Roma, 20 maggio 1999, 8:30 di mattina, il professor Massimo D'Antona, 51 anni, viene ucciso, in Via Salaria, per mano delle brigate rosse. Assassinato perché individuato come la mente pensante del “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”, firmato fra Governo e parti sociali alla fine del 1998; un patto che il giurista aveva ideato per il Governo guidato da Massimo D’Alema e per il Ministro del Lavoro Antonio Bassolino.
Quella mattina eravamo proprio presso la sede del Ministero del lavoro, in Via Flavia, per la prosecuzione di una trattativa che riguardava il contratto integrativo dei dipendenti di quel Ministero; io guidavo la delegazione della Cisl e insieme ai colleghi Roberto Giordano della Cgil e Fabrizio Di Lalla della Uil, mentre il frastuono degli elicotteri della polizia aumentava di intensità di minuto in minuto, rimanemmo impietriti quando proprio sul cellulare di Roberto arrivò la notizia del barbaro omicidio e attoniti, a maggior ragione, perché sapevamo tutti che Massimo D’Antona, in quel periodo, stava lavorando con i tecnici del Ministero e delle Organizzazioni sindacali confederali per la concreta attuazione del patto firmato solo qualche mese prima.
Una grave perdita per la famiglia, una grave perdita per il mondo del lavoro. Nel 2004 la vedova del giuslavorista, nel libro COSÌ RARO, COSÌ PERDUTO (Olga D'Antona con Sergio Zavoli - Mondadori, 2004 - 130 pagine) ebbe a dire: “Non c'è alcun fondamento politico razionale nella strategia delle Br e, oltre al dolore per la perdita della persona a me più cara, c'è l'amarezza dell'insensatezza di quell'assassinio”.
Sono passati 23 anni da quella brutta e triste giornata, eppure la scomparsa di Massimo D’Antona, giuslavorista, consulente del Ministro del Lavoro, rimane una pagina della nostra storia che non potremo mai dimenticare.
Con Massimo D’Antona esce di scena uno dei migliori giuslavoristi che il nostro Paese abbia mai avuto. Uno studioso sui temi del lavoro particolarmente prolifico, il cui impegno ebbe a manifestarsi fin dal 1972 con i suoi primi interventi pubblici su questioni riguardanti i temi del lavoro. Rileggendo la sua storia professionale, i diversi libri pubblicati, il gran numero di interventi divulgati su riviste specializzate, gli importanti documenti scritti a sostegno dell’azione del Governo, si resta veramente sbalorditi per la rilevanza qualitativa e quantitativa degli studi messi a disposizione della politica, del sindacato, degli studiosi e del Paese tutto.
La Fondazione Massimo D’Antona, nel 2019, in occasione del ventesimo anniversario dalla scomparsa del giurista, ha pubblicato il volume N. 5 della Collana Quaderni dal titolo “Venti anni dopo. Ricordando Massimo D’Antona” attraverso il quale sono stati ripercorsi i passaggi più importanti dell’impegno professionale dello studioso. La pubblicazione è integralmente disponibile sul sito internet della Fondazione, nella sezione Quaderni, all’indirizzo https://fondazionedantona.it/i-quaderni/
Su (e di) Massimo D’Antona e sulle sue opere sono state scritte tante cose; in questa occasione vale la pena, da una parte, limitarsi a ricordare, in maniera molto sintetica, la sostanza del suo impegno nell’ultimo periodo della sua vita e cosa questo potrebbe significare oggi per tutti noi e, dall’altra, riprendere alcuni fili del ragionamento che lui ci ha lasciato in materia di riforma della pubblica amministrazione.
Il 22 dicembre 1998 era stato firmato, fra Governo, Associazioni imprenditoriali e Organizzazioni sindacali, il “Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione”. Quel patto aveva potuto prendere la luce grazie al contributo fondamentale portato a quel documento proprio da Massimo D’Antona. In quel protocollo emerge con grande evidenza la visione assolutamente originale e innovativa che Massimo D’Antona aveva sui temi dell’economia e del lavoro.
L’accordo del 1998 era una sorta di prosecuzione e ulteriore ampliamento delle scelte già assunte con il più importante Protocollo di concertazione del 23 Luglio 1993 che aveva consentito al Paese di uscire da una pesante condizione di difficoltà grazie anche alla scelta di rendere stabile e continuo il confronto tra Governo, organizzazioni sindacali e associazioni datoriali. Nella logica dell'accordo del 1993, il patto del 1998 ampliava alcune scelte e immaginava nuovi orizzonti sia della politica che delle forze sociali nella logica dell'ammodernamento del Paese e di piena integrazione all'interno dell'Unione Europea. Le più importanti linee direttrici del patto del 1998 erano il rafforzamento della concertazione, con la sua estensione a tutti i livelli istituzionali, sulla Pubblica amministrazione riorganizzazione e semplificazione, sulla riduzione del cuneo fiscale, con la riduzione dell’Irpef e del carico contributivo, sulla scuola e formazione, con l'elevazione dell'età per l'obbligo scolastico e l'ampliamento della formazione continua, con nuovi momenti di lotta all’evasione fiscale ed al lavoro sommerso.
