Un diritto conteso, quello del riposo domenicale, tra le ragioni delle radici culturali profonde del nostro Paese che connettono alle festività la ritualità e la sacralità, le ragioni dei grandi gruppi della distribuzione e del piccolo commercio anche a conduzione familiare, le ragioni della liberalizzazione e del libero svolgersi della domanda e dell'offerta, e le ragioni della regolamentazione che compete allo Stato che ha il compito di determinare il rapporto tra lavoro, riposo e diritto in modo da far coesistere le diverse esigenze legate allo svolgimento dei ritmi di vita che permette ai lavoratori di curare la propria vita familiare sociale e culturale.
La peculiarità della norma sul riposo domenicale non può non riflettere il diffuso senso religioso, tramandato dal passato, e che si perpetua con la ritualità che permea le coscienze individuali e la vita collettiva della nostra comunità nazionale.
In questa chiave Papa Leone XIII, nell'enciclica Rerum Novarum promulgata il 15 giugno 1891, indicava la necessità del riposo festivo, ”un riposo consacrato dalla Religione”, come diritto al quale l'uomo “neanche di sua libera elezione potrebbe rinunziare” poiché non si tratta di diritti dei quali sia libero l'esercizio, “bensì di doveri verso Dio assolutamente inviolabili”.
Nello stesso solco, Giovanni Paolo II nella lettera apostolica del 31 maggio 1998 afferma che “per i cristiani non è normale che la domenica, giorno di festa e di gioia, non sia anche giorno di riposo”.
La nostra Carta Costituzionale, pur nella sua laicità, all'articolo 7 recepisce i Patti Lateranensi stipulati l'11 febbraio 1929 ove è espressamente previsto che lo Stato riconosce i giorni festivi stabiliti dalla Chiesa con, al primo posto, tutte le domeniche. Anche se all'articolo 36, comma 3, la stessa Carta stabilisce il diritto irrinunciabile del lavoratore a fruire di un riposo settimanale, senza però precisare la collocazione del riposo settimanale nel giorno della domenica. Mentre il Codice Civile, all'articolo 2109, colloca il giorno di riposo settimanale “di regola in coincidenza con la domenica”.
Il riposo settimanale e domenicale trova la sua prima regolamentazione in Italia con la legge del 7 luglio 1907, n. 489, sostituita dalla legge del 2 febbraio 1934, n. 370, che agli articoli 1 e 3, prevede che al personale che presta la sua opera alle dipendenze altrui è dovuto ogni settimana un riposo di 24 ore che deve essere dato la domenica salvo alcune eccezioni previste dalla stessa legge.
La rivisitazione della materia del riposo settimanale e domenicale, da parte del legislatore italiano, è avvenuta con il decreto legislativo dell'8 aprile 2003, n. 66, in attuazione (tardiva) della Direttiva europea 93/104/CE, come modificata dalla Direttiva 2000/34/CE, che tuttavia mantiene, all'articolo 9, la previsione del riposo settimanale “di regola in coincidenza della domenica” . Così discostandosi dalla citata Direttiva 93/104/CE che si limita a prevedere per ogni periodo di sette giorni un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore. E discostandosi anche dalla sentenza della Corte di Giustizia del 9 marzo 2000 (causa C-386/98) nella quale i giudici, al fine di individuare un punto di equilibrio tra libertà economiche ed effetti restrittivi negli scambi a causa della coincidenza del riposo settimanale con la domenica hanno sostenuto che la norma del riposo settimanale, volta alla tutela e sicurezza dei lavoratori, non giustifica la preferenza della coincidenza del riposo settimanale con la domenica rispetto ad un altro giorno della settimana.
Tuttavia, occorre rilevare che la disciplina del citato articolo 9 del decreto legislativo 66/2003, riguardante il riposo settimanale coincidente con la domenica, prevede un ampio ricorso alla contrattazione collettiva anche aziendale. Un ulteriore margine di flessibilità sul riposo domenicale è stato poi introdotto con il D.L. 112/2008 convertito con la legge n. 133/2008 che, modificando il citato art. 9 prevede che il riposo settimanale sia calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni.
Il sofferto equilibrio tra l'assetto normativo conseguito e il contesto dei valori culturali sottesi viene posto in discussione con la crisi economica dell'anno 2011.
