Due passaggi essenziali per il rilancio del Paese secondo il PNRR
Seconda parte
Proseguiamo in questo numero l’analisi di alcuni aspetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza trasmesso il 30 aprile 2021 dal Governo italiano alla Commissione Europea, che il 22 giugno ha espresso la propria valutazione positiva e ha formulato la relativa proposta di decisione di esecuzione del Consiglio dell’Unione Europea per dare il via libera alla prima tranche di finanziamenti[1]. Nella prima parte abbiamo avuto modo di ricordare che il PNRR italiano destina una quota importante delle risorse in arrivo dal programma Next Generation EU alla Missione denominata “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, per un totale di 40,73 miliardi di euro, all’interno della quale uno spazio non trascurabile (per una spesa complessiva pari a 9,75 miliardi di euro) è riservato alla Componente “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella p.a.”. Abbiamo anche cercato di analizzare alcuni aspetti degli interventi rientranti nell’“ambito di intervento” che il PNRR inquadra con il titolo “Digitalizzazione PA”. In questo numero proveremo ad approfondire alcuni temi salienti connessi all’ambito di intervento definito come “Innovazione PA”, che investe principalmente aspetti legati al reclutamento, alla gestione e alla valorizzazione del capitale umano della pubblica amministrazione, ma anche alla semplificazione dei processi amministrativi.
Vale la pena di sottolineare innanzitutto come sin dalla premessa vengano delineate le “quattro dimensioni” intorno alle quali sarà “orchestrato” lo sforzo per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei processi amministrativi tramite la digitalizzazione, ovvero: 1) riforma dei meccanismi di selezione del personale; 2) modifica immediata di procedure; 3) sviluppo delle eccellenze e piano di attrazione per nuovi talenti; 4) re-ingegnerizzazione delle procedure amministrative. Come si può notare, l’accento è tutto sugli interventi da fare rispetto a quello che manca, piuttosto che rispetto a quello che c’è già, soprattutto per quanto riguarda la politica delle risorse umane. La partita vale 1,27 miliardi di risorse europee che, ça va sans dire, esigono ritorni misurabili e soddisfacenti. I tempi previsti di attuazione, tuttavia, variano secondo una scala di priorità che si evince dalla tempistica indicata nelle schede tecniche approvate (con modifiche) dalla Commissione Europea, in riferimento alle quali il Consiglio UE ha sbloccato l’erogazione dei 191,5 miliardi (per l’intero PNRR) di finanziamenti europei in rate semestrali (cfr. nota 1).
Ne riportiamo qui di seguito un breve stralcio, tratto dall’Allegato contenente le schede descrittive delle riforme e degli investimenti relative all’“Asse 3 – Pubblica amministrazione”: “Le riforme del pubblico impiego seguono un approccio a due livelli. A breve termine saranno prese misure urgenti per utilizzare al meglio i finanziamenti dell'RRF [2] con riguardo alla governance del PNRR e all'assistenza immediata alle pubbliche amministrazioni carenti in capacità amministrativa. Questa strategia si accompagna a riforme organizzative e a una strategia delle risorse umane volta a promuovere un cambiamento epocale di tutta la PA. Nella pianificazione strategica delle risorse umane è ricompresa una serie completa di misure intese a: aggiornare i profili professionali (anche in vista della duplice transizione); riformare i meccanismi di reclutamento per renderli più mirati ed efficaci; riformare le posizioni dirigenziali di alto livello per uniformare le procedure di nomina in tutta la PA; rafforzare il legame tra apprendimento permanente e meccanismi di ricompensa o percorsi di carriera specifici; definire o aggiornare i principi etici delle pubbliche amministrazioni; rafforzare l'impegno a favore dell'equilibrio di genere; riformare la mobilità orizzontale e verticale del personale. Nella strategia delle risorse umane rientrano anche misure urgenti volte a semplificare le procedure amministrative a vantaggio di imprese e cittadini, pur nella corretta attuazione dell'RRP.
La riforma della semplificazione prevede l'eliminazione delle autorizzazioni non giustificate da motivi imperativi di interesse generale e l'eliminazione degli adempimenti non necessari o che non utilizzano le nuove tecnologie. Inoltre attua il meccanismo del silenzio assenso e adotta un approccio di semplificazione della comunicazione e regimi uniformi condivisi con le Regioni e i Comuni.
