Anno X - N° 49

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Gennaio/Febbraio 2022

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Anno X - N° 49

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Attività istituzionale dell’Ispettorato del Lavoro e Smart Working

Applicazioni nel periodo emergenziale e prospettive oltre la pandemia

di Fabiana Gennari [*]

Fabiana Gennari 49

Lo smart working nelle diverse attività dell’Ispettorato del Lavoro


Il lavoro agile, già disciplinato nell’ordinamento italiano dalla L. 81/17, ha notoriamente trovato una importante diffusione nel periodo pandemico, in cui a causa dell’emergenza sanitaria c’è stato un ricorso massivo a tale istituto, che è stato applicato anche in deroga alla disciplina che lo prevede.

Gennari 49 1In questo periodo l’attività istituzionale dell’Ispettorato è stata in più occasioni toccata da questa particolare forma di organizzazione del lavoro, talvolta in modo occasionale e marginale, ma comunque significativo di come tale figura contrattuale possa essere utilizzata in modo ambivalente, e quindi talora come strumento per tentare di eludere la legge, mentre in altre occasioni come vera e propria risorsa.

Il primo caso cui si fa riferimento è quello relativo ad un particolare tipo di controllo svolto dal personale ispettivo in questo periodo pandemico, in cui il servizio vigilanza dell’Ispettorato si è dedicato, tra le altre, alle verifiche in materia di Cassa Integrazione Guadagni: secondo precise indicazioni del Ministero del Lavoro, infatti, gli ispettori hanno appurato se esistevano le condizioni che legittimano il ricorso a tale ammortizzatore sociale, così accertando se nel periodo in cui si è beneficiato della CIG vi sia effettivamente stata la sospensione dell’attività imprenditoriale, e non si si sia fatto occulto ricorso, per esempio, allo smart working da parte dei dipendenti dell’azienda.

Qualora sia stato accertato lo svolgimento di lavoro “occulto”, il personale ispettivo ha proceduto ad informare l’Inps, affinché valutasse l’eventuale revoca del sussidio riconosciuto al datore di lavoro, e a trasmettere la relativa comunicazione di reato alla Procura della Repubblica per il seguito di competenza.

A fronte di tale tipo di utilizzo illecito, si sono poi verificati casi concreti in cui il ricorso allo smart working ha rappresentato una risorsa. Si fa qui riferimento ad un altro campo interessato in qualche modo da questa forma di organizzazione del lavoro, che è quello relativo alle domande di interdizione anticipata o post partum per le lavoratrici madri che svolgono lavori pericolosi o in condizioni insalubri per la mamma o il bambino, ai sensi del D.Lgs. 151/2001.

Questo tipo di istanza, comprensibilmente, ha avuto una crescita esponenziale nel periodo pandemico, ove il pericolo di rischio biologico da contagio da Covid19 è assai elevato.

In termini generali, a seguito della ricezione di apposita istanza da parte della lavoratrice, l’Ispettorato avvia un’interlocuzione con il datore di lavoro, tesa a verificare, nell’ambito della valutazione dei rischi e della sorveglianza sanitaria affidata al medico competente, se sussistono effettivamente i rischi denunciati da parte della lavoratrice, e la possibilità eventuale di adibire la stessa ad altre mansioni.

A causa della pandemia, però, è intervenuta la Circ. n. 2201/2020 I.N.L. del 23 marzo 2020, che per le lavoratrici a contatto con il pubblico ha previsto la possibilità di concedere l’interdizione anche in assenza della valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, e quindi a prescindere da qualsiasi tipo di accertamento.

Ciò non ha comunque vietato che, proprio nell’ambito della corrispondenza avviata col datore di lavoro, in diversi casi si sia ovviato al problema tramite il ricorso e la concessione dello smart working per la lavoratrice madre, così contemperando da un lato le esigenze produttive del datore di lavoro e dall’altro quelle di salute della dipendente, la quale ha altresì potuto continuare a percepire la propria retribuzione per l’intero, e non quindi secondo la percentuale che avrebbe percepito in caso di interdizione.
 

Controllo a distanza dei lavoratori e smart working


C’è poi una materia che rientra a pieno titolo tra le competenze istituzionali dell’Ispettorato del Lavoro, e che deve essere declinata, anche in prospettiva futura per il periodo post-pandemico, con le peculiarità proprie del lavoro agile: il controllo a distanza dei lavoratori.

L’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, così come modificato dal decreto attuativo del Jobs Act D.Lgs. n. 151/2015, subordina ancora la legittimità dell’utilizzo di strumenti da cui possa derivare anche un controllo a distanza sui lavoratori alla sussistenza, oltre che delle esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro o di tutela del patrimonio aziendale, anche di un accordo sindacale, o di apposita autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato del Lavoro, Territoriale ovvero Nazionale nel caso in cui il datore di lavoro abbia più unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali.

