Il mondo del lavoro nel Terzo Millennio si dibatte nei meandri di temi che riverberano le problematiche delle giovani generazioni che vi si affacciano.
I giovani, senza distinzione di sesso, vengono di volta in volta – a seconda anche del dibattito politico – etichettati nei modi più variegati: da bamboccioni a fannulloni, da erranti in cerca di una identità di genere a trasgressivi totali.
E in effetti, i giovani GenZ rivendicano di essere ciò che sono, tirandosi fuori da schemi e stereotipi, invocando la GENDERLESS, la GENDER FLUID, la GENDER NEUTRAL, NON-BINARY perdendo di vista, però, la vera essenza delle cose: la ricerca di un lavoro con la dovuta “serietà”.
Altro tema scottante è la parità di genere negli ambienti di lavoro, laddove esistono ancora discriminazioni ai danni del genere femminile, al quale tutti riconoscono maggiori difficoltà di carriera e finanche il riconoscimento di diritti pure statuiti da leggi e contratti.
Però, poi, si incontrano Donne in posti di potere dotate di capacità VERE e unanimemente riconosciute.
Dove sta allora la verità?
Oggi scopriamo Alessandra SCAPIN, giovanissima manager di formazione Università Bocconi, Direzione Marketing & Comunicazione della IMG SpA (Industria Meccanica Girardello SpA), azienda trevigiana leader nel campo metalmeccanico, produttrice di perni e boccole in acciaio per l‘industria, da cui vorremmo conoscere la sua opinione su temi attuali, ma con domande “non propriamente omologate”.
Dottoressa SCAPIN, quando si sente parlare di una donna manager con un padre imprenditore, si è portati a pensare maliziosamente che la strada sia in discesa e che Lei lavori per l’azienda di famiglia. Invece, quali scelte ha fatto?
È vero. Forse la mia storia è un po’ controcorrente e sicuramente il mio percorso poco in discesa e molto in salita. Ma Andiamo per ordine.
Come diceva lei, provengo da una famiglia imprenditoriale: mio padre è titolare di un’azienda che si occupa della lavorazione del marmo; azienda storica (SCAPIN Pietro)
e molto conosciuta nella provincia di Padova e nel Veneto.
Io ho iniziato il mio percorso di studi, non pensando all’opportunità di poter entrare un giorno nell’azienda di famiglia: ho semplicemente seguito la mia strada e le mie passioni. Credo infatti che la famiglia non debba mai essere un vincolo per le scelte che facciamo, altrimenti corriamo il rischio di scelte condizionate e non libere; e questo non porta a dare il meglio di noi stessi.
Dopo il diploma al Liceo linguistico, ho capito che la mia passione erano l’economia e il management e così mi sono iscritta alla Bocconi – triennale in Economia e management –; successivamente ho conseguito la specialistica in Marketing management .
E ho da subito intuito che quella era la mia strada: lavorare nel marketing per aziende internazionali di medie/grandi dimensioni.
Dopo aver ultimato il percorso di studi, non ho avuto in realtà molto tempo per pensare se entrare o meno nell’azienda di famiglia perché sono arrivate diverse opportunità da aziende importanti e ho colto la palla al balzo.
Da lì è iniziata la mia crescita, che continua senza fermarsi. Ho scelto di uscire dalla realtà aziendale di famiglia per inseguire la mia propensione Internazionalistica: volevo crescere in un grande gruppo di respiro mondiale. Ed è quello che sto facendo, giorno dopo giorno.
Solo il 3% delle donne è ai vertici delle aziende. Ma non mi piace il vittimismo. Ho sempre avuto un motto: “non permettere a pregiudizi e stereotipi di dirti né chi devi essere né chi devi diventare” . E mi ritengo fortunata perché, sin da bambina e grazie ai miei genitori, mi sono sentita libera di essere me stessa. E questo mi ha permesso di arrivare dove sono e di essere chi voglio essere.
Lei occupa un posto di rilievo in un’azienda metalmeccanica, sfatando un altro stereotipo, ovvero che l’essere donna poco si coniuga con le materie tecnico/scientifiche. Cosa ci può dire sull’argomento?
Effettivamente sono una minoranza le donne che lavorano nel settore della meccanica e metallurgia; ma molte sono le politiche volte ad innalzare la presenza femminile non solo nelle imprese, ma anche nel mondo dell’associazionismo. Anche nell’ottica che l’approccio femminile al cambiamento possa essere molto utile e produttivo, soprattutto in momenti di crisi come quello attuale.
Credo fermamente che un grande cambiamento debba essere fatto già in età scolare.