Le alte quotazioni dello spread e le perentorie richieste della BCE volte a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro inducono il governo Monti ad adottare il decreto legge n. 201/2011, “Salva Italia”, con il quale viene modificato il D.L. 223/2006, “decreto Bersani”, al fine di rendere permanente ed estendere a tutto il territorio nazionale la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali prevista in via sperimentale per i comuni a vocazione turistica.
Il D.L. Monti è finalizzato a favorire le vendite e il conseguente rilancio delle connesse attività commerciali, agevolando la ripresa dei consumi e con essa l'economia nazionale. Introduce inoltre, come principio generale dell'ordinamento, la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio.
La norma, peraltro, costituisce un adeguamento della disciplina nazionale ai principi previsti dall'ordinamento comunitario in tema di libera concorrenza tra gli operatori e pari opportunità di accesso al mercato.
La novella, pur introdotta nell'ordinamento in una condizione di straordinaria necessità per garantire la stabilità economico finanziaria del Paese in una eccezionale situazione di crisi internazionale, ha riproposto il riposo settimanale, coincidente con la domenica, come fattore di confronto, o di scontro, tra i diversi interessi coinvolti.
La politica ha preso posizione attraverso varie iniziative legislative, nella XVIII legislatura, (AC 457, AC 526, AC 470), finalizzate alla abrogazione e comunque al superamento della disciplina sulle liberalizzazioni previste nella manovra “Salva Italia” del governo Monti con varie motivazioni, che appaiono essere testimonianza dei vari gruppi politici verso il proprio elettorato, e che vanno dalla tutela dei negozi al dettaglio, alla tutela diritti dei lavoratori, all'attribuzione della potestà regolamentare nella materia a Regioni e Enti locali, alla necessità di accordi territoriali, al diritto di trascorrere le festività in famiglia.
La grande distribuzione, nel condividere il provvedimento sulle liberalizzazioni, ha rivendicato i positivi effetti indotti sull’occupazione con contratti di lavoro part time per i fine settimana, e la necessità di fare fronte alla concorrenza delle multinazionali dell'e-commerce.
Le rappresentanze del piccolo commercio a prevalente conduzione familiare hanno manifestato contrarietà al provvedimento non essendo in grado di competere con le aperture praticate dalla grande distribuzione.
Le formazioni portatrici di interessi diffusi, quali le associazioni dei consumatori, hanno rivendicato il diritto degli utenti ad effettuare i propri acquisti nei giorni di domenica e festivi.
Non è mancato il richiamo di Papa Francesco che, evocando il Concilio Vaticano II, ha ribadito che la domenica “giorno di festa primordiale che deve essere proposto e inculcato alla pietà dei fedeli in modo che divenga anche giorno di gioia e di astensione dal lavoro” (Udienza generale mercoledì 13 dicembre 2017).
Mentre, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con una nota del 18 settembre 2014 diretta alla Commissione Attività produttive della Camera, ha evidenziato la necessità di non modificare l'articolo 31 del D.L. 201/2011 “Salva Italia” in quanto “reintrodurre significativi limiti all'esercizio dell'attività economica integra una violazione dei principi a tutela della concorrenza previsti dal diritto comunitario”.
Il complesso delle divergenti ragioni rappresentate pone il riposo domenicale al centro della contesa tra radici culturali, interessi e diritto. Ma sono ragioni che, se proiettate nel più ampio contesto della globalizzazione dell'economia con la sempre maggiore interdipendenza delle economie nazionali, ma anche interdipendenze sociali, culturali e politiche, vedono affievolirsi, fino a sfumare, la ritualità del riposo settimanale coincidente con la domenica nel solco di una tendenza, che cresce a livello globale, di un mercato del lavoro in continua evoluzione alla ricerca di nuovi equilibri di vita professionale e innovative modalità lavorative che pongono al centro del dibattito la necessità di coniugare produttività, orario, sempre più compresso, ed equilibri di vita e di lavoro.
Costituzione, Art. 36, co. 3.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi
Codice civile, art. 2109 (Periodo di riposo).
Il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica.
DIRETTIVA 93/104/CE DEL CONSIGLIO del 23 novembre 1993, Articolo 5
Riposo settimanale
Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all’articolo 3.
[*] Ex ispettore del lavoro, funzionario dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, del Dipartimento della Funzione pubblica, dirigente del settore legislativo della Regione Campania e successivamente responsabile delle Relazioni sindacali del Comune di Roma. Attualmente svolge attività di consulente del lavoro.
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