La discussione in corso sul salario minimo ha un pregio: quello di avere riportato il fattore lavoro nel dibattito pubblico dopo anni in cui verso il lavoro ha prevalso un atteggiamento di complessiva disattenzione. E proprio nel Paese, il nostro, in cui la Carta costituzionale pone il lavoro in tutte le sue forme a base dello Stato e dove viene attribuita rilevanza costituzionale al principio della giusta retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Non solo, ma dove la stessa Carta costituzionale, all'articolo 39, affida esplicitamente ai sindacati la possibilità di stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce.
Il dibattito, nella sua ampiezza, indica i molti fattori che hanno reso strutturalmente inadeguati i nostri salari che non riescono a tenere dietro alla dinamica dei prezzi. Si va dal cuneo fiscale ai contratti collettivi paralleli o pirata, dalla bassa produttività alla debolezza del nostro mercato del lavoro.
Tuttavia, a fronte delle molteplici ipotesi sulle cause della strutturale inadeguatezza dei salari fa riscontro il modesto livello delle soluzioni che vengono proposte.
I contenuti delle iniziative legislative presentate, nel corso dell'attuale legislatura, alla Camera e al Senato dalle diverse forze politiche non hanno oggettivamente il pregio per l'avvio di una strutturale soluzione per l'adeguamento dei salari e delle condizioni di vita dei lavoratori.
Appaiono più che altro iniziative volte a posizionare una bandierina sul tema al fine di attrarre consensi. Percorrono tutte un medesimo schema. Un generico riferimento all'articolo 36 della Costituzione nella relazione di accompagnamento e, nel testo normativo, la previsione di una retribuzione oraria minima di nove euro e il regime sanzionatorio.
Nella sostanza un aumento una tantum della tariffa oraria del lavoratore senza alcun riferimento al complesso degli istituti contrattuali che incidono sul trattamento economico complessivo dei lavoratori come orario di lavoro, straordinari, ferie, infortuni, malattie, maternità, TFR.
In altri termini una fuga dalle ragioni concrete dei bassi salari. E una fuga anche dalla consolidata storia di relazioni industriali come quella italiana e soprattutto dal nostro sistema giuridico, ad iniziare dall'articolo 36 Cost. che, pur in mancanza dell'attuazione dell'articolo 39 Cost., ha svolto un ruolo di sostegno alla contrattazione collettiva nella individuazione della giusta retribuzione spettante al lavoratore.
La norma dell'articolo 36 della Costituzione è infatti ritenuta dalla giurisprudenza, fin dalla storica sentenza del 21 febbraio 1952 n. 461, immediatamente precettiva e come tale direttamente invocabile in giudizio, in combinazione con l'articolo 2099 Codice civile. La giurisprudenza ha utilizzato come parametro di riferimento della giusta retribuzione le tariffe salariali dedotte dai contratti collettivi di categoria. E quindi un qualunque lavoratore dipendente attraverso il ricorso giurisdizionale ha la possibilità di vedersi riconosciuto il diritto alla parte economica del CCNL di categoria.
E comunque nel sottolineare come, nella sostanza, un lavoratore ha la possibilità di ottenere il riconoscimento del salario minimo, la via giudiziaria non può essere considerata una soluzione strutturale per pervenire in via generale al salario minimo.
La soluzione strutturale occorre ricercarla nel nostro ordinamento e in particolare nella Carta costituzionale nella parte che espressamente prevede uno speciale procedimento per conferire validità generale ai contratti collettivi.
L'efficacia erga omnes dei contratti collettivi consente in via primaria di superare il fenomeno di quelli al ribasso sottoscritti da sindacati minoritari e associazioni imprenditoriali poco rappresentativi delle parti sociali con l'obiettivo di costituire una alternativa ai contratti collettivi nazionali siglati dai sindacati confederali, che penalizza i lavoratori.
