L’anno appena trascorso, il 2021, già fustigato da due nuove ondate pandemiche del SarsCov-19 e dalle sue indesiderate modificazioni, deve, purtroppo, essere ricordato ed enumerato anche come annus horribilis per quanto concerne il numero di infortuni sul lavoro, gravi e mortali.
Nell’anno in questione (fortunatamente) conclusosi, si è raggiunto l’ignominioso livello di 3 (o più) morti al giorno, coinvolgendo praticamente tutti i principali settori produttivi della nostra bella Italia.
Il 2022, disgraziatamente, non è iniziato meglio e, statistiche alla mano, per i primi quattro mesi i numeri cominciano ad essere molto – troppo – simili ai precedenti, a tratti probabilmente peggiori, specie per alcuni settori merceologici e produttivi come quello delle costruzioni.
La domanda, allora, sorge spontanea: può un territorio storicamente così ricco di tradizioni tra le più antiche al mondo, può un paese con l’innata capacità di creare e d’innovare con una reattività senza pari, permettersi dei record tanto negativi e disonorevoli?
La domanda è retorica e la risposta è ovviamente no.
Il problema è che, per trovare una eventuale soluzione a questo momento critico, occorre – come ci insegnano i padri della storia – indagare il passato, guardare al presente e progettare il futuro, tenendo in forte considerazione quanto già accaduto.
Il passato ci racconta che, a torto o a ragione (e non si intende assolutamente creare o entrare in nessuna polemica), le competenze sulla materia della salute e sicurezza sul lavoro, ad un certo punto, sono transitate, quasi integralmente, alle Regioni; questo è avvenuto per il giusto fatto, che in quel particolare periodo storico, le amministrazioni regionali potevano avere (ed avevano) una migliore capacità di rendere efficiente l’attività prevenzionistica.
Ricordiamoci che ci stiamo riferendo ad un’epoca in cui lo Stato aveva ben altre beghe da risolvere, ragion per cui è possibile comprendere alcune scelte fatte rispetto a questioni, ai tempi, non critiche.
Oggi, però, possiamo dire (candidamente e senza alcuna presunzione) che quella soluzione voluta dal legislatore dell’epoca recava già in sé, anche se ancora impercettibile, il seme dell’inevitabile involuzione che poi si sarebbe verificata nel futuro, in quanto palesemente collegata e “dipendente” dalla diversità culturale, storica e comportamentale delle tante Regioni italiane.
Questa peculiarità e queste “disuniformità” che, per molti versi, ci rendono affascinanti al mondo, quando vengono richiesti sotto l’aspetto organizzativo rappresentano un vulnus dell’intero sistema della tutela dei lavoratori.
Il (più recente) passato, inoltre, ci ricorda anche il violento e costante depauperamento della forza di rappresentatività sindacale, con la conseguenza che chi, in primis, poteva “difendere” il lavoro e i lavoratori si è, progressivamente, ritrovato ad avere “voce flebile”, talvolta “stonata” tra i vari attori e, certamente, si è trovata a poter agire con meno incisività rispetto agli anni delle grandi “rivendicazioni”.
A questa non indifferente caduta va sommato anche il persistente attacco portato nei confronti delle pubbliche amministrazioni che ha creato, in modo inevitabile, anche una sorta di demonizzazione di tutti gli organi di vigilanza in materia di lavoro e sicurezza.
Descrivere il presente non è semplice, anche perché, è il “presente” a non esserlo.
L’apparato statale si è finalmente reso conto che non è più possibile accettare ciò che è accaduto, specialmente quanto ancora sta accadendo in termini infortunistici, e attraverso alcuni incisivi accorgimenti (vedasi il D.L. n.146/2021 “Decreto Fiscale” poi convertito con modificazioni dalla Legge n. 215/2021), cominciano a palesarsi azioni correttive che sembrano andare nella direzione giusta: creare la consapevolezza che la sicurezza sul lavoro non è un adempimento, ma è un dovere sociale e morale.
Con la nuova norma (che innova, in piccola ma sostanziale parte, il Testo Unico), all’organo ispettivo già ben operante in tutti i settori produttivi (i Servizi di Prevenzione delle ASL), ne viene affiancato un altro, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che, anche solo per l’impatto organizzativo a carattere statale, potrà (anzi, dovrà) derimere la questione delle molte, eventuali difformità regionali, concretizzando, in pratica, la tanto desiderata “regìa” unica e condivisa, da cui poi dedurre un più efficace “piano strategico” d’azione.
