Dal 2003, ogni 28 aprile, si celebra la giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro. È stata fortemente voluta dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) per sensibilizzare sia le istituzioni che i cittadini alle problematiche relative alla salute e alla sicurezza nei posti di lavoro.
Ciò indica che il tema è molto sentito in tutto il mondo.
In Italia, dal 2008, è in vigore il Testo Unico sulla Salute e sulla Sicurezza sul Lavoro, ovvero il D. Lgs. 81/08 che rappresenta, in ordine di tempo, l’ultima importante evoluzione della normativa. Però, da allora ad oggi, vi è stato un incremento dei morti sui posti di lavoro pari al 9%, segno che qualcosa non funziona nel testo normativo.
Con onestà va detto che tanto si è fatto dal dopoguerra ad oggi, ma non è abbastanza. Oltre sessanta anni fa i morti erano circa undici al giorno, oggi poco più di tre. Ma sono dati non accettabili per uno Stato moderno e avanzato come l’Italia. La mattina non si può uscire da casa e poi non rientrare più la sera perché vittima d’infortunio sul lavoro.
Eppure, il Testo ha un’impostazione di ampio respiro, che indirizza alla prevenzione, grazie alla partecipazione di tante figure. Inoltre, in tutti questi anni i correttivi alla norma sono stati apportati e lo Stato ha speso molti soldi per la sicurezza. Ma l’effetto finale è quello di produrre solo tanti documenti che rimangono agli atti e gli incidenti sono sotto gli occhi di tutti.
Da evidenziare che i dati periodicamente pubblicati dall’INAIL non comprendono tutte le denunce di infortuni e morti in Italia, in quanto diverse categorie di lavoratori non sono censite dall’Istituto: i liberi professionisti, gli autonomi, i lavoratori delle forze armate, carabinieri, poliziotti, vigli del fuoco e protezione civile, oltre ai lavoratori a nero.
Tutti questi infortuni hanno in comune l’età delle vittime: o sono molto giovani o, al contrario, sono grandi di età. I primi muoiono perché inesperti, i secondi perché hanno un eccesso di sicurezza (“non è mai successo niente”, o perché “ma tanto cosa deve succedere?? Io ho fatto sempre così”).
La lettura dei dati evidenzia che in agricoltura si muore essenzialmente per schiacciamento dovuto al ribaltamento del trattore; in edilizia soprattutto per le cadute dall’alto, l’elettrocuzione o il seppellimento; nell’autotrasporto per incidenti stradali. I dati che riguardano le aziende sono articolati: in quelle strutturate, di medie e grandi dimensioni, il numero degli infortuni è molto contenuto, mentre i numeri diventano alti se ci si riferisce alle ditte subappaltatrici, spesso micro-imprese molte delle quali a conduzione familiare dedite, il più delle volte, alla manutenzione degli impianti di aziende più grandi.
Va detto che quando ci sono incidenti sui posti di lavoro non è un problema di fatalità ma di mancato rispetto delle norme vigenti. Spesso si punta il dito contro le logiche del profitto degli imprenditori, ma non è proprio così, è un’accusa che ha poco riscontro nella realtà. L’analisi dei fatti e delle strutture aziendali evidenzia che le cause non sono quelle. Come detto il problema non è delle aziende medio-grandi, che sono strutturate, ma delle restanti, quelle piccole. Nella categoria delle aziende ovviamente vanno incluse anche le imprese edili. La struttura aziendale delle piccole imprese edili coinvolte in incidenti presentano amministratori più preparati sugli argomenti delle lavorazioni edili che sul come fare impresa o essere imprenditori.
È vero anche che si deve inculcare la filosofia del lavorare in sicurezza. Ciò è vero, nella misura in cui si capisce come avviene la formazione dei lavoratori, così come vedremo più avanti.
Allora la domanda che ci poniamo è la seguente: come possiamo fermare questa strage continua?
La risposta deve tener conto di tanti fattori, che devono essere esaminati.
In primo luogo, la dimensione di moltissime imprese edili, spesso piccole imprese con uno o due dipendenti presenti sul cantiere. Le imprese, oltre a realizzare i lavori commissionati devono parallelamente portare avanti quello a carattere “amministrativo”, per rispettare incombenze, scadenze e tanti aspetti di carattere prettamente burocratico che comportano alti costi di gestione. A tutto ciò si aggiunge l’impossibilità di riscuotere i crediti in un tempo accettabile. Quest’ultimo punto è un vero dramma per chi lavora in proprio: le attuali leggi italiane impediscono la riscossione dei crediti in tempi brevi.
