Seconda parte
La legge 30 marzo 2001, n. 152 è il frutto di un processo legislativo complesso e di forte innovazione che nella seconda metà degli anni 90, investe l’insieme dell’ordinamento delle politiche sociali e del Terzo settore. Nella XIII Legislatura (1996-2001) infatti, vengono approvate leggi importanti riguardanti il Sistema Sanitario Nazionale, il riordino dei servizi socio-assistenziali (L. n. 328/2000), l’ordinamento delle Onlus, il riconoscimento delle associazioni di promozione sociale, la revisione del Titolo V della Costituzione con la codificazione del principio di sussidiarietà (nuovi artt. 118 e 119 Cost.).
In questo quadro di riferimento il legislatore ha rifondato la regolamentazione della materia, dettando nuove regole per la costituzione, affidata a Confederazioni e Associazioni di lavoratori che annoverino nei propri statuti finalità assistenziali e diano affidamento di provvedervi con mezzi adeguati, il riconoscimento nonché la valorizzazione degli Istituti di patronato in attuazione degli artt. 2 e 3, secondo comma, 18, 31, secondo comma, 32, 35 e 38 della Costituzione.
Ha fatto ciò riscrivendo la disciplina, previa abrogazione integrale ed espressa della normativa previgente (decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804 e legge 27 marzo 1980, n. 112). La nuova legge ribadisce la scelta, operata con legge n. 112/1980, sulla natura giuridica dei patronati, qualificandoli “persone giuridiche di diritto privato che svolgono un servizio di pubblica utilità” (art. 1). Il servizio consiste fondamentalmente in tre attività: informazione, assistenza e tutela, anche con poteri di rappresentanza, “a favore dei lavoratori dipendenti, ma anche dei lavoratori autonomi, dei pensionati, dei singoli cittadini italiani, stranieri e apolidi presenti nel territorio dello Stato e dei loro superstiti ed aventi causa”.
Queste attività sono finalizzate al perseguimento in Italia e all’estero delle “prestazioni di qualsiasi genere in materia di sicurezza sociale, di immigrazione ed emigrazione, previste da leggi, regolamenti statuti contratti collettivi, e altre fonti normative, erogate da Amministrazioni ed enti pubblici da enti gestori di fondi di previdenza complementare o da stati esteri nei confronti dei cittadini italiani o già in possesso della cittadinanza italiana anche se residenti all’estero” (art. 7, primo comma).
Nuovi servizi e nuove attività, dunque, con la possibilità di affiancarsi anche a presenze istituzionali con cui i patronati possono convenzionarsi per svolgere le funzioni nei campi assegnati dalla nuova normativa.
Nell’ambito delle funzioni assegnate ai patronati la nuova legge sembra quindi proiettare i patronati verso due finalità basilari, la prima garantita dal contributo ministeriale, ovvero quella dell’assistenza previdenziale ed assistenziale prestate secondo rinnovate modalità, che comunque garantiscano il permanere del consolidamento del ruolo sinora svolto dai patronati.
La seconda quella del “mercato sociale” per la tutela dei diritti e la prestazione di servizi con massima flessibilità di autofinanziamento e stipula di convenzioni sia con enti pubblici che con privati (professionisti o organizzazioni), puntando decisamente anche per quanto riguarda il meccanismo del finanziamento sulla qualità del servizio attraverso un rapporto sinergico che consenta di intensificare i rapporti con gli enti previdenziali fino ad arrivare a protocolli che prevedano maggiore collaborazione nei processi decisionali in materia di previdenza e di assistenza sociale.
La legge 30 marzo 2001, n. 152, all’art. 2, affida la costituzione e la gestione degli Istituti di patronato a Confederazioni e Associazioni di lavoratori che annoverino nei propri statuti finalità assistenziali e diano affidamento di provvedervi con mezzi adeguati.
La costituzione degli stessi è, in ogni caso approvata, sussistendone i presupposti, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Conseguito il riconoscimento gli Istituti di patronato assumono, ai sensi dell’articolo 1 della legge citata, la natura di persona giuridica di diritto privato con funzioni di pubblica utilità.
Tale configurazione consente di affermare che gli Istituti in parola, pur essendo emanazione di associazione di lavoratori, sono soggetti di diritto privato autonomi e quindi entità a sé stanti, dotati di personalità giuridica e, quindi, idonei a divenire titolari di diritti e obblighi.
