Il binomio occupazione e patrimonio è centrale nell’attuale scenario economico per una serie di motivazioni e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è tra questi. Basti pensare che nello stesso sono quattro le aree di azione[1] le quali si pongono in una governance multilivello in cui sono coinvolti attori pubblici e privati ma anche cittadini e comunità, in un approccio integrato e partecipativo.
Secondo l’ISTAT nel Rapporto annuale BES, “Benessere Equo e Sostenibile” 2022 (9a edizione), in Italia nel 2021 per effetto del Covid-19 si è assistito ad un vero e proprio crollo sia della partecipazione culturale sia dell’occupazione nel settore. È di tutta evidenza che la contrazione delle attività culturali anche nel 2021 ha impattato su un sistema economico già fragile. Rispetto alla partecipazione culturale nel Rapporto BES 2022 si evidenzia la riduzione dal 35,1% del 2019 all’8,3% del 2021 e il dato più allarmante è rappresentato dalla riduzione della partecipazione dei giovani, con una curva sempre più appiattita, e delle donne.
Ne discende, pertanto, la necessità di un approfondimento su quale sia il rapporto tra patrimonio e cultura in ottica di “occupabilità”[2] per le giovani generazioni, e su qual è il ruolo delle Università nella formazione di profili professionali per affrontare anche la sfida della digitalizzazione. Per il Report “Future of Jobs 2020” del World Economic Forum entro il 2025 assisteremo ad una perdita di 85 milioni di posti di lavoro, cui seguirà la creazione di 97 milioni di posti in settori del digitale.
Il tutto nello scenario dei mercati transizionali del lavoro[3] che vedono un cambiamento del paradigma del mercato del lavoro nel passaggio dalla teoria delle capabilities a quella dei transitional labour markets.
Nello scenario europeo gli ultimi dati EUROSTAT del 2020 rilevano che in Europa vi sono 7,2 milioni di occupati in ambito culturale. La flessione del numero degli occupati è pari al «2,6 % rispetto al 2019, in Italia 791mila (-5,2%), di cui il 42,8% donne, una percentuale leggermente più alta dell’occupazione femminile nell’intera economia (42%), ma inferiore alla media europea (48,1%). Degli occupati solo il 10,2% ha un’età compresa tra 15 e 29 anni, una media più bassa di quella europea pari al 16,4% e di paesi come la Germania dove i giovani occupati sono il 19,3%, o la Francia con il 17,8%»[4]. Sul fronte imprese creative e culturali, sempre alla luce dei dati di fonte Eurostat, emerge che nello specifico settore nel conteso dell’Unione Europea sono occupate a 8,7 milioni di persone pari al 3,8% della forza lavoro totale della stessa Unione e a 1,2 milioni di imprese[5].
Tutti i dati nel complesso sono da leggersi alla luce di un ulteriore aspetto che incide in maniera significativa sulle statistiche e attiene sia alle condizioni di lavoro – spesso i lavoratori sono impiegati in percorsi di mobilità transfrontaliera – sia alle tipologia di inquadramento contrattuale.
Vi è una vera e propria sottovalutazione dell’occupazione culturale che il più delle volte non è presente nelle statistiche ufficiali degli Stati per diversi motivi. Tale aspetto emerge anche dal Rapporto OECD 2020[6], che evidenzia come sia difficile determinare la percentuale delle attività economiche e professionali prevalentemente culturali.
Le indagini sulla forza lavoro, infatti, includono solo il lavoro principale retribuito e non catturano l’occupazione secondaria o volontaria che è ampiamente presente nel settore culturale (autonomi professionisti, freelance) e nei sotto-settori dove è significativa la componente femminile e permangono contratti atipici[7].
Nelle imprese culturali e creative oltre alla predominanza del lavoro informale e del volontariato vi sono anche molta autopromozione e networking[8]. A questo si aggiunge il lavoro tramite piattaforme digitali che ha un impatto anche nel settore culturale.
Sul fronte europeo il Parlamento ha approvato la Risoluzione del 20 ottobre 2021 sulla situazione degli artisti e la ripresa culturale nell’Unione europea (2020/2261(INI)) con cui da un lato esorta gli Stati adottare misure specifiche per le diverse categorie di professioni creative, per far fronte all’instabilità del reddito e garantirne un livello minimo, dall’altro guarda con favore alla consultazione pubblica della Commissione Europea sulla contrattazione collettiva per i lavoratori autonomi, per pervenire ad una rimozione degli ostacoli anche in materia di concorrenza.
