Effemeridi • Pillole di satira e costume
Pensavamo di averla scampata questa estate sia dal virus sia dai virologi che avevano occupato la scena, entrambi in modo deleterio sia pure in misura diversa. Invece no. Con la ripresa della pandemia sono tornati in forza, quasi a braccetto del covid, a occupare tutti i canali televisivi disponibili e i talk show in programma. E con l’esperienza acquisita sono diventati così disinvolti da non avere nulla invidiare ai più abili showman. Sono anche più litigiosi di prima per difendere in modo accanito le proprie tesi che spesso sono in contrasto con quelle degli altri, creando una terribile confusione negli ascoltatori, sulle cause, sull’origine, sulla gestione e sui rimedi contro l’epidemia. Quasi tutti arrivano davanti allo schermo con il loro libro scritto nell’intervallo tra la prima e seconda fase della quarantena e lo sbandierano felici come fanno i bambini quando ottengono un dolcetto. Non differiscono molto, quanto a faccia tosta, da quel famoso presentatore che normalmente non si muove dal suo programma neanche con le cannonate finchè non esce il suo saggio. Allora la proverbiale sedentarietà si trasforma in pura velocità per presentarlo in tutti i canali esistenti, soddisfatto come una pasqua.
Alcune sere fa in un programma c’è stata addirittura la doppia presentazione: quella del libro di un virologo e del saggio del noto presentatore. È stato uno spettacolo perché quando il conduttore presentava l’immane fatica del virologo, il viso del noto presentatore appariva annoiato e indifferente, mentre si rianimava improvvisamente quando veniva esaltata la sua opera, mentre, al contrario, il volto del virologo cadeva in depressione. Speriamo che presto spariscano dallo schermo. Se così avverrà, saremo felici due volte. La prima, la più importante, perché vorrà dire che questa maledetta epidemia sarà scomparsa definitivamente; la seconda, perché in un mondo già pieno di cattive notizie, non avremo più quelle di tali menagramo.
Fa rabbia leggere sui giornali che chi ha voluto la riforma dei cosiddetti navigator si sia reso conto con grave ritardo di tale assurda riforma. Queste figure cui per una nostra stupida riverenza verso gli anglicismi abbiamo attribuito nomi esotici, avrebbero dovuto fare quello che per decenni, con professionalità e capacità, hanno fatto i nostri collocatori. Tutto però è cambiato a cominciare dal mercato del lavoro e dall’esistenza di strutture inidonee allo scopo che andavano rifondate prima di ogni nuova assunzione. Per questo ne avevamo previsto il fallimento nel giugno dello scorso anno criticando anche l’altro strumento, vale a dire il reddito di cittadinanza inteso come incentivo per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. L’avevamo definito una grossa balla valida solo per acquisire un iniziale e fugace consenso della collettività. Le nostre previsioni non derivavano da una mentalità superiore o dal possesso di una palla di vetro ma dalla conoscenza dell’ambiente e dal buon senso. Così le tardive ammissioni di coloro che l’hanno voluta e realizzata non li salvano da un ovvio interrogativo: o ci fanno o ci sono. Se ci fanno, hanno dimostrato tutta la loro incompetenza non conoscendo lo stato di degrado irreversibile delle strutture di collocamento. Né poteva servire per risolvere tale questione l’assunzione di uno sconosciuto professore del Mississipi dove la realtà non ha nulla a che vedere con quella del nostro paese. Buon per lui, in considerazione delle prebende e i vantaggi ottenuti, male sicuramente per i milioni di disoccupati che magari avevano sperato in un futuro migliore. Fermo restando che, inteso come sussidio per chi non ce la fa a tirare avanti, il reddito di cittadinanza è cosa buona e giusta, la nostra critica va alla sua non corretta gestione che, unita all’assunzione di migliaia di persone al momento sbagliato e nel posto sbagliato, ci fa concludere che sono state bruciate ingenti risorse di noi tutti di cui gli autori di tale pazzia dovrebbero rendere conto almeno politicamente. Ma sperare in ciò nel nostro paese sta diventando sempre più come qualcosa di irrealizzabile.
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