La riforma della semplificazione comprende gli elementi seguenti: interoperabilità delle procedure relative alle attività produttive e all'edilizia (SUAP e SUE); attuazione di indicatori comuni di performance orientati ai risultati: definizione di una serie di indicatori chiave di performance per orientare i cambiamenti organizzativi delle amministrazioni”.
Ma quali sono le misure concrete previste nel Piano per raggiungere tali obiettivi? E soprattutto, come si armonizzano tali misure con le norme già esistenti e con le prerogative della contrattazione collettiva, dal momento che i previsti interventi legislativi potranno riguardare anche aspetti del lavoro pubblico oggetto di clausole negoziali condivise con le parti datoriali?
Per risolvere il problema della carenza di figure professionali ad alta specializzazione tecnica si punta innanzitutto a realizzare il Portale unico del reclutamento[3], che servirà a mettere a disposizione delle amministrazioni “profili e curricula” dei candidati al fine di velocizzare l’attività di “preselezione” propedeutica alla selezione vera e propria. Mette conto ricordare che l’idea del Portale unico del reclutamento risale all’era ormai lontana della riforma Madia[4], sebbene in quel contesto il Portale assumesse soprattutto la veste di una banca dati in progress di tutte le procedure concorsuali in atto[5]. La nuova infrastruttura digitale – che al momento della redazione del presente contributo viene annunciata in via di completamento – sembra invece fare riferimento alle esigenze definite nell’art. 1, comma 5, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80 (c.d. “decreto reclutamento”) per conferire incarichi di collaborazione con contratto di lavoro autonomo a professionisti ed esperti, o per assumere con contratto di lavoro a tempo determinato personale in possesso di alta specializzazione. Si prevede infatti che la realizzazione del Portale sia accompagnata dalla “stesura di nuove procedure mirate a facilitare “l’introduzione di profili tecnici/specializzati” con rapporto a tempo determinato.
Non è questa la sede per esprimere giudizi sull’opportunità di investire risorse prese in prestito dall’Europa (e il peso della cui restituzione graverà sulle spalle delle prossime generazioni) per promuovere una politica delle risorse umane che, sostanzialmente, fa leva su una robusta ripresa del precariato e delle consulenze esterne nelle amministrazioni chiamate a gestire e attuare i progetti del PNRR. Per il momento sembra utile limitarsi a evidenziare che questi profili tecnici ad alta specializzazione faranno valere le loro ricadute professionali all’interno delle varie pp.aa. soprattutto nella fase di avvio dei progetti, i quali poi dovranno evidentemente camminare con le gambe delle risorse umane già esistenti e di quelle che saranno reclutate con le nuove procedure (snellite e digitalizzate) di cui al decreto-legge n. 80/2021, in parte anticipate nell’art. art. 10 del decreto-legge n. 44/2021, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 2021, n. 76 (c.d. “decreto sblocca-concorsi”), “nell’ambito del naturale turn-over della PA previsto a spesa costante per i prossimi anni”[6]. Di quante unità di personale stiamo parlando? Il PNRR non lo dice, ma in compenso nella “Riforma 2.1” denominata “Accesso e reclutamento”, strettamente correlata alla politica delle nuove assunzioni, ci informa che in aggiunta alle procedure ordinarie di reclutamento saranno previsti percorsi e “programmi dedicati agli alti profili (giovani con elevato livello di qualifiche) e ai profili specialistici”[7].
Al potenziamento delle risorse professionali della PA in funzione Recovery Fund sono destinati i 490 milioni di euro dell’Investimento 2.3 concernente “Competenze e capacità amministrativa” che, a sua volta, si articola in “Istruzione e formazione” (140 milioni di euro) e “Sviluppo delle capacità nella pianificazione, organizzazione e formazione strategica della forza lavoro” (350 milioni di euro). Il presupposto che risiede a monte di tutte le azioni previste in tale ambito di intervento è che il successo del PNRR dipenderà, in larga misura, dalla qualità del capitale umano impegnato nella sua concreta attuazione.