Sulle questioni del governo del mercato del lavoro, Massimo D'Antona era convinto della necessità di introdurre la cultura nuova della unificazione delle regole sul lavoro fra "privato" e "pubblico", guardando al Ministero del lavoro come unica sede istituzionale nella quale creare quel ruolo di "amministrazione delle politiche del lavoro" e superando la contemporanea esistenza del Ministero della Funzione Pubblica per la gestione dei contratti pubblici.
Sulla pubblica amministrazione va ricordato che, le uniche azioni che hanno in qualche modo rappresentato un'importante spinta all’innovazione ed alla semplificazione sono quelle sostenute da Massimo D'Antona, che hanno consentito di dar vita alla cosiddetta Privatizzazione del diritto del lavoro pubblico, portate avanti nel 1993 (Governo Amato) e nel 1998 (Governo D'Alema). Due provvedimenti molto complessi e articolati ma che, fra le molte innovazioni contenute, sancivano la piena responsabilizzazione della dirigenza pubblica anche con l'introduzione del principio fondamentale della separazione tra le funzioni di indirizzo politico e le funzioni di gestione ma, in particolare, con la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro e la applicazione di buona parte delle norme del codice civile in materia di lavoro anche nel pubblico impiego.
Soprattutto, va evidenziato, le nuove norme si proponevano di accrescere l’efficienza delle amministrazioni e di razionalizzare il costo del lavoro pubblico; per la prima volta nella gestione degli uffici venivano introdotti i principi di speditezza, economicità e trasparenza.
Impegnato nel continuo adeguamento delle norme di riforma del pubblico impiego stava lavorando alla stesura del "testo unico sul lavoro pubblico"; testo che vide, comunque, la luce nel 2001 come decreto legislativo n. 165.
Purtroppo, la sua morte prematura e le vicende politiche che portarono qualche mese dopo alla caduta del Governo D’Alema, hanno lasciato incompiute molte delle cose che aveva immaginato Massimo D’Antona sia per quanto riguarda l’attuazione del protocollo del dicembre del ’98 che anche per ciò che concerne la esigenza di successivi interventi di adeguamento sulle norme di riforma della pubblica amministrazione.
Massimo D'Antona aveva sempre avuto un rapporto speciale con il sindacato. Nella Consulta giuridica e nell'Ufficio legale della CGIL, nelle sedi unitarie di dibattito sui problemi giuridici dell'occupazione e del lavoro, il suo maggiore impegno è consistito nella ricerca di percorsi e di soluzioni che connotassero il sindacato come soggetto della trasformazione e dell'innovazione, spesso mettendo in guardia da posizioni e impostazioni di mera conservazione dell'esistente. Proprio perché rafforzato da questa esperienza condotta nel sindacato e contestualmente convinto della esigenza di adeguamento del nostro Paese agli standard di gestione del lavoro presenti nei paesi più forti dell'Europa occidentale, era molto attento a tutte le nuove forme di organizzazione del lavoro ed era profondamente impegnato sul tema della flessibilità nel mercato del lavoro, un tema per il quale spesso incontrava molte resistenze proprio sul fronte sindacale il quale manifestava la giustificata preoccupazione che se ne potesse fare un uso distorto.
Invece, da uomo di sinistra e con grandi esperienze a fianco del sindacato, era convinto che il sindacato dovesse fare propria la sfida della flessibilità, esattamente perché era consapevole dell'esigenza di andare verso quella direzione, al passo con il contesto europeo. Era favorevole, quindi, alla introduzione di nuove forme di flessibilità a condizione, però, che le stesse fossero accompagnate da tutele forti che garantissero a ogni individuo/lavoratore la possibilità di portare avanti il suo progetto di vita nel rispetto della dignità di ognuno.
Purtroppo, oggi le forme contrattuali flessibili sono presenti in gran numero nella nostra legislazione del lavoro con l'evidente punto debole dell’assenza di garanzie in una pericolosa situazione di proliferazione delle situazioni di precarietà non protette.
Da questo punto di vista non possiamo permetterci di lasciare passare ancora troppo tempo: c'è l'esigenza di introdurre tutte le tutele possibili proprio su quelle forme contrattuali flessibili che oggi relegano i lavoratori al rango di cittadini di serie B. Su questo tema il pensiero di Massimo D'Antona è ancora oggi di straordinaria attualità.
Insomma, la storia e i risultati darebbero oggi pienamente ragione a Massimo D’Antona ma le scelte operate dai Governi succedutisi negli ultimi anni non sempre hanno mostrato quella necessaria disponibilità e lungimiranza. Io sono convinto che una concertazione matura possa ancora oggi aiutare a risolvere molti dei gravi problemi che in questo momento affliggono il nostro Paese.
[*] Direttore della Fondazione Prof. Massimo D’Antona (Onlus)
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