La distinzione è, altresì, rilevabile anche sul piano organizzativo. Infatti, gli Istituti di patronato hanno, ai sensi dell’articolo 4 della legge citata, un proprio statuto che ne determina l’organizzazione con strutture territoriali, propri organi che compiono atti giuridici imputabili agli stessi nonché proprie funzioni.
In quanto soggetti giuridici a sé stanti, sussiste, pertanto, in capo agli stessi la capacità di stare in giudizio “per il libero esercizio dei diritti che si fanno valere” di compiere e richiedere atti processuali al fine di ottenere, attraverso l’organo giudicante, una pronuncia di merito.
Dal momento del riconoscimento giuridico si ha un vero e proprio distacco tra i soggetti promotori e i singoli istituti di patronato, in particolare dal punto di vista patrimoniale.
Infatti, la personalità giuridica importa l’introduzione di un soggetto giuridico che, pur promanando da una o più persone fisiche o giuridiche, diventa un soggetto nuovo ed autonomo.
Tale aspetto è evidente nelle fondazioni di cui agli artt. 14 e ss. del codice civile; infatti, esse rappresentano un patrimonio dedicato ad uno scopo, e l’acquisto della personalità giuridica ha una funzione “certificativa” di tale destinazione, tanto che da tale momento la cesura con i fondatori diviene definitiva ed irreversibile ed il complesso dei beni, destinato appunto al raggiungimento dello scopo della fondazione, non appartiene più a nessuno, stante il distacco dell’ente fondatore e la posizione meramente esecutiva dell’organo amministrativo.
Anche il patronato, in maniera analoga a quella appena descritta, con l’acquisto della personalità giuridica, diviene un’organizzazione giuridicamente autonoma rispetto al soggetto promotore.
L’autonomia giuridica è il presupposto necessario per il perseguimento degli scopi pubblici dei patronati in maniera indipendente dal soggetto promotore.
Il legislatore, individuando nei patronati la forma organizzativa necessaria per attuare nell’ordinamento alcuni valori costituzionali rilevanti, ha stabilito che, fin dal momento del riconoscimento, il patronato deve essere dotato di un’organizzazione autosufficiente ed idonea a perseguire i propri scopi. Emerge pertanto la volontà di configurare gli istituti di patronato quali soggetti non solo autonomi giuridicamente ma anche autosufficienti a livello organizzativo, rafforzando la tesi dell’impermeabilità dell’organizzazione patronale.
Tale tesi trova conferma nella disciplina degli operatori impiegati dai patronati.
In base all’art. 6 della legge n. 152/2001 i patronati, come regola generale, per lo svolgimento delle proprie attività operative possono avvalersi esclusivamente di lavoratori subordinati dipendenti degli istituti stessi. Il ricorso a lavoratori “dipendenti delle organizzazioni promotrici” è possibile solo se essi sono comandati presso gli Istituti stessi con provvedimento notificato alla Direzione territoriale del lavoro e, per l’estero, alle autorità consolari e diplomatiche.
Quanto agli operatori del patronato, dal dettato normativo emerge che:
Pertanto, dalla norma si evince che il patronato – atteso che anche l’organizzazione è finanziata con fondi pubblici – deve utilizzare tali lavoratori esclusivamente per far fronte a proprie esigenze organizzative.
Rientra sempre nell’assetto organizzativo, la questione dell’organizzazione delle sedi del patronato.
In base all’art. 7 del D.M. 193/2008 infatti, la struttura organizzativa è obbligatoriamente predeterminata in sede centrale, sedi provinciali ed eventualmente sedi regionali e zonali in Italia e sedi operative all’estero (comma 1). A rimarcare l’autonomia organizzativo-funzionale, il successivo comma 7 dispone che le sedi suindicate devono essere funzionalmente autonome l’una dall’altra e dall’organizzazione promotrice ed occupare locali diversi dalla stessa e dai servizi da essa promossi, anche se ubicati nella stessa struttura. In caso contrario, ai sensi del successivo comma 13, la sede non può essere riconosciuta.
Le peculiari funzioni svolte impediscono che l’attività dei patronati possa essere definitivamente confusa con quella delle organizzazioni promotrici.
Nei rapporti con il sindacato promotore, pertanto, difficilmente il patronato può mettere a disposizione “all’esterno” proprie risorse per svolgere attività diverse da quelle istituzionali ex art. 7 e ss. della legge n. 152/2001, mentre, il sindacato, può comandare propri dipendenti presso i patronati ex art. 6, co. 1 della legge n. 152/2001 oppure può finanziare gli stessi con contributi e anticipazioni.