Nello stesso tempo, emerge la consapevolezza che l’acquisizione e la gestione delle “migliori competenze” dipende dalla programmazione delle esigenze professionali necessarie alla realizzazione dei fini istituzionali. In altri termini – e questo, a dire il vero, vale non solo per il PNRR, ma per qualsiasi “politica pubblica indirizzata a cittadini e imprese” – dipende dalla capacità delle amministrazioni di programmare adeguatamente i fabbisogni di personale in un’ottica di proiezione a medio e lungo termine della propria mission istituzionale in un arco pluriennale, secondo un criterio di programmazione qualitativa che va ben oltre il criterio quantitativo di mera sostituzione del personale di cui si prevede la cessazione dal servizio per raggiungimento dei requisiti pensionistici.
Si tratta, è inutile nasconderlo, di uno degli snodi più critici della sezione del PNRR dedicata alla p.a., soprattutto a valle delle criticità emerse nelle varie amministrazioni dall’attuazione di quel frutto tardivo della riforma Madia che ha determinato l’introduzione del cosiddetto “piano triennale dei fabbisogni”[8] il cui obiettivo – guarda caso – era quello di agganciare in modo più stringente la programmazione degli ingressi di nuove professionalità alle reali esigenze delle amministrazioni, superando la visione statica degli assetti organizzativi degli uffici e delle loro attività legata al concetto ormai obsoleto di dotazione organica[9].
Ma se la riforma Madia si è limitata a ridefinire (non necessariamente semplificandole) le procedure attraverso le quali ciascuna amministrazione pubblica è tenuta annualmente a pianificare e aggiornare (sulla base dei piani programmati di attività e dei relativi carichi di lavoro previsti) i propri fabbisogni di personale da inquadrare nei profili e nelle declaratorie professionali condivisi in contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali rappresentative, il PNRR sembra voler andare oltre, adombrando un’iniziativa specifica per colmare “l’assenza di una comune tassonomia di descrittori delle professionalità presenti e necessarie” che non rende possibile “una comparazione tra le diverse amministrazioni” e, soprattutto, “un agevole ricorso alla mobilità”.
Al di là delle classificazioni giuridiche ed economiche “definite per ciascun comparto all’interno dei contratti collettivi”, occorre dunque “allestire una nuova strumentazione” per la pianificazione strategica delle risorse umane, a cominciare da “un insieme di descrittori di competenze (incluse le soft-skills) da utilizzare per comporre i diversi profili professionali, integrate nella piattaforma unica del reclutamento”. A tale proposito, prosegue il PNRR, occorre creare “aggregazioni di tali profili per famiglie e aree professionali e operare la corrispondenza con gli inquadramenti contrattuali”. Nelle schede tecniche allegate al Piano la definizione della soluzione legislativa per definire i contenuti professionali specifici per il settore pubblico “al fine di attrarre le competenze e le capacità necessarie” all’attuazione del PNRR viene fissata come “traguardo” da raggiungere entro il 2022, unitamente alla “riforma dell'alta funzione pubblica per uniformare le procedure di nomina in tutta la pubblica amministrazione, definendo i profili professionali e la valutazione delle rispettive prestazioni”.
In questo milieu programmatico sembra essersi già mosso il governo attraverso l’art. 3 del “decreto reclutamento”, che ha introdotto una modifica all’art. 52 del decreto legislativo n. 165/2001 relativa alla composizione delle aree di inquadramento professionale dei dipendenti pubblici, sebbene con un rimando alla contrattazione collettiva che però, di fatto, viene ad essere coercizzata dall’intervento esterno del legislatore[10].
Non occorre essere esperti di politiche contrattuali nella pubblica amministrazione del dopo-riforma Cassese/Bassanini per cogliere la portata innovativa e, per certi aspetti, rivoluzionaria di tale impostazione, specialmente in una fase come l’attuale in cui le organizzazioni sindacali rappresentative nei comparti della p.a. contrattualizzata hanno avviato e stanno portando avanti con la rappresentanza negoziale della controparte governativa una complessa trattativa per il rinnovo del CCNL Funzioni Centrali scaduto il 31 dicembre 2018[11]; un rinnovo contrattuale a cui è affidato, tra le altre cose, il compito di riscrivere l’intero sistema ordinamentale del settore pubblico contrattualizzato a più di 20 anni di distanza dalla sua originaria definizione[12].
