Permesso di soggiorno per attesa occupazione
di Maria Rosaria Pisapia [*]
Problematiche sorte in seguito all’emanazione del Dlgs. n. 76 del 2013
La procedura di emersione introdotta dal Dlgs 109/2012 si traduce, in sostanza, nella possibilità di sanare rapporti di lavoro irregolare istaurati tra datori di lavoro e cittadini stranieri clandestini presenti in Italia almeno al 31/12/11 e che hanno avuto inizio almeno dal maggio 2012, in qualunque settore economico. Alla luce di suddetta normativa, in presenza di determinati requisiti di tipo economico, personale, alloggiativo ecc. il procedimento si conclude di norma con la firma del contratto di soggiorno da entrambe le parti e il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato al lavoratore straniero.
Il problema sorge, allorché la procedura in fase patologica, si concluda con un rigetto o archiviazione. A questo proposito, al fine di velocizzare e semplificare la procedura di emersione, il legislatore ha emanato in data 28/06/2013 il D.L. n. 76 che ha introdotto importanti novità inserendo all’art. 5 Dlgs. 109/2012 tre commi: 11-bis, 11-ter e 11-quater disciplinanti ipotesi di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione in assenza di firma del contratto.
In via generale, il permesso di soggiorno per attesa occupazione, è un titolo di soggiorno rilasciato allo straniero provvisoriamente senza lavoro e che permetta allo stesso di permanere regolarmente sul territorio italiano, di iscriversi nelle liste di collocamento e di trovare una nuova occupazione, nei limiti della scadenza del documento medesimo.
Col decreto n. 76 il legislatore ha voluto dare una chance in più allo straniero, prevedendo che nei casi in cui la procedura non si concluda con la stipula del contratto di lavoro, in presenza di determinati presupposti, allo stesso possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione.
I tre commi introdotti dal citato decreto n. 76 hanno previsto sostanzialmente due ipotesi in cui è possibile rilasciare il permesso per attesa occupazione, tuttavia la diversa disciplina riservata alle due fattispecie ha sollevato numerose problematiche, ipotizzando finanche la disparità di trattamento per situazioni apparentemente diverse ma sostanzialmente simili.
Di seguito i precetti normativi oggetto della questione :
“11-bis. Nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l'immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5, e del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione. I procedimenti penali e amministrativi di cui al comma 6, a carico del lavoratore, sono archiviati. Nei confronti del datore di lavoro si applica il comma 10 del presente articolo.
11-ter. Nei casi di cessazione del rapporto di lavoro oggetto di una dichiarazione di emersione non ancora definita, ove il lavoratore sia in possesso del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, la procedura di emersione si considera conclusa in relazione al lavoratore, al quale è rilasciato un permesso di attesa occupazione ovvero, in presenza della richiesta di assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro, un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, con contestuale estinzione dei reati edegli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 6.
11-quater. Nell'ipotesi prevista dal comma 11-ter, il datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione resta responsabile per il pagamento delle somme di cui al comma 5 sino alla data di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro; gli uffici procedono comunque alla verifica dei requisiti prescritti per legge in capo al datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione, ai fini dell'applicazione del comma 10 del presente articolo”.
A chiarimento di quanto stabilito nei commi suddetti è stata emanata la circolare min. cong. lavoro- interno n. 4417 del 10.07.2013 che esplicita quanto segue: nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per motivi esclusivamente imputabili al datore di lavoro (v. parere negativo della DTL o della Questura) , lo Sportello Unico previa verifica dei pagamenti delle somme previste dall’art. 5 comma 5 del Dlgs 109/2012 (ovvero le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale pari almeno a 6 mesi e fatto salvo l’obbligo di regolarizzazione delle somme dovute per l’intero periodo in caso di rapporti di lavoro di durata superiore a 6 mesi) e del requisito della presenza sul territorio nazionale al 31 dicembre 2011, provvederà al rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione (comma 11-bis).
Scopo della norma è quello di impedire che l’impossibilità di concludere positivamente la procedura di emersione per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, si traduca in una penalizzazione per il lavoratore.
Quindi per ottenere il permesso di soggiorno per attesa occupazione sono richieste due condizioni:
1) previo versamento delle somme dovute, in particolare quelle a titolo contributivo.
2) presenza dello straniero sul territorio nazionale al 31/12/2011.
A questo punto una domanda sorge spontanea: il mancato versamento delle somme di cui all’art. 5 co 5 del Dlgs 109/2012 non è un onere ricadente esclusivamente sul datore di lavoro? E allora per quale ragione il mancato assolvimento dello stesso dovrebbe tradursi nel diniego del permesso di soggiorno in pregiudizio al lavoratore?