Lo stereotipo secondo il quale le ragazze sono meno brave nelle materie tecniche, influenza la scelta delle discipline, imponendo specializzazioni basate su stereotipi di genere: cioè discipline a dominanza maschile (come le Stem) per i ragazzi e femminile (come le materie umanistiche) per le ragazze.
In questo modo lo stereotipo secondo cui le ragazze non sono brave come i ragazzi nelle Stem dà luogo ad autoconvincimenti, con la conseguenza che le ragazze perdono fiducia nelle loro abilità scientifiche, ma non nelle discipline in cui ci si aspetta che facciano meglio. Gli stereotipi sono anche rafforzati dalla competizione che caratterizza i test matematici nonché dai vincoli stringenti di tempo nei quali tipicamente essi si svolgono: le donne, infatti, tendono ad evitare contesti troppo competitivi e con elevata pressione; ragion per cui in tali ambiti offrono prestazioni peggiori, a parità di capacità, conoscenze e abilità. Rimuovere gli stereotipi e promuovere la presenza delle donne nelle scienze è un imperativo categorico perché il role model è una componente fondamentale nel cammino verso la parità di genere.
Credo che per ottenere un vero gender balance, basato non più su incentivi utili bensì transitori, quanto su un pieno riconoscimento del merito e del valore di una donna, occorre partire dalla formazione. Alle ragazze va spiegato che non ci sono limiti alle loro capacità e alla loro libertà di scelta; che le materie STEM e quelle letterarie sono ugualmente accessibili a tutte. Bisogna creare nelle Scuole e nelle Università percorsi educativi che insegnino alle ragazze – ma anche ai ragazzi – che la parità di genere è un vero e proprio diritto.
La provocazione era d’obbligo, per rompere il ghiaccio. Ma Lei pensa che, indipendentemente dalle effettive capacità, bisogna forzatamente propendere ad una “parità di genere”?
Partiamo da una considerazione di base “se non c'è uguaglianza di genere non cresce il mondo”.
In base alle più valide proiezioni risulta che il maggiore impulso alla crescita globale nel prossimo futuro verrà proprio dal lavoro femminile.
L'OCSE stima che nei prossimi sei anni il PIL mondiale potrebbe crescere di due punti e mezzo se dimezzassimo il gap di partecipazione delle donne all'economia. E allora mi chiedo: cosa stiamo aspettando? Bisogna agire subito.
Riferendomi all’ultima parte della sua domanda «… indipendentemente dalle effettive capacità, bisogna forzatamente propendere ad una “parità di genere”» io credo che il merito conti sempre, anche quando si parla di pari opportunità. Per questo è necessario rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di avere le stesse opportunità di accesso a posizioni influenti in occasione di scelte che dovrebbero sempre essere di carattere meritocratico. Inoltre, aggiungo che l’unico metro di valutazione per valutare una persona debba sempre essere la preparazione e non il fatto che tu sia uomo o donna.
Quindi, Lei sulle “quote rosa” pensa che ...
… penso sia un tema complesso, che richiederebbe un dibattito a sé stante.
Io credo semplicemente che se una persona vale, vale in quanto tale, sia essa uomo o donna.
Le persone vanno scelte per i loro meriti, non per il loro sesso.
In maniera molto sintetica io credo che l’introduzione delle quote rosa produca effetti negativi in relazione al merito effettivo. Infatti, spesso capita che siano in lista donne impreparate che sono state candidate non perché competenti, ma solo in quanto donne. Per contro, non è sostenibile pensare che una figura femminile competente sulla carta non riesca effettivamente ad essere presa in considerazione solo perché donna.
Se si riuscisse ad imporre la meritocrazia effettiva, non ci sarebbe bisogno di alcuna quota perché la struttura e la distribuzione dei talenti nella popolazione femminile è uguale a quella nella popolazione maschile.
Giovane e Donna. Da anni in carriera. Quanto ha dovuto sacrificare alla gioventù vissuta dai suoi coetanei, e quante e quali cose sente di aver sacrificato, da donna, per arrivare dove è arrivata? E ancora: nel fiore degli anni, si è mai ritrovata a fare un bilancio di medio termine?
Purtroppo, la combo “giovane” e “donna” è intrisa di stereotipi ancora da combattere: non è facile farsi strada in azienda se, come me, li rappresenti entrambi!
