internazionale contro la violenza sulle donne – con l’unica certezza che l’auspicato cambiamento culturale non è ancora smart ma solo work in progress!
[*] Laureata in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni c/o l'Università degli Studi di Padova e iscritta all’Ordine degli Psicologi del Friuli Venezia Giulia, svolge attività formativa nei settori orientamento al lavoro, pari opportunità e stress occupazionale
Seguiteci su Facebook
>