L’autonomia organizzativa del patronato ha un ulteriore riflesso sotto l’aspetto dei controlli pubblici.
A fronte dell’erogazione di finanziamenti pubblici, infatti, gli istituti di patronato sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro e, in caso di gravi irregolarità, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 152/2001, si può giungere fino al commissariamento o alla scioglimento dello stesso patronato.
È evidente, quindi, che l’autonomia organizzativo-funzionale dei patronati è funzionale non solo ad ottenere i finanziamenti pubblici, ma anche a garantire che i patronati svolgano esclusivamente le attività istituzionali loro affidate ex art. 8 della legge n. 152/2001.
Non a caso, nell’ipotesi di accertate violazioni del proprio compito istituzionale l’art. 16 della legge suindicata stabilisce che il Ministro del lavoro possa nominare un commissario che si occuperà della gestione straordinaria delle attività di cui all’articolo 8.
In conclusione, dunque, l’apertura dei patronati a forme di coordinamento o integrazione con la struttura delle organizzazioni promotrici sembra incontrare i seguenti principali ostacoli normativi:
In base all’art. 13 della legge 152 del 2001, il D.M. n. 193 del 10 ottobre 2008 dispone che il finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale è corrisposto sulla base della valutazione della loro attività e della loro organizzazione in relazione all’estensione e all’efficienza dei servizi offerti degli istituti medesimi.
Al finanziamento si provvede attraverso un prelievo dello 0,226% sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati dagli enti previdenziali pubblici. Esso copre i costi dell’attività e dell’organizzazione dei patronati per le attività di assistenza svolte ai fini del conseguimento delle prestazioni in materia di previdenza e quiescenza obbligatorie, per le prestazioni di carattere socio-assistenziale comprese quelle in materia di emigrazione ed immigrazione. Questo prelievo, che non può avere destinazione diversa, connota il finanziamento degli enti di patronato come finanziamento pubblico, non a carico della fiscalità, ma come concorso dei proventi di una piccola frazione di contribuzione previdenziale alla tutela dei lavoratori assicurati in un’ottica solidaristica.
È evidente che questo criterio è strettamente correlato alla funzione degli enti di patronato che sono remunerati non già rispetto ad una funzione di service verso gli enti previdenziali ma come entità che operano in modo autonomo, ope legis, sotto il controllo del Ministero del lavoro quale organo di sorveglianza che è anche luogo di monitoraggio dell’organizzazione e dell’attività rendicontata, in proporzione alla quale le risorse sono ripartite. Ogni anno, infatti, gli Ispettorati del lavoro verificano l’attività svolta, le strutture ed il personale.
Tale modalità di finanziamento lascia i patronati liberi da vincoli di sorta per un’effettiva esigibilità dei diritti previdenziali. Una tutela libera dunque anche dal condizionamento degli enti previdenziali che sono i raccoglitori della contribuzione su cui si attua il prelievo.
Tutto ciò non implica un rapporto conflittuale (vengono prese a riferimento le pratiche con esito positivo ai fini della premialità) né impedisce raccordi protocollari con gli enti previdenziali per ottimizzare la funzione reciproca. Non solo, questa forma di finanziamento non impedisce nemmeno di svolgere funzioni indotte di service all’ente previdenziale: l’inoltro di una domanda telematica di pensione, di redditi telematici nei fatti ottimizza le operatività dei rispettivi ruoli.
Il dato più interessante è quello della gratuità del servizio rivolto al lavoratore. Una gratuità “particolare” ove si consideri che il servizio è comunque remunerato dalla contribuzione previdenziale.
L’approvazione del D.M. n. 193/2008, nell’alveo di una conferma di fondo delle modalità di finanziamento precedenti, ha tuttavia predisposto un aggiornamento dei criteri di rilevazione dell’attività per la ripartizione del finanziamento. Da un lato, viene introdotto maggior rigore nella rilevazione delle caratteristiche funzionali dell’organizzazione degli enti, dall’altro, viene privilegiata l’attività effettivamente svolta.