Gennari 49 2È quindi imprescindibile l’alternativa esistenza di una delle due condizioni sopra indicate, che non possono mai essere sostituite, secondo la oramai pacifica giurisprudenza (ex multis Cass. Pen, n. 1733/2020) da un eventuale consenso né scritto né tantomeno orale dei dipendenti, e ciò in virtù della nota posizione di debolezza in cui versa il lavoratore nel rapporto di lavoro, che lo rende bisognoso di speciale protezione, per cui anche il diritto a concedere l’assenso al controllo è considerato indisponibile.

Il percorso preferenziale tra le due alternative previste dalla norma è la procedura sindacale, e la procedura autorizzatoria pubblica che coinvolge gli Ispettorati del Lavoro è infatti solo eventuale e successiva al mancato raggiungimento dell’accordo con i sindacati, come invero si evince dalle indicazioni del modulo predisposto dall’Ispettorato Nazionale per la richiesta di autorizzazione da parte dell’imprenditore, in cui lo stesso deve specificare di non aver raggiunto l’accordo. La predilezione nei confronti dell’accordo sindacale è poi tale, che anche laddove sia già stata rilasciata l’autorizzazione amministrativa, questa possa sempre essere sostituita da un eventuale successivo accordo.

Ciò precisato in termini generali, e venendo ora a considerare in particolare il controllo a distanza nello smart working, si deve preliminarmente constatare come la trasformazione digitale del lavoro abbia fatto proliferare le occasioni di controllo a distanza del lavoratore, così facendo nascere rilevanti problemi applicativi alla luce sia dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori che del Codice per la Protezione dei dati personali e del Regolamento Europeo 679/2016, che sono tesi a tutelare il rispetto della dignità, libertà e riservatezza della persona.

In attesa di vedere quali saranno gli strumento legislativi che verranno pensati sotto il profilo giuslavoristico, deve considerarsi che recentemente, anche a causa del massivo ricorso allo smart working che è stato effettuato in pandemia, è stato siglato un protocollo d’intesa in data 22.04.2021 tra l’Ispettorato del Lavoro e il Garante per la protezione dei dati personali, della durata di due anni, con cui si auspica una proficua collaborazione tra i due enti chiamati ad intervenire, ognuno per la parte di propria competenza, nella delicata materia del controllo a distanza, al fine di individuare una collaborazione strategica e sinergica tra i medesimi, anche attraverso campagne di formazione ed informazione, nonché per avviare buone prassi da diffondere in questa materia così nuova e delicata.

Il Garante, nel periodo di riferimento, è più volte intervenuto con apposite ordinanze tese a contrastare l’illecito utilizzo di forme occulte di controllo, così pesantemente sanzionando i datori di lavoro che non hanno rispettato la normativa (ordinanza ingiunzione 11 marzo 2021, 15 aprile 2021, 13 maggio 2021). È noto che anche l’Ispettorato del Lavoro abbia competenza a sanzionare eventuali ipotesi di controllo non autorizzato per cui, se il personale ispettivo verifica che in un’azienda esiste un a forma di controllo occulto, notifica al datore di lavoro un atto di prescrizione ex art. 15 D.Lgs. 124/2004, con il quale intima la immediata cessazione dell’illecito e la rimozione degli strumenti non autorizzati; nel caso in cui il datore di lavoro adempia, lo stesso è ammesso al pagamento in sede amministrativa di un quarto del massimo dell’ammenda, mentre in caso opposto l’ispettore redige apposita comunicazione di reato alla competente Procura per il seguito di competenza.

Quanto alle linee operative da seguire ai fini del rilascio dell’invocata autorizzazione, allo stato ed in applicazione dei principi generali, si ritiene che l’Ispettorato sia chiamato a fare un bilanciamento tra le contrapposte esigenze del datore di lavoro e del lavoratore, che non è sempre agevole, e nell’ambito del quale è necessario rispettare le prescrizioni europee di cui al Regolamento n. 679/2016 in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento ai principi di finalità, minimizzazione, trasparenza e proporzionalità. Il contemperamento non può prescindere dall’esame del caso concreto, nell’ambito del quale deve essere sempre verificato se esiste una valida alternativa alla soluzione proposta dal datore di lavoro.

L’Ispettorato del Lavoro compie quindi un’istruttoria, durante la quale verifica la ricorrenza in concreto delle esigenze dichiarate a supporto dell’istanza, che possono essere ragioni produttive od organizzative, che in caso di lavoro agile possono in ipotesi essere rappresentati dalla necessità di controllo di dispositivi che necessitano di continuo monitoraggio o di interventi, oppure esigenza di tutela della sicurezza sul lavoro, che effettivamente appare difficile riferire a casi di smart working e che in generale vengono riconosciute in ipotesi in cui i lavoratori lavorano isolati, o per garantire un pronto soccorso, o per attività pericolose o nocive; ed infine la ricorrenza di esigenze di tutela del patrimonio aziendale, che astrattamente potrebbero configurarsi anche quando si intenda proteggere le apparecchiature software del datore di lavoro da hacker o da eventuali virus, che possano compromettere l’integrità e l’efficacia.