In che modo i nuovi ordinamenti (aree, profili, carriere) definiti ai tavoli contrattuali linkeranno con le “aggregazioni” per famiglie di profili e aree professionali a cui faranno riferimento i “descrittori” utilizzati sulla piattaforma unica per il reclutamento non è dato sapere, ma forse sarebbe opportuno adottare qualche accorgimento (un tavolo paritetico di raccordo tecnico?) che scongiuri qualsiasi possibilità di equivoco o di sovrapposizione fra sistemi classificatori paralleli all’interno di uno stesso comparto contrattuale.
Un’analoga esigenza di chiarezza rispetto alle prerogative della contrattazione collettiva e ai percorsi che, attraverso di essa, si intende attivare nelle amministrazioni rispetto alle carriere del personale contrattualizzato andrebbe soddisfatta anche in materia di premialità e di avanzamenti retributivi. Al riguardo, il PNRR nell’ambito della Riforma 2.3 “Competenze e carriere” delinea alcuni obiettivi pienamente condivisibili in astratto, come quello di “migliorare la coerenza fra competenze e percorsi di carriera”, oppure quello di attivare percorsi formativi differenziati “per target di riferimento” sulla base di una “effettiva rilevazione del gap di competenze rispetto ad ambiti strategici comuni a tutti i dipendenti o specifici e professionalizzanti (…)”.
Sembra qui di cogliere nuovamente – come già prima in riferimento al meccanismo di individuazione delle competenze e degli skills – una sorta di doppio canale fra figure professionali Recovery e non-Recovery che prende corpo, ad esempio, nella preannunciata revisione dei percorsi di carriera nella p.a. introducendo “maggiori elementi di mobilità sia orizzontale tra Amministrazioni che verticale, per favorire gli avanzamenti di carriere dei più meritevoli e capaci e differenziare maggiormente i percorsi manageriali”. Le schede cronologiche del già più volte richiamato Allegato tecnico al PNRR ascrivono fra i “traguardi” da conseguire entro il 2022 la “revisione del quadro normativo sulla mobilità verticale, riformando i percorsi di carriera per creare e accedere a posizioni dirigenziali di livello intermedio (quadri) e accedere a posizioni dirigenziali di livello superiore (dirigenti di prima e seconda fascia) dall'interno dell'amministrazione. Ciò comprende la riforma del sistema di valutazione delle prestazioni e il rafforzamento del legame tra avanzamento di carriera e valutazione delle prestazioni”.
Entro il medesimo termine, inoltre, la Commissione Europea si aspetta che venga effettuata la “revisione del quadro normativo sulla mobilità orizzontale per conseguire un mercato del lavoro efficiente nelle pubbliche amministrazioni, che comprenda a) la creazione di un sistema di pubblicità unico trasparente per tutti i posti vacanti nelle amministrazioni centrali e locali, b) la possibilità di presentare domanda per qualsiasi posto disponibile ovunque, c) l'abolizione dell'autorizzazione alla mobilità da parte dell'amministrazione di origine e d) l'introduzione di restrizioni significative all'uso di mezzi alternativi di mobilità che non comportano trasferimenti (ossia ‘comandi’ e ‘distacchi’), per renderli eccezionali e rigorosamente limitati nel tempo”.
Coerentemente con il dettato di questo specifico punto del PNRR, il decreto reclutamento ha già previsto una sorta di semi-liberalizzazione della mobilità fra amministrazioni pubbliche attraverso alcune modifiche all’art. 30 del decreto legislativo n. 165/2001 che riducono l’obbligo del “previo assenso” delle amministrazioni cedenti a un novero limitato di possibilità[13]. Ma, come è facile intuire, il rischio caos negli uffici del personale dei Ministeri e degli altri enti coinvolti nell’attuazione del PNRR è dietro l’angolo. Per evitare che si crei la giustapposizione di diversi regimi giuridici in base alle funzionalità professionali possedute, non si può forse escludere la necessità di un ulteriore intervento di natura legislativa che ridefinisca in modo organico il quadro complessivo delle norme sulla mobilità volontaria fra amministrazioni, anche di diversi comparti, a suo tempo[14] introdotte con l’obiettivo di ricondurre il fenomeno del ‘passaggio diretto’ entro termini compatibili con le norme sulla programmazione dei fabbisogni delle amministrazioni, con annesso obbligo di coprire i posti disponibili attraverso bandi pubblici di mobilità, per ridurre il rischio di parzialità e clientelismi[15].