Il secondo punto riguarda la formazione che, in Italia, da sempre è in affiancamento. Questo avviene per tutte le categorie professionali e lavorative. In un cantiere, un giovane apprendista impara sempre da un “vecchio” capomastro che, a sua volta, da sempre lavora in un certo modo, avendo a suo tempo imparato da altri. E il più delle volte nulla ha fatto per aggiornarsi. Quindi la probabilità che l’apprendista impari non solo a lavorare male, ma anche a vivere la vita di cantiere in una certa maniera, è elevata. Tanto per capirci, oggi sono ancora tanti i capomastri che non leggono le specifiche dei prodotti da impiegare, le indicazioni da seguire, le schede informative sui rischi e sui pericoli nell’uso di particolari attrezzature. E tantomeno vengono informati dai titolari delle imprese su come procedere (“ingegnere, sanno come fare”). A riprova di ciò e degli infortuni si ha che nei Tribunali sono tante le cause pendenti per lavori edili mal eseguiti perché il capomastro ha fatto svolgere lavorazioni fornendo errate informazioni su come svolgerle e sono insorti problemi e contenziosi.
E questo spiega il punto dolente della formazione. Sono tantissime le piccole imprese edili che vivono la formazione, specie quella della sicurezza, come un fastidio, come un costo obbligatorio da sopportare e non come un modus vivendi per prevenire incidenti anche mortali sui cantieri.
I corsi hanno dei costi, specie quelli seri, e c’è sempre il furbo che cerca la scorciatoia per procurarsi il “pezzo di carta” che attesti l’avvenuta formazione. E qualche volta viene da pensare che il furbo ci sia stato.
Poi ci sono i tecnici, quelli che progettano la sicurezza. Spesso s’illudono che con i software in commercio, si possa progettare velocemente un buon piano di sicurezza. In realtà i software sono utili per le banche dati che collegano i rischi ai DPI da impiegare e alle norme da seguire a seconda della lavorazione da svolgere. Diciamo che fanno risparmiare un bel po' di ore di lavoro di ricerca. Ma un piano di sicurezza non è un documento che contiene solo informazioni tipo Legge → DPI → azione di prevenzione: la sicurezza va progettata caso per caso e ciò richiede del tempo a cui spesso non fa seguito il riconoscimento di un compenso adeguato. Capita sempre più frequentemente che per acquisire commesse i tecnici facciano gare al ribasso sulle prestazioni professionali e sugli onorari, il che conduce poi a minimizzare la qualità del servizio offerto.
L’attuale mercato libero, ovvero l’assenza dei minimi tariffari per i tecnici ha aumentato i problemi.
Fermare questo circolo vizioso non è semplice, ma si può partire dalla politica dei piccoli passi, che però sono fortemente impattanti.
Il primo riguarda i corsi di formazione previsti dal D. Lgs 81/08. I discenti dovrebbero essere esaminati anche da Ispettori del Lavoro e non solo dai docenti dei corsi stessi: lo Stato è super partes ed ha interesse nell’avere lavoratori seriamente formati nel campo della sicurezza. All’esame dei discenti deve seguire il controllo delle società di formazione: quelle che non garantiscono una determinata percentuale di propri promossi agli esami, dovranno essere sottoposte ad una verifica sui corsi e sulla qualità dei docenti.
Lo Stato, quindi, deve trasformare il proprio apparato da produttore di burocrazia, carte e sanzioni in un controllore intelligente, che partecipa alla formazione dei lavoratori, con la verifica finale degli stessi.
Questo è facilmente applicabile con una piccola modifica al Testo sulla sicurezza. L’ultima modifica sulla norma ha introdotto anche un incremento di sanzioni, come se ciò possa fermare gli incidenti. La sicurezza non migliora se si aumentano le sanzioni!
Il passo successivo riguarda più azioni ma lunghe nei tempi di attuazione. Il tema della sburocratizzazione è attualmente molto sentito e dovrebbe essere oggetto di introduzioni di leggi ad hoc. Ciò aiuterebbe molto le imprese.
L’altra riforma riguarda il processo civile e lo snellimento delle procedure che riguardano il recupero dei crediti, vero dramma tutto italiano.
Infine, il ripristino dei minimi tariffari per i tecnici che limiterebbe gli improvvisatori in questo campo.
Quelle sopra esposte sono semplici modifiche ma che, una volta introdotte, a parere dello scrivente cambieranno l’approccio alla sicurezza, inculcando una nuova mentalità sul tema.
[*] Ingegnere, Ispettore del lavoro in servizio presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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