Da qui in poi sono sorti dubbi e perplessità, che hanno indotto le amministrazioni coinvolte a formulare numerosi quesiti, di cui è stata investita l’avvocatura Generale dello Stato . A tal proposito l’Avvocatura si è espressa attenendosi ad una interpretazione strettamente testuale della normativa, che ad avviso della scrivente non è andata a fondo della questione e soprattutto non ha considerato l’intero dettato normativo, ovvero l’altra ipotesi di rilascio del permesso di attesa occupazione, quella cioè disciplinata dai commi 11-ter e 11-quater dell’art. 5 Dlgs 109/2012, perdendo l’occasione di un’opportuna opera chiarificatrice in materia. Riassumendo le numerose pagine in cui l’organo consultivo ha ampiamente dissertato sull’argomento si può così concludere : solo alla ricorrenza dei due requisiti richiesti dalla legge (presenza ininterrotta al 31 dicembre 2011 e versamento datoriale delle somme dovute per un periodo almeno pari a 6 mesi) sarà possibile riconoscere al lavoratore un permesso di soggiorno in attesa di occupazione. La sussistenza del rapporto di lavoro deve quindi essere provata ( oltre che dalla presenza al 31/12/2011) dall’avvenuto pagamento, senza che lo stesso possa essere presunto da elementi indiziari più o meno attendibili.
Dunque, tranne lo sconto sui contributi ridotti a 6 mesi per volontà giurisprudenziale, nulla di nuovo è stato detto. Ciò che lascia quanto meno perplessi, non è tanto l’aver dimenticato la posizione del lavoratore straniero che incolpevolmente subisce un’inadempienza del datore, non potendo ottenere il tanto agognato titolo di soggiorno. L’Avvocatura infatti a questo proposito trova comunque un escamotage, sia pure molto vaga in termini e tempi procedimentali. Alla fine statuisce che in tutti i casi in cui non vi siano le suddette condizioni per il rilascio del permesso per attesa occupazione, l’espulsione del lavoratore non è automatica conseguenza del rigetto. Il Prefetto, valuta caso per caso. Cosa? I non meglio precisati interessi in gioco ascrivibili al lavoratore. Come? Seguendo quali iter procedimentali? Non è dato sapere.
Dunque, dopo questa ulteriore valutazione alla luce di criteri quantomeno labili, il lavoratore potrà comunque ottenere il permesso di soggiorno per attesa occupazione, ma non in deroga ai requisiti previsti dalla novella sull’emersione, bensì per ragioni di opportunità valutate all’Amministrazione.
Insomma una soluzione per salvare capre e cavoli, che paventa l’effetto di un iter procedimentale oltremodo prolungato della sanatoria in corso.
Ciò detto non è tanto quest’ultimo profilo che ci lascia perplessi, quanto piuttosto un altro. L’Avvocatura ha completamente tralasciato di considerare l’altra ipotesi di rilascio del permesso per attesa occupazione, ovvero quella disciplinata dai commi 11-ter e 11-quater. Fattispecie strettamente collegata alla prima, per ovvie ragioni.
La citata circolare min. congiunta n. 4417 del 10/07/2013 richiamando la normativa, statuisce che nei casi di cessazione del rapporto di lavoro di una dichiarazione di emersione non ancora definita, ove il lavoratore sia possesso del requisito della presenza al 31 dicembre 2011, è previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione (comma 11-ter). In questa ipotesi il datore di lavoro resta responsabile per il pagamento delle somme di cui al comma 5 del decreto legislativo 109 del 2012 sino alla data di cessazione del rapporto di lavoro (comma 11-quater).
La differenza di disciplina rispetto al precedente comma 11- bis è lampante. Infatti nell’ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro per qualsiasi motivo, ai fini del rilascio del permesso per attesa occupazione non è più richiesto il previo pagamento delle somme di cui all’art. 5 co. 5 dlgs 109/12, ma semplicemente il requisito della presenza al 31/12/2011 e la procedura si considera conclusa in relazione al lavoratore.
Dunque il previo pagamento dei contributi, conditio sine qua non per dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro , in questo caso sembra venir procrastinata: è sufficiente unicamente che il lavoratore dimostri il requisito della presenza al 31/12/11 per ottenere il titolo di soggiorno.
A questo punto occorre sottolineare come appare stridente la disparità di trattamento tra le due fattispecie che possono sembrare diverse, ma nei casi concreti vengono spesso a coincidere.
Senza contare che sono numerosissimi i casi in cui procedure di emersione rientranti nella disciplina dell’art. 5 comma 11-bis (rigetto per motivi attribuibili esclusivamente al datore) si trasformino in casi ricadenti nella disciplina più favorevole del comma 11-ter attraverso la semplice formalità di una comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro.
Ci si chiede dunque come mai non siano state trattate unitamente entrambe le ipotesi normative e le incresciose conseguenze che da esse derivano.
Probabilmente la risposta va ricercata nella difficoltà di approcciarsi con un quadro normativo, non chiaro, non equilibrato e un filino discriminatorio.
[*] Maria Rosaria Pisapia è Responsabile Unità Operativa Immigrazione della Direzione Territoriale del Lavoro di Salerno. Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’amministrazione di appartenenza ai sensi della circolare del Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004.
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