Sulla revisione dei percorsi di carriera, però, è essenziale che non si creino conflitti di competenza con le prerogative che la legge assegna alla contrattazione collettiva e, soprattutto, andrà chiarito meglio il passaggio del PNRR nel quale si prefigura l’accesso nella p.a. di “persone che lavorano nel privato più qualificato, in organizzazioni internazionali, in università straniere o presso soggetti pubblici e privati all’estero” attraverso inediti meccanismi di mobilità. È impensabile che operazioni di questo tipo all’interno delle amministrazioni vengano progettate e realizzate senza il coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori e a valle di una valutazione condivisa degli obiettivi interni da raggiungere, delle figure professionali da coinvolgere e della loro collocazione giuridico-funzionale nel consolidato organizzativo delle strutture.
L’ingresso di elevate professionalità esterne finalizzato al raggiungimento di particolari obiettivi è un fenomeno già sperimentato nella p.a. nel corso degli anni, con risultati non sempre straordinari. L’esperienza maturata sul campo insegna che questo genere di apporti possono rivelarsi preziosi per migliorare le capacità di gestione tecnico-professionale di determinati processi, ma solo a condizione che si realizzi la completa e profonda integrazione delle ‘elevate professionalità’ (anche con funzioni manageriali) reclutate ad hoc dall’esterno con le competenze interne già attive e operanti nelle amministrazioni.
Questo vale necessariamente anche per il contingente di assistenza tecnica per l’attuazione delle procedure del PNRR formato da 1.000 professionisti da impiegare a supporto delle amministrazioni centrali e locali, con contratto di durata triennale, previsto all’interno dell’Investimento 2.2 (“Task-force digitalizzazione, monitoraggio e performance”) che, secondo le schede cronologiche dell’Allegato, rappresenta un “obiettivo” da conseguire entro il 2021.
Il Piano non appare molto generoso di informazioni sulle competenze richieste e sui criteri di scelta dei consulenti da parte delle amministrazioni interessate Quel che sappiamo è che essi dovranno occuparsi di aiutare le amministrazioni a “fare uno screening e produrre un catalogo completo delle procedure amministrative in perimetro/prioritizzate; identificarne i regimi di esercizio target; re-ingegnerizzare e semplificare le procedure, rivedendole in ottica digitale, estendendo i meccanismi di silenzio-assenso ove possibile, adottando gli strumenti Notifica Certificata (SCIA) e un approccio di semplificazione della comunicazione”[16].
Sotto l’aspetto applicativo, la misura sembra trovare forma nei contenuti dell’art. 9 del già richiamato decreto-reclutamento, che ripartisce le risorse per il “conferimento (…), da parte di regioni ed enti locali, di incarichi di collaborazione a professionisti ed esperti, nel numero massimo complessivo di mille unità per il supporto ai predetti enti nella gestione delle procedure complesse tenendo conto del relativo livello di coinvolgimento nei procedimenti amministrativi connessi all'attuazione del PNRR”.
Poiché si tratta di una misura in fieri (al momento, il decreto-legge n. 80/2021 non ha ancora completato l’iter parlamentare per la conversione in legge), qualunque valutazione di merito in questa sede risulterebbe prematura e, forse, inopportuna. Ci preme solamente rilevare come la partita della semplificazione amministrativa si giocherà su più tavoli e per i riflessi che avrà sull’organizzazione del lavoro nelle strutture pubbliche non può essere riservata in esclusiva a politici, esperti e tecnocrati avvezzi alla neo-burocrazia dell’inglesorum da target e milestone. Per esserne convinti basta considerare l’ultimo passaggio della descrizione del PNRR sulle “azioni di riforma” da realizzare per conseguire la semplificazione e la velocizzazione delle procedure amministrative, dove si prevede l’introduzione di “un nuovo sistema di performance management per i dipendenti della PA, con chiari indicatori di performance e incentivi dedicati alle amministrazioni più efficaci”.