All’esigenza di fissare in via generale i minimi di trattamento economico e normativo si è fatto fronte in altro contesto storico, permanendo l'inattuazione dell'articolo 39 della Costituzione, con la legge di delega, n. 741 del 14 luglio 1959, con la quale venne transitoriamente attribuito al Governo, in attesa dell'attuazione dell'articolo 39, il potere di emanare decreti legislativi aventi come contenuto la determinazione di condizioni minime di trattamento economico e normativo per ciascun settore produttivo. Nello stesso tempo il Governo fu vincolato, nella emanazione di tali decreti, ad uniformarsi alle clausole dei contratti collettivi di categoria esistenti. In tal modo il contratto acquisiva efficacia di legge. La delega prevedeva la durata di un anno.
La legge di delega n. 741 superò il vaglio della Corte Costituzionale nonostante abbia inteso conferire efficacia generale ai contratti collettivi con forme e procedimenti diversi da quelli previsti dall'articolo 39 in ragione della transitorietà e in attesa dell'attuazione dello stesso art.39.
Ma, per le stesse ragioni per le quali aveva dichiarato la legittimità costituzionale della legge n. 741, la Corte dichiarò l'incostituzionalità della successiva legge di proroga proprio perché veniva meno la transitorietà.
Esauriti gli effetti della esperienza della legge n. 741, l'attuale congiuntura, caratterizzata da frammentazione sindacale, bassi salari, vasta area di lavoro precario e l'irruzione di nuovi modelli organizzativi, ripropone l'esigenza di una legislazione di sostegno alla contrattazione collettiva volta a conferire validità generale ai contratti collettivi nazionali che sono lo strumento fondamentale per tutelare le condizioni minime di trattamento economico e normativo per tutti i lavoratori.
Appare ora ineludibile ricondurre la riflessione alla soluzione adottata dai Costituenti che nell'articolo 36 Cost. hanno escluso un salario minimo per legge, affidando tale compito all'autonomia collettiva nella considerazione che i contratti collettivi con efficacia erga omnes previsti dall'articolo 39 avrebbero dovuto provvedere a fissare in via generale i minimi di trattamento retributivo per tutte le categorie attraverso la connessione con lo stesso articolo 36.
Occorre riprendere la via maestra tracciata dalla nostra Costituzione repubblicana e ripartire dal lavoro parlamentare svolto dalla Commissione lavoro della Camera dei deputati nel corso della XIII legislatura che nella seduta del 10 dicembre 1998 pervenne a licenziare per l'Assemblea un testo unificato delle proposte di legge presentate da diverse forze politiche sul tema della rappresentanza e rappresentatività sindacale e dell'efficacia dei contratti collettivi di lavoro.
Il testo licenziato dalla Commissione Lavoro detta disposizioni in materia di costituzione di rappresentanze sindacali unitarie nei luoghi di lavoro, rappresentatività e diritti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro e modalità di adesione alle stesse, nonché in materia di efficacia dei contratti collettivi di lavoro. Nel solco, peraltro della legge n. 59 del 1997 che ha provveduto a risolvere il problema per i lavoratori del settore pubblico.
Il testo unificato cui dette il suo generoso contributo il sottosegretario al Ministero del lavoro Antonio Pizzinato, incaricato di seguire il provvedimento per il Governo, è il risultato anche del positivo e continuo confronto con le rappresentanze e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
È quindi il tempo di riprendere quel testo, e l'auspicio è che se ne incarichi il nuovo parlamento, e di portare a conclusione il percorso parlamentare con un atto normativo idoneo a corrispondere alla diffusa esigenza di conferire forza di legge ai contratti collettivi nazionali e che possa consentire di riprendere il dialogo con tutta quell'area di nuovi lavori, o lavoretti, che nella nuova società ha difficoltà a trovare luoghi di aggregazione in cui rappresentare il diffuso disagio.
Una sollecitazione in tal senso è in arrivo anche dall'Unione Europea che in un progetto di direttiva approvato il 7 giugno 2022 chiede agli Stati membri di istituire un quadro procedurale per fissare e aggiornare i salari minimi.