Rispetto alla presenza femminile nel settore i dati ci restituiscono un quadro poco incoraggiante se consideriamo che a fronte di una elevata componente femminile permangono ostacoli sia nell’accesso al mercato del lavoro sia nella permanenza sia nel superamento del soffitto di cristallo.
Il settore culturale, dai dati europei del rapporto “Towards gender equality in the cultural and creative sectors” [9], impiega una componente femminile pari al 47,7% a fronte del 45,9% dell’economia totale. Un primo dato “indice” attiene al passaggio dalla fase formativa a quella dell’inserimento; se infatti il 65% degli iscritti a corsi di laurea in materie umanistiche sono donne tale percentuale cala nella fase di ingresso nel mondo del lavoro per annullarsi quasi completamente nelle posizioni apicali. Similmente avviene nel settore museale dove la presenza femminile è pari al 78,1% a fronte di quella maschile del 21,9% ma il dato si ribalta se si considerano le posizioni dirigenziali e semidirigenziali nelle quali gli uomini ricoprono quasi il doppio dei ruoli rispetto alle donne. È evidente la presenza di un significativo divario retributivo di genere. Inoltre le percentuali più basse di donne occupate nel settore si registrano in tre paesi dell’Europa meridionale: Italia e Spagna con il 43 % ciascuna e Malta con il 42 %28[10].
Ne discende che è necessario interrogarsi sulle nuove sfide ed elaborare proposte. In primis occorre lavorare sulla definizione di policies per le istituzioni europee e su indicatori di sviluppo di genere mirati nell’ambito dei Culture for Development Indicators (CDIs), quali strumenti di misurazione del contributo della cultura ai processi di sviluppo[11]. Ciascun indicatore è calcolato attraverso una complessa analisi e si articola in voci riconducibili a componenti chiave; per l’indicatore quantitativo “occupazione culturale”, ad esempio, l’Unesco fornisce la formula per il calcolo in base alla metodologia adottata dall’Unesco Statistical Institute (UIS). Occorre, pertanto, costruire indicatori che abbiano presente: la condizione lavorativa e le tipologie contrattuali (tale indicatore consentirebbe di aver elementi per valutare gli effetti del modello lavorativo-occupazionale sulla carriera delle donne con il conseguente impatto negativo sulle pensioni femminili); il lavoro principale o secondario; il reddito percepito con dati disaggregati per genere; i modelli di progressione di carriera delle donne; la trasparenza degli stipendi delle donne degli uomini nelle posizioni di “alto livello”[12].
Emerge, quindi, la necessità di mettere in campo non solo azioni sistemiche per il settore e (azioni) concrete ed immediate di sostegno al reddito dei singoli lavoratori e delle imprese, anche piccole, ma soprattutto progettare interventi a livello legislativo e mettere a sistema specifiche policy tali da garantire protezione sociale, sviluppo delle carriere e percorsi di aggiornamento delle competenze dei lavoratori della cultura, del patrimonio e anche del turismo sia per garantire la formazione continua (long life learning) sia per elaborare modelli sempre più aggiornati di certificazione delle competenze.
Nell’ambito dei mercati transizionali del lavoro è strategico, oltre che fondamentale, intervenire sulle conoscenze e competenze per formare figure professionali in grado di cogliere le opportunità e le sfide di un’economia 4.0 in grado di valorizzare i giovani talenti e puntare su trasferibilità e certificazione delle competenze acquisite in contesti formali e non. Nel 2020 una ricerca della Fondazione Scuola Beni Attività Culturali ha evidenziato la difficoltà di misurare il mercato del lavoro nel settore del patrimonio culturale sia per una serie di difficoltà di fonti statistiche sia per la mancanza di un quadro unitario di riferimento tanto del capitale occupazionale quanto di quello formativo del settore.
È necessario agire a livello nazionale (tra le Istituzioni preposte) per migliorare la comprensione e la comparabilità delle differenti qualifiche fra i vari Stati membri e valutare anche la proposta di rivedere e sviluppare ulteriormente l’EQF (European Qualifications Framework) passando attraverso la cooperazione fra gli Stati membri e tutte le parti interessate.
