Effemeridi • Pillole di satira e costume
Nessuno poteva immaginare fino a qualche anno fa che ci saremmo trovati in una situazione così difficile. Nell’arco di un biennio ci è cascato addosso di tutto dalla pandemia alla guerra in Europa, eventi che hanno reso a una buona fetta d'italiani la vita sempre più difficile. Non che prima fossimo al massimo della goduria. La gioia di vivere, infatti, che tutto il mondo ci riconosceva e ci invidiava fino a qualche decennio fa, non ci apparteneva già più, sostituita da un senso di malessere e di tristezza che ci ha reso irriconoscibili rispetto al recente passato. A tali stati d’animo si è aggiunta negli ultimi tempi la nostalgia che è un sentimento proprio di chi ha paura di guardare al futuro e si rifugia nel passato.
E chi scrive, non fa eccezione non tanto per l’età che è diventata un fardello gravoso, ma per la trasformazione in peggio che le due calamità hanno determinato nella gestione delle nostre abitudini e del nostro stile di vita oltre al disastro nel settore produttivo e in particolare in quello dei pubblici esercizi dove c’è stata una falcidia di aziende. Quando giro per la città, i segni delle chiusure sono diffusi e tangibili. Il colpo più duro, tuttavia, l’ho ricevuto qualche giorno fa quando stavo confidando a un amico l’intenzione di andare per qualche giorno di riposo nel periodo estivo in uno dei posti che ritengo tra i più belli della penisola: il Cilento. Gli avevo aggiunto, essendo egli del luogo, che mi sarei fermato una sera nel capoluogo per passare un poco di tempo in una trattoria assai frequentata del centro storico, la trattoria del Vicolo della Neve. Ci sono stato diverse volte sempre in piacevole compagnia. La sua diversità e attrazione la potevi intuire già nella fase di avvicinamento perché fuori del locale c’era sempre una fila non indifferente in attesa.
Era un disagio che, salvo gli sbuffi della prima volta, si affrontava volentieri per quel che si riceveva in cambio. E quando arrivava il tuo turno e solcavi la porta d’accesso, entravi in un’altra dimensione. Avevi l’impressione di essere tornato nell’Italia contadina, agli usi e alle tradizioni di un tempo pressoché immutabile fino alla conclusione della decade degli anni cinquanta. In un camerone male illuminato, pieno di tavoli inframezzati da lunghe tavolate, le cui superfici erano coperte da tovaglie di carta, un'umanità vociante era seduta intorno a essi su semplici panche di legno.
Mangiavano, bevevano con i bicchieri di un vetro spesso di una volta, parlando senza ritegno; un chiacchiericcio spesso intramezzato da sonanti risate. Non era quello un ambiente per chi cercava un minimo d’intimità e pertanto il nostro desiderio era di trovare i posti in una delle tavolate che quasi sempre erano distanti l’uno dall’altro; ma questo non rappresentava un problema perché l’integrazione con gli altri era piacevole e immediata. A volte il nostro infantile divertimento era di cercare di scalare, come in una partita a scacchi, per ritrovarci di nuovo vicini o accanto e con un poco di pazienza ci si riusciva.
E poi il cibo era quello genuino che un tempo si mangiava nelle case contadine, la pasta e fagioli, la peperonata, il baccalà con le patate, i peperoni ripieni, tanto per fare degli esempi. Tanti delle generazioni più recenti andavano in quel locale soprattutto per la bontà delle portate, ma per quelli come me che hanno vissuto la loro infanzia in anni lontani, non erano solo le leccornie che attraevano. Esse erano parte di un insieme di elementi che facevano rivivere un tempo lontano e dimenticato.
Ebbene il mio amico ha dato un colpo mortale al mio progetto informandomi che il gioiello da me decantato non c’è più. Questo “monumento” dedicato al passato non ha retto agli eventi drammatici che hanno colpito il nostro paese. Così siamo stati privati, oltre a tante altre cos di una parte delle piccole gioie della vita. Ecco perché, al momento, non possiamo far altro che affidarci alla nostalgia di ciò che amavamo e ora non c’è più.
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