Sarebbe a dir poco irrealistico pensare di dare avvio a simili processi decisionali-organizzativi dentro le amministrazioni senza avvalersi del contributo dei lavoratori, dal quale può invece scaturire la spinta decisiva al cambiamento del modo di lavorare che si richiede alla p.a. italiana, anche in virtù del grande patrimonio di esperienze già acquisite in materia di razionalizzazione organizzativa secondo la logica bottom-up che caratterizza gli strumenti partecipativi definiti nell’ambito del sistema di relazioni sindacali. Peraltro, in materia di semplificazione amministrativa occorre un’attenta capacità di coordinamento istituzionale per evitare che troppi soggetti si muovano nello stesso perimetro senza che vi sia una perfetta convergenza di obiettivi e strumenti di intervento rispetto alle azioni e alle iniziative da realizzare. Il pensiero corre al recentissimo “Comitato per la transizione amministrativa” istituito il 6 maggio dal Ministro per la pubblica amministrazione con funzioni di “monitoraggio dell’implementazione e della reingegnerizzazione dei processi legati alla digitalizzazione e alla complessiva riforma della Pubblica amministrazione” e composto da numerosi esperti e rappresentanti di amministrazioni centrali e locali, autorità indipendenti, università, grandi aziende e associazioni del mondo imprenditoriale[17].
Forse il vero monitoraggio da attuare è quello che riguarda le ricadute dell’innovazione dei processi organizzativi sulla reale qualità dei servizi pubblici resi nei confronti dell’utenza esterna, soprattutto quella appartenente alle fasce sociali più fragili e meno protette. Per un (ancora) largo novero di cittadini, l’innovazione e la digitalizzazione delle procedure amministrative non si traducono in maggiore facilità di accesso ai servizi e di tutela dei propri diritti, ma anzi, in molti casi, la sedicente ‘semplificazione amministrativa’ produce nuovi ostacoli tecnici e maggiori difficoltà di interlocuzione con i soggetti erogatori dei servizi.
Mai come sul nodo cruciale della semplificazione del rapporto con la p.a. il giudizio dei cittadini e delle imprese sarà la cartina di tornasole per valutare se gli obiettivi annunciati nel Piano saranno effettivamente raggiunti. Il che significa che, al di là dei cronoprogrammi e dei report ufficiali prodotti dalle varie task-force, la semplificazione dei processi amministrativi dovrà tradursi in un effettivo miglioramento della qualità della vita civile e sociale per milioni di persone che sperimentano quotidianamente la difficoltà di comprendere i linguaggi e le astrusità della nuova burocrazia digitale e, ancor di più, di farsi comprendere da essa. Ma questo, forse, è tema da esplorare in una prossima riflessione.
La prima parte è stata pubblicata su Lavoro@Confronto N. 45
[1] Come ampiamente noto, il PNRR è lo strumento attraverso il quale dovrà essere attuato nel nostro Paese il programma Next Generation EU (NGEU), varato dall’Unione Europea per fare fronte alle conseguenze economiche e sociali della pandemia da Covid-19. Dopo il via libera della Commissione Europea, 13 luglio 2021 il PNRR dell'Italia è stato approvato anche con Decisione di esecuzione del Consiglio UE il. All’atto dell’approvazione, peraltro, la Commissione ha parzialmente modificato le schede tecniche, allegate al Piano, nelle quali vengono definiti per ciascuna riforma o investimento “obiettivi e traguardi, cadenzati temporalmente, al cui conseguimento si lega l'assegnazione delle risorse su base semestrale”.
[2] Si tratta dell’acronimo che indica il “Recovery and Resilience Facility”, ossia lo “strumento per la ripresa e la resilienza” che complessivamente a livello UE “renderà disponibili 672,5 miliardi di € in prestiti e sovvenzioni a sostegno delle riforme e degli investimenti intrapresi dagli Stati membri” in relazione al programma NGEU.