Gennari 49 3Le predette valutazioni vanno compiute tenendo sempre in debita considerazione le indicazioni dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e della giurisprudenza relativamente all’interpretazione da attribuire alla locuzione “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere l’attività lavorativa”, che ai sensi del comma 2 dell’art. 4 L. 300/1970 consentono di derogare alla procedura di cui al comma 1.

Si deve infatti considerare che l’Ispettorato del Lavoro, con Circolare n. 2 del 07/11/2016, ha offerto un significato molto ristretto della citata locuzione, prevedendo che possono essere considerati tali “gli apparecchi, dispositivi, apparati e congegni che costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tale finalità siano stati posti in uso e messi a sua disposizione”. Il Garante per la privacy, in linea con tale interpretazione, nella verifica preliminare del 16 marzo 2017 ha chiarito che per “strumenti di lavoro” si intendono quegli apparecchi utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa, ovvero direttamente preordinati all’esecuzione della stessa


Alla luce di quanto sopra, pare si possa sostenere che, astrattamente, possano essere considerati “strumenti di lavoro”:

  • il computer aziendale, il tablet e lo smartphone, che pare non ci siano dubbi a considerare, soprattutto nello smart working, uno strumento necessario per rendere l’attività lavorativa, come tale sottratto alle garanzie di cui all’art. 4 comma 1 Statuto dei Lavoratori; in ogni caso il datore di lavoro deve dare al lavoratore l’informativa, nel rispetto della normativa sulla privacy;
  • ancora, può essere considerato strumento di lavoro la posta elettronica, pur con le cautele previste dal Garante per cui deve essere dato avviso al lavoratore che la corrispondenza non è privata, e sempre fatto salvo l’obbligo del datore di adottare un disciplinare interno adeguatamente pubblicizzato, in cui devono essere esplicitate le regole per l’uso della posta elettronica e di internet, in modo chiaro e senza formule generiche;
  • internet, per il quale i controlli sono possibili, secondo il Garante, senza analizzare quali siti siano stati visitati, ma solo per valutare i dettagli del traffico (data, ora, durata della connessione…). Non è pertanto prevista la garanzia ex art. 4 comma 1 L. 300/1970, ma è comunque necessaria una previa informativa sul corretto utilizzo che ci si aspetta, sulle modalità di svolgimento dei controlli, l’indicazione dei comportamenti non ammessi con l’avvertimento che l’uso privato può essere limitato alle pause, e le relative sanzioni disciplinari.
    Al riguardo, è altresì consigliato l’utilizzo di un comportamento proattivo da parte del datore di lavoro, che possa prevenire i comportamenti illeciti piuttosto che sanzionarli, per esempio con l’interdizione o il blocco di siti che sono considerati non pertinenti all’attività lavorativa;
  • pure uno strumento di lavoro può essere, con particolare riferimento a personale addetto al Call center per cui è facilmente ipotizzabile il ricorso al lavoro agile, il sistema di gestione CRM (Customer Relationship Management), che permette di associare il numero di telefono del chiamante alla posizione del cliente, in modo che l’operatore abbia chiara la relativa situazione individuale in tempo reale.


Gennari 49 4Se invece sul personal computer si installano meccanismi, presenti ormai su molti software aziendali, che avvisano per esempio con una sorta di semaforo verde, giallo e rosso della presenza davanti al computer del lavoratore o del suo collegamento alla rete aziendale, o comunque sofware di controllo capaci di calcolare il livello di produttività del dipendente, allora pare non si possa prescindere dal rispetto del citato art. 4 comma 1 legge citata. In ogni caso, sia l’INL che il Garante per la protezione dei dati hanno ribadito che il monitoraggio non possa mai essere costante, indiscriminato, prolungato ed invasivo, ed è per questo motivo che, in Italia, non è possibile ricorrere a software invece comunemente utilizzati in America in materia di smart working, come il cd. SNEEK che permette di controllare lo smart worker scattandogli foto ogni tot minuti.

Pur nella considerazione delle esigenze del datore di lavoro, infatti, nell’ordinamento italiano non possono essere completamente sacrificati i diritti che i lavoratori hanno conquistato nel corso degli anni, contenuti nello Statuto dei Lavoratori e nei successivi interventi normativi posti a tutela degli stessi, che devono in qualche modo rappresentare un faro nel bilanciamento degli interessi, anche nel delicato panorama lavorativo dei prossimi anni. Quadrato Rosso

[*] Responsabile Processo Legale presso l’Ispettorato del Lavoro di Nuoro. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

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