Nel nostro Paese quel quadro procedurale è già previsto in Costituzione. È quindi sufficiente dare attuazione all'articolo 39 Cost. ripartendo da quel testo unificato elaborato dalla Camera dei Deputati che, così come chiede la U.E., favorisce la promozione della contrattazione collettiva e la partecipazione delle parti sociali alla definizione dei salari, assicura l'adeguatezza dei salari minimi e il loro progressivo aggiornamento, amplia l'area dell'applicabilità del salario minimo ad una più ampia platea di lavoratori.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
ART. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
ART. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
ART. 39. L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
LEGGE 14 luglio 1959, n. 741 (in Gazzetta Ufficiale 18 settembre 1959, n. 225).
Norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori. La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
Il Presidente della Repubblica: Promulga la seguente legge:
Art. 1. Il Governo è delegato ad emanare norme giuridiche, aventi forza di legge, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria. Nella emanazione delle norme il Governo dovrà uniformarsi a tutte le clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi, anche intercategoriali, stipulati dalle associazioni sindacali anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 2. Le norme di cui all’art. 1 dovranno essere emanate per tutte le categorie per le quali risultino stipulati accordi economici e contratti collettivi riguardanti una o più categorie per la disciplina dei rapporti di lavoro, dei rapporti di associazione agraria, di affitto a coltivatore diretto e dei rapporti di collaborazione che si concretino in prestazione d’opera continuativa e coordinata.
Art. 3. Gli accordi economici ed i contratti collettivi, ai quali il Governo deve uniformarsi nella emanazione delle norme predette, sono quelli preventivamente depositati, a cura di una delle associazioni stipulanti, presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale che ne accerta l’autenticità. L’accordo o il contratto depositati debbono essere pubblicati in apposito bollettino. Le norme previste dall’art. 1 non possono essere emanate prima che sia trascorso un mese da tale pubblicazione.
Art. 4. Si considerano associazioni stipulanti quelle che hanno sottoscritto gli accordi ed i contratti collettivi o che abbiano ad essi aderito. Nell’emanare le norme di cui all’art. 1 della presente legge il Governo dovrà uniformarsi anche ai contratti integrativi provinciali, cui abbiano fatto rinvio contratti collettivi nazionali od a quei contratti collettivi stipulati in sede provinciale da associazioni affiliate ad associazioni aventi carattere nazionale che non prevedano, nel caso di esistenza di norme nazionali, condizioni inferiori per i lavoratori.
Art. 5. Le norme di cui all’art. 1 della presente legge non potranno essere in contrasto con norme imperative di legge.
Art. 6. Le norme di cui all’art. 1 della presente legge saranno emanate con decreto legislativo, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge o nel minor termine in caso di entrata in vigore della legge applicativa dell’art. 39 della Costituzione.
Art. 7. I trattamenti economici e normativi minimi, contenuti nelle leggi delegate, si sostituiscono di diritto a quelli in atto, salvo le condizioni, anche di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori. Essi conservano piena efficacia anche dopo la scadenza o il rinnovo dell’accordo o contratto collettivo cui il Governo si è uniformato sino a quando non intervengano successive modifiche di legge o di accordi e contratti collettivi aventi efficacia verso tutti gli appartenenti alla categoria. Alle norme che stabiliscono il trattamento di cui sopra si può derogare, sia con accordi o contratti collettivi che con contratti individuali, soltanto a favore dei lavoratori.
Art. 8. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi derivanti dalle norme di cui all’art. 1 della presente legge è punito con una ammenda da lire 5000 a lire 100.000 per ogni lavoratore cui si riferisce la violazione.
Art. 9. La vigilanza per l’applicazione della presente legge è affidata al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che la esercita a mezzo dell’Ispettorato del lavoro, ed al Ministero della marina mercantile per il settore di propria competenza, salvi i poteri di vigilanza spettanti agli altri Ministeri.
[*] Ex ispettore del lavoro, funzionario dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, del Dipartimento della Funzione pubblica, dirigente del settore legislativo della Regione Campania e successivamente responsabile delle Relazioni sindacali del Comune di Roma. Attualmente svolge attività di consulente del lavoro.
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