[3] Investimento 2.1, a cui vanno in tutto 20 milioni di euro da suddividere fra “Creazione di una piattaforma unica di reclutamento” e “procedure per l’assunzione di profili tecnici”.
[4] Ministro per la Pubblica Amministrazione - Dipartimento della Funzione pubblica, Direttiva n.3 del 24 aprile 2018: “Linee guida sulle procedure concorsuali”, G.U. n. 134 del 12 giugno 2018.
[5] “Il sistema sarà strutturato come banca dati di monitoraggio delle procedure concorsuali poste in essere dalle amministrazioni pubbliche mediante censimento delle stesse, delle fasi di svolgimento e di ogni informazione rilevante, al fine di consentire una rappresentazione omogenea e completa delle informazioni e fornire, in aderenza ai principi di trasparenza, un più adeguato servizio alle amministrazioni. La predetta banca dati dovrà, in sintesi, consentire la consultazione in un unico sito delle informazioni relative a tutti i concorsi pubblici” (Linee guida sulle procedure concorsuali, cit., III – Il portale del reclutamento).
[6] A titolo puramente indicativo, per avere un’idea delle sempre più impellenti esigenze di ricambio generazionale nella p.a. entro i prossimi 5 anni, ricordiamo che secondo i dati più recenti del Conto annuale RGS aggiornati al 31-12-2019 la distribuzione del personale contrattualizzato della p.a. nelle classi di età più avanzate annovera 586.515 unità di personale nella classe di età 55-59 anni, 426.055 nella classe di età 60-64, 82.413 nella classe 65-67 e 1.807 over 68. (Ministero dell’Economia e delle finanze - Ragioneria Generale dello Stato: “Commento ai principali dati del Conto Annuale del periodo 2010-2019”, pag. 108). Dalle tabelle statistiche recentemente pubblicate dall’ARAN si può inoltre ricavare che i dipendenti con più di 35 anni di anzianità di servizio superano le 180.000 unità, la maggior parte delle quali, presumibilmente, maturerà i requisiti per il pensionamento entro il quinquennio di attuazione del PNRR:
https://www.aranagenzia.it/attachments/article/5160/Occupati%20per%20anziani%C3%A0_Anno%202019.pdf
[7] A sua volta, l’Allegato tecnico indica come “target” da completare entro il 2022 “la riforma del processo di assunzione al fine di: i) passare da un sistema basato esclusivamente sulla conoscenza a un sistema basato principalmente sulle competenze e sulle attitudini adeguate; ii) valutare le competenze che un funzionario pubblico efficiente deve possedere; iii) differenziare le procedure di inizio carriera, che deve basarsi puramente sulle competenze, e l'assunzione di profili specializzati, che dovrebbero combinare le competenze con un'esperienza lavorativa pertinente e accederebbero alla carriera a un livello superiore”. Entro la stessa data, inoltre, andrà completata anche “la riforma dell'alta funzione pubblica per uniformare le procedure di nomina in tutta la pubblica amministrazione, definendo i profili professionali e la valutazione delle rispettive prestazioni”.
[8] Articoli 6 e 6-ter del decreto legislativo n. 165/2001, come novellati dall’articolo 4 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75.
[9] Così si esprimeva il Ministero per la Pubblica amministrazione - Dipartimento per la Funzione pubblica il 9 luglio 2018 nelle “Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte delle PA” (G.U. n. 173 del 27 luglio 2018): “La giusta scelta delle professioni e delle relative competenze professionali che servono alle amministrazioni pubbliche e l’attenta ponderazione che gli organi competenti sono chiamati a prestare nell’individuazione della forza lavoro e nella definizione delle risorse umane necessarie, appaiono un presupposto indispensabile per ottimizzare l'impiego delle risorse pubbliche disponibili e per meglio perseguire gli obiettivi di performance organizzativa e di erogazione di migliori servizi alla collettività”. E più oltre: “Queste linee di indirizzo tendono dunque a favorire cambiamenti organizzativi che superino i modelli di fabbisogno fondati sulle logiche delle dotazioni organiche storicizzate, a loro volta discendenti dalle rilevazioni di carichi di lavoro superate sul piano dell’evoluzione normativa e dell’organizzazione del lavoro e delle professioni”.