Le modifiche apportate dal D.L. n.146/2021 sono svariate e, se vogliamo, efficacemente trasversali, giungendo persino ad includere (finalmente) una formazione specifica per il Datore di Lavoro ed una maggiore responsabilizzazione del Preposto.
Appare evidente che questi “ritocchi” (per usare un eufemismo) perseguono la mission della più ampia “cognizione” sul concetto di prevenzione infortuni.
Il “tempo presente” (ed è proprio notizia di questi giorni) vede anche la creazione di un “Portale Nazionale del Contrasto al Lavoro Sommerso” che, senza alcuna riserva di pensiero, rappresenterà uno strumento indispensabile a garantire la legalità e la sicurezza nel mondo del lavoro, al quale si affiancherà l’accrescimento degli organici (speriamo con il completo scorrimento delle graduatorie a tutti gli idonei) dei vari enti di vigilanza, già a partire dall’INL che ha messo “in campo” diversi concorsi pubblici.
Il futuro è, per definizione, imperscrutabile. Ma come si diceva nell’incipit di questo breve commento, può essere progettato, pianificato e posto “in costruzione”. Quali sono gli elementi essenziali a queste attività? La risposta è sempre la stessa ed è semplice: le esigenze. E le esigenze sono figlie delle difficoltà rilevate.
Abbiamo dunque il nostro punto di partenza: quali sono le difficoltà, le conseguenti esigenze e le questioni sulle quali proporre?
Le questioni, anche se riguardanti il futuro, sono già sostanzialmente (e per fortuna) sui vari tavoli politici ed all’attenzione delle diverse commissioni; certo rappresentano un bel “trilemma” perché, come minimo, abbiamo davanti problemi riguardanti: 1) un ulteriore aumento degli organici degli enti di vigilanza, 2) la costituzione di una Procura Unica Nazionale per il Lavoro e 3) la decisione se prevedere, o meno, un reato più specifico e gravoso per le morti sul lavoro.
Parlando di esigenze, esiste quella di saper realizzare controlli “mirati” e che non si rivelino vessativi nei confronti delle aziende virtuose, dovendo puntare, invece, sulle “imprese” che son avvezze ad agire nell’ombra, sotto le insegne del “nero” (fiscale e lavoristico) e dello sfruttamento.
C’è poi la necessità, eticamente imprescindibile, di trovare una “certezza della pena” in materia prevenzionistica. In dieci anni, su più di 11.000 infortuni mortali verificatisi, solo qualche centinaio è potuto giungere a giudizio e questo rappresenta una criticità del sistema giudiziario e una profonda ingiustizia nei confronti dei parenti di chi non è sopravvissuto.
Un dato inconfutabile è che, sulla materia prevenzionistica, ogni Procura territoriale si incanala su ragionamenti (e perciò, sentenze) differenti e che i procedimenti penali durano talmente tanto tempo da passare “nelle mani”, come minimo, di 3-4 diversi Pubblici Ministeri e 2-3 Giudici.
Una Procura unica sul Lavoro, interamente dedicata ad ogni sfaccettatura dell’argomento, potrebbe garantire uniformità di “trattamento” e tempi moralmente più etici.
L’istituzione di questo Organo, infine, potrà probabilmente dirimere anche l’ultima esigenza: se sia necessario o meno inasprire le pene previste dal Codice penale per i reati infortunistici sul lavoro, come già avvenuto con l’istituzione dei reati di omicidio e lesioni stradali.
Quest’ultima esigenza si ritroverà probabilmente “coinvolta” con la controversa questione sulla riforma della Giustizia ed è legittimo auspicare alcuni interventi che possano magari anche rivedere il sistema delle responsabilità amministrative degli enti ex d.lgs. n. 231/2001.
L’auspicio di un futuro migliore per i lavoratori è oggi nelle nostre mani, qualunque sia il ruolo che occupiamo nel sistema.
Come disse Rita Levi Montalcini: “Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, e direi incoraggiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi desideri.”
[*] Ispettore tecnico in servizio presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Siena. Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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