Gli enti di patronato devono rendicontare a livello statistico l’insieme delle prestazioni garantite all’utenza anche se solo alcune di esse, quelle più significative indicate nelle tabelle allegate al decreto, costituiscono il “paniere” per il finanziamento. Merita di essere evidenziato che nel paniere è stata introdotta l’attività svolta verso gli immigrati – con le domande di rinnovo dei permessi di soggiorno e di ricongiungimento familiare – considerato che l’incidenza della popolazione straniera in Italia si sta allineando ai valori registrati in paesi di più consolidata tradizione immigratoria.
Con la rilevazione complessiva dell’attività si è voluto evidenziare la mole enorme delle molteplici tipologie di prestazioni che i patronati sono chiamati ad espletare, senza tener conto che l’evoluzione del sistema di welfare, con una molteplicità di prestazioni, porta nelle sedi dei patronati una tipologia di utenza sempre più varia ed estesa.
Nella logica del contenimento della spesa pubblica la legge 24 dicembre 2012, n. 228, (c.d. "legge di stabilità"), prevede, a decorrere dal 2014, una riduzione del finanziamento agli Istituti di patronato e di assistenza sociale corrisposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nella misura di 30 milioni di euro annui (art.1, co. 9) e, in via subordinata, l’attuazione di una riforma della disciplina relativa ai medesimi Istituti. In particolare la riforma prevede una modifica della legge n. 152/2001 con l’obiettivo di consolidare l’attività degli Istituti di patronato e assistenza sociale e garantire un più efficace utilizzo delle risorse pubbliche.
In merito alla riduzione del finanziamento degli Istituti di patronato, il comma 9 prevede che, in caso di ritardo nell’attuazione della riforma summenzionata, il risparmio sia assicurato anche mediante una riduzione delle spese rimodulabili dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
I successivi commi da 10 a 12 introducono modifiche alla disciplina degli istituti medesimi con riferimento a: i requisiti per la loro costituzione e gestione; lo svolgimento di verifiche ispettive straordinarie; la modifica, mediante regolamento ministeriale ed altri decreti ministeriali, dei criteri di riparto del finanziamento, in base ai parametri aggiuntivi di cui alla lettera e) del comma 10 e di cui al comma 14.
I patronati, infatti, potranno essere emanazione di confederazioni ed associazioni sindacali che siano costituite ed operative da almeno otto anni (nella previgente normativa erano tre) e abbiano sedi in almeno 2/3 delle regioni e in 2/3 delle provincie (non più 1/3). Gli stessi dovranno allegare alla domanda di riconoscimento un progetto con l’indicazione di apertura di sedi in 2/3 delle regioni e in 2/3 delle province del territorio nazionale (non più 1/3) secondo criteri di adeguata distribuzione sul territorio nazionale individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; per l’anno 2014 i requisiti si riferiscono alla metà delle regioni e alla metà delle province del territorio nazionale. Ciò è finalizzato ad evitare comportamenti impropri e l’utilizzo di sedi fittizie, nonché a garantire un’adeguata distribuzione delle sedi stesse su tutto il territorio nazionale per assicurare l’efficienza dei servizi resi.
I patronati già esistenti devono adeguare le loro strutture entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della norma (ossia, dal 1° gennaio 2013) mentre quelli di nuova istituzione dal 2015.
Per quanto riguarda le verifiche ispettive il comma 10, lett. d) dispone che le somme destinate dalla previgente normativa al controllo delle sedi all’estero per la verifica dell’organizzazione e dell’attività possono attualmente essere utilizzate anche per quelle straordinarie in Italia e per la formazione del personale.
Infine, con riferimento alle modalità di ripartizione del finanziamento (comma 10, lett.e)), nell’ambito dei criteri stabiliti dall’articolo 7 della legge n. 152/2001, si riconosce prioritario rilievo alla qualità dei servizi prestati, verificata attraverso una relazione annuale redatta dagli enti pubblici erogatori delle prestazioni previdenziali e assicurative con riferimento a standard qualitativi fissati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentiti gli Istituti di patronato e di assistenza sociale. Ai sensi del comma 14, viene, altresì, valorizzata ai fini del finanziamento l’attività a punteggio “0” avviata con modalità telematica.
La prima parte è stata pubblicata su Lavoro@Confronto n. 46
[*] Rappresentante Regionale per il Friuli Venezia Giulia della Fondazione Prof. Massimo D’Antona. Responsabile della Sede provinciale di Udine del Patronato ENCAL-CISAL. Ha conseguito la Laurea in Diritto per le imprese e le istituzioni con la tesi dal titolo “Gli istituti di patronato e di assistenza sociale”.
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