[10] Per completezza d’informazione, riportiamo di seguito il testo della prima parte del nuovo comma 1-bis dell'articolo 52, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 9 giugno 2021, n. 80, che alla data di redazione di questo articolo è ancora all’esame del Parlamento per la conversione in legge: “I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua, una ulteriore area per l'inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all'interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle capacità culturali e professionali, della qualità dell'attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito”.
[11] Il confronto sul rinnovo del CCNL Funzioni Centrali relativo al triennio 2019-2021 si è formalmente avviato all’ARAN il 29 aprile scorso, in esito alla firma da parte del Ministro per la Funzione Pubblica dell’Atto di indirizzo per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto delle funzioni centrali, avvenuta il 19 aprile.
[12] Peraltro, già nell’Atto di indirizzo quadro per i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021, emanato dal Dipartimento della Funzione Pubblica alla fine di marzo, le indicazioni governative in merito all’ordinamento professionale (punto g) sottolineavano la necessità di un intervento collegato “ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze richieste dai cambiamenti organizzativi e dall’innovazione digitale ed alle esigenze di valorizzazione delle capacità concretamente dimostrate dai pubblici dipendenti”. Alla contrattazione collettiva, quindi, si affidava il compito di “procedere alla rivisitazione (…) degli attuali ordinamenti professionali” con l’obiettivo della “valorizzazione di posizioni e ruoli non dirigenziali per i quali siano richiesti più elevati livelli di autonomia e responsabilità gestionale e/o più elevate competenze professionali o specialistiche, attraverso la costituzione di un’area delle alte professionalità (…)”. Dal punto di vista sindacale la discussione sul nuovo ordinamento professionale implica, come precisato il 21 luglio scorso in un comunicato unitario dei rappresentanti di CGIL-CISL-UIL, “la necessità di unificare gli attuali sei sistemi ordinamentali presenti nel comparto delle Funzioni Centrali, con la necessità di superare gli inquadramenti in prima area, ormai obsoleti, ridefinendo meccanismi di progressione economica certi e trasparenti per tutte le lavoratrici e i lavoratori, prevedendo ulteriori sviluppi economici per gli apicali”.
[13] Decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80: “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, art. 3, comma 7.
[14] Art. 4, decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che ha modificato i commi 1 e 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 65 concernenti la mobilità volontaria e obbligatoria fra amministrazioni.
[15] Va anche ricordato il particolare contesto nel quale furono varate le ricordate norme sulla mobilità del 2014 che, in parte, avevano anche l’obiettivo di razionalizzare e facilitare i previsti trasferimenti di personale correlati alla riforma delle amministrazioni territoriali scaturita dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”).
[16] La descrizione delle attività della task-force così prosegue: “Circa 200 procedure critiche saranno semplificate/ridefinite entro il 2023, e 600 entro la fine del PNRR. In questo contesto, particolare attenzione sarà dedicata alle procedure per l’edilizia e le attività produttive e all’operatività degli sportelli unici (SUAP, SUE), ridisegnando i relativi processi e assicurando l’interoperabilità delle informazioni tra amministrazioni. Tale azione verrà svolta in stretto coordinamento con Dipartimento per la Transizione Digitale/ AGID e in linea con Single Digital Gateway Europeo anche al fine di garantire la diffusione di punti unici di accesso sul territorio. Al fine di valutare l’efficacia di questi interventi di semplificazione e favorire il confronto con i cittadini, sarà sviluppato un nuovo, trasparente, sistema di monitoraggio dei tempi di attraversamento delle procedure per tutte le amministrazioni pubbliche”.
[17] La prima riunione dell’ ”Advisory board” per la transizione amministrativa si è tenuta il 9 giugno presso il Ministero per la Funzione Pubblica.
[*] Marco Biagiotti, già dipendente del Ministero del Lavoro, lavora presso il CNEL. In passato ha collaborato alla realizzazione, per la UIL Pubblica Amministrazione, della collana di volumi “Lavoro e contratti nel pubblico impiego”. Dal 1996 al 2009 è stato responsabile del periodico di informazione e cultura sindacale “Il Corriere del Lavoro”.
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