Le sinergie con il mondo della scuola e delle Università sono fondamentali per l’attivazione di percorsi mirati per formare giovani con skills specifiche nelle materie del patrimonio, dei beni culturali e della promozione turistica. Centrale, infatti, è proprio il ruolo delle Università per progettare percorsi di studio (laurea e post laurea) che tengano presente le nuove esigenze del mercato del lavoro.
Su questo tema la Commissione I degli Stati Generali del Patrimonio[13], insediatasi presso l’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario), ha avviato anche la CRUI una mappatura dell’offerta formativa degli Atenei Italiani nelle materie dei beni culturali, dell’economia del territorio, del marketing territoriale, della storia dell’arte e del turismo.
È, pertanto, di importanza strategica avviare un processo di rinascita in grado di offrire alle nuove generazioni una rinnovata e innovativa progettualità culturale e competenze di project management mirate alla gestione dei nuovi servizi integrati per la cultura promuovendo azioni di ampio respiro per creare strategie sull’audience development e/o nuovi modelli di business culturale.
[1] Le aree di azione sono: “Patrimonio culturale per la prossima generazione”; “Rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio culturale religioso e rurale”; “Industria culturale e creativa 4.0”; “Turismo 4.0”.
[2] Sul punto I. DROGO INGLESE, R.CARAGNANO, Work and employment for the heritage: system analysis of an economic asset for an innovative welfare model, in Athens Journal of Law, 2021, 8: 1-22 https://doi.org/10.30958/ajl.X-Y-Z, e-ISSN: 2407-9685 (listed in the National Library of Greece).
[3] G. SCHMID, Il lavoro non standard. Riflessioni nell’ottica dei mercati transizionali del lavoro, in Diritto delle Relazioni Industriali, N.1/XXI – 2011.
[4] Così in M. PIRRELLI, Se la cultura è l’anima del paese, l’occupazione culturale merita un rilancio, Il Sole 24 Ore, Professioni, 6 gennaio 2022.
[5] Sul punto si legga Commissione Europa, Culture and Creativity, Dati sul settore culturale, https://culture.ec.europa.eu/it/policies/selected-themes/data-on-the-cultural-sector Pagina web aggiornata al 6 luglio 2022.
[6] OECD, Shock cultura: COVID-19 e settori culturali e creativi, 2020.
[7] Cfr. EUROPEAN EXPERT NETWORK ON CULTURE AND AUDIOVISUAL (EENCA), The status and working conditions of artists and cultural and creative professionals’, 2020.
[8] EUROPEAN EXPERT NETWORK ON CULTURE AND AUDIOVISUAL (EENCA), Gender gaps in the Cultural and Creative Sectors, 2020, 29; L. R. Shade, J. Jacobson, Hungry for the job: Gender, unpaid internships, and the creative industries, in The Sociological Review 63, 2015, 188-205.
[9] Sul punto si veda UNIONE EUROPEA,“Towards gender equality in the cultural and creative sectors”. Report of the OMC (open method of coordination) working group of Member States’ experts, 2021, e i grafici che riportano i dati Eurostat sull’occupazione culturale nell’UE- 27 al 2019, link https://ec.europa.eu/eurostat/data/database) sulla percentuale di occupazione nel settore culturale, per sesso, nell’Unione Europa.
[10] Così nel citato Rapporto “Towards gender equality in the cultural and creative sectors”. Report of the OMC (open method of coordination) working group of Member States’ experts, di cui alla nota che precede.
[11] Cfr. UNESCO, Rapporto “Culture 2030 Indicators” (CI), 2019.
[12] Sul punto si veda l’intervento di R. CARAGNANO al Convegno Annuale di Associazione Donne e Scienza 2022, Donne, Ricerca, Trasformazioni. Relatrice con intervento programmato su Patrimonio culturale e gap di genere: analisi di settore, proposte e implementazione di indicatori di sviluppo (di genere), Modena 21 gennaio 2022.
[13] Gli Stati Generali del Patrimonio Italiano si sono insediati il 21 maggio 2021 con la prima convocazione presso il CNEL. Sono una Consulta permanente e plenaria (e itinerante), strutturata come un “Parlamentino” composto di 150 “seggi” assegnati ai rappresentanti delle più autorevoli e importanti organizzazioni italiane, private e pubbliche, operanti nel settore (www.statigeneralipatrimonio.it).
[*] Prof.ssa Diritto delle politiche sociali e del lavoro, Università LUMSA
[**]Presidente degli Stati Generali del Patrimonio Italiano e di Assocastelli
Seguiteci su Facebook
>