Fortunatamente, però, i dati stanno dimostrano un miglioramento della situazione: secondo il Rapporto annuale Women in Business, nel 2022 le donne detengono il 32% delle posizioni aziendali di comando, ovvero 2 punti percentuali in più rispetto al 2021. In Italia, nel 2022, le donne CEO sono passate dal 18% al 20%, mentre quelle con ruoli nel senior management dal 29% al 30%. Nonostante ciò, rispetto alle 30 economie mondiali analizzate, il nostro Paese rimane ancora nelle retrovie.
Per me essere “giovane” e “donna” non è un ostacolo, ma un trampolino per saltare più in alto. Nella vita ci saranno sempre sassi sul nostro cammino; dipende da noi se farne muri od opportunità: per me essere donna è l’opportunità migliore che la vita potesse darmi.
Sicuramente dietro ai miei traguardi c’è duro lavoro, perseveranza, apprendimento, studio, sacrificio e amore per quello che stai facendo. Come dice Robert Collier: «Il successo è la somma di piccoli sforzi, ripetuti giorno dopo giorno».
Solitamente non amo fare bilanci; sono una persona che si concentra di più sul futuro, sulle opportunità, sul creare qualcosa di nuovo. Non bisogna guardare troppo al passato, altrimenti si perde il futuro che è ricco di nuove possibilità ogni giorno.
Dalla Sua esperienza professionale, qualificata e proiettata nel futuro, cosa ritiene di consigliare – da Donna – ai giovani della GenZ rispetto agli ostacoli, stereotipi e pregiudizi ancora da superare nel mondo lavorativo, alle opportunità da cogliere e alla proiezione in un mondo paritario, che eviti di doversi scontrare con mentalità meno aperte?
Genderless, gender fluid, gender neutral, non-binary... i giovani GenZ rivendicano la libertà di essere ciò che sono, sradicando gli stereotipi di genere, e scegliendo di vivere liberamente al di fuori di preconcetti binari.
Credo che le aziende che vorranno essere competitive e attrattive per i giovani d’oggi dovranno applicare politiche di diversity management, rendendo l’inclusività un elemento di valore per l’impresa.
Costruire un ambiente di lavoro equo significa abbandonare stereotipi e atteggiamenti culturali nonché valutare ogni dipendente per capacità e competenze. Perché “gender equality” vuol dire apprezzare e valorizzare professionalmente tutto il capitale umano, considerando le differenze tra donne e uomini una risorsa e ricchezza professionale, oltre che individuale.
Leadership significa inclusività e apertura, non dominio e potere. Le aziende del futuro devono partire da qui.
Da manager, in un’Italia con le problematiche lavorative che si acuiscono sempre di più, Lei sogna…
… un futuro di salute economica dipende dal rafforzamento delle imprese, dalla loro crescita, da uno sviluppo sostenibile.
Più collaborazione; non solo all’interno di un team, ma anche tra i diversi dipartimenti; più autonomia dei dipendenti, che assisteranno a un venir meno della struttura gerarchica all’interno dell’organizzazione. Sono questi i trend che porteranno le aziende del futuro al successo.
Le aziende eccellenti, capaci di rendere possibile un ‘sogno organizzativo’, esistono. Sono le persone a fare la differenza: noi manager per primi.
Manager “da sogno”
sono coloro che fondano la propria attività sulla condivisione: di un’idea, di un progetto, di una sfida. Quelli che sanno spingersi oltre l’ordinario, verso l’ignoto, lo sconosciuto, il diverso. Sono quelli che non si lasciano fermare dalla paura, ma navigano verso la meta come “capitani coraggiosi”
.
Quelli che portano le persone a visualizzare un percorso e a condividerlo affinché il sogno diventi realtà. Quelli, infine, che conducono persone normali a fare cose straordinarie.
Ecco, io sogno un’Italia così.
Alessandra – ci permetta di chiamarla confidenzialmente – noi La ringraziamo perché ci ha dato la possibilità di conoscere una Donna manager la cui volontà, proiettata nel futuro, effettivamente può servire a sfatare tanti stereotipi e perché la Sua schiettezza nelle risposte, senza la paura di dover essere simpatica o di piacere ad ogni costo, evidenzia lo spirito che anima le sue attività e la chiarezza delle idee che non lascia tali, ma che tramuta sapientemente in azioni positive.
Cose di cui il mondo del lavoro ha disperatamente bisogno.
E noi, in tutta sincerità, Le auguriamo traguardi sempre più prestigiosi ma che, soprattutto, il suo esempio possa indirizzare i giovani sulla strada del lavoro, consci dei sacrifici e delle difficoltà da affrontare, ma con la certezza che la volontà permette di superarli.
GRAZIE per la disponibilità.
[*] Consiglieri di Amministrazione della Fondazione Prof. Massimo D’Antona.
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