Anno XI - n° 59

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Settembre/Ottobre 2023

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Anno XI - n° 59

Settembre/Ottobre 2023

La dilazione del trattamento di fine servizio è incostituzionale

Ma non viene rimossa


di Pietro Napoleoni [*]

Pietro Napoleoni

L’erogazione delle prestazioni dovute ai lavoratori del pubblico impiego alla cessazione del rapporto di lavoro evoca la vicenda del giuoco delle parti di Luigi Pirandello dove ciascuno è chiamato a recitare la propria parte e tutti escono sconfitti.

Napoleoni 59 1Nella specie, fuor di metafora, c’è un legislatore che manifesta una particolare ostinazione verso i lavoratori del pubblico impiego. C’è, poi, una Corte Costituzionale che sancisce in più occasioni l’incostituzionalità della dilatazione dei tempi di erogazione delle indennità di fine servizio. ma non rimuove le norme che violano i principi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, tutelano la dignità della persona umana. E, infine, la pluralità dei lavoratori del pubblico impiego che, pur vedendosi autorevolmente riconosciuto il proprio diritto, non trovano il giudice che gli consente di esercitarlo.

Ognuno la sua parte, appunto, e quella dei dipendenti pubblici è di subire un'oggettiva compressione di un diritto pacificamente riconosciuto all'intero mondo del lavoro dipendente.

La vicenda ha inizio nel 1997 quando il Governo Prodi, al fine di conseguire il riequilibrio finanziario del bilancio e il contenimento del disavanzo pubblico, adotta il decreto legge 28 marzo 1997 n. 79, convertito con la legge n. 140/1997 che, all'articolo 3, comma 2, introduce il differimento nel pagamento del trattamento di fine servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

La norma prevede che al trattamento di fine servizio, l'ente erogatore provveda decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, tre mesi nei casi di cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età. Originariamente la disciplina del pagamento era contenuta nell'articolo 26 del DPR n. 1032/73 che prevedeva la immediata corresponsione dopo la cessazione dal servizio; termine elevato poi a novanta giorni dall'articolo 7 della legge n. 75/80.

La strada tracciata dal Governo Prodi è poi seguita da altri governi che, con lo stesso intendimento di risanare il bilancio pubblico, reiteratamente chiamano a contribuire i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

Segue così il decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con la legge 14 settembre 2011, n.148 che sposta ancora in avanti i tempi di corresponsione del trattamento di fine servizio a 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, a sei mesi.

Anche la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) interviene nella materia e porta a 12 mesi il tempo di corresponsione del trattamento per i casi di cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età.

Ma il Governo nel solco del suo accanimento normativo in danno dei pubblici dipendenti, oltre ad agire sui tempi di corresponsione del trattamento introduce anche la modalità rateale nella corresponsione.

È l'articolo 12, commi 7 e 9 del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la legge n. 122/2010, a prevedere che i trattamenti di fine rapporto vengano corrisposti in unico importo per un ammontare fino a 90.000 euro, in due importi annuali per un ammontare fino a 150.000 euro, in tre importi annuali per un ammontare superiore a 150.000 euro.

La legge 27 dicembre 2013, n. 147 si è incaricata di diluire ulteriormente i tempi della corresponsione mediante la riduzione degli importi rateali.
Pertanto, allo stato, i trattamenti di fine servizio sono corrisposti in unico importo per un ammontare fino a 50.000 euro, in due importi annuali per quello inferiore a 100.000 euro, in tre importi annuali oltre i 100.000 euro.

Una rappresentazione plastica del particolare accanimento dei vari governi che si sono succeduti nel tempo verso una categoria di lavoratori che nonostante tutto ha dato e dà un contributo fondamentale per il funzionamento dello Stato e che, diversamente dal resto dei lavoratori dipendenti, contribuiscono ad alimentare il Fondo dedicato al pagamento dei trattamenti di fine servizio.

Napoleoni 59 2Un accanimento, occorre dire, che oggettivamente non è dato riscontrare verso l'ampia area dell'evasione contributiva e fiscale.

L'impianto normativo risultante dagli interventi che hanno agito sulla dilatazione dei tempi di corresponsione dei trattamenti di fine servizio e, segnatamente, l'articolo 3, comma 2, del decreto legge n. 79/1997 “Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica” e l'articolo 12, comma 7, del decreto legge n. 78/2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”, sono stati rimessi al giudizio di legittimità della Corte Costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 36 della Costituzione, nella parte in cui dispongono il pagamento differito e rateale del trattamento di fine servizio spettante ai dipendenti pubblici.

La Corte con la sentenza n. 130 del 19 giugno 2023, riguardante un dirigente cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, ha affermato che il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall'impiego per raggiunti limiti di età contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione che si sostanzia non solo nella congruità dell'ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione.

Il trattamento, che rientra nell'ambito applicativo dell'articolo 36 della Costituzione, è volto a sopperire alle peculiari esigenze del dipendente al momento della cessazione dall'impiego nel fare fronte alle difficoltà economiche che possono insorgere con il venire meno della retribuzione.

Tuttavia, la Corte afferma che in situazioni di grave difficoltà finanziaria il legislatore possa eccezionalmente comprimere tale diritto. Pur con il vincolo del rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalità rispetto allo scopo perseguito.

La Corte nelle sue considerazioni afferma che spetta al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che comporta il differimento della corresponsione, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto degli impegni assunti nell'ambito della programmazione economico-finanziaria.

La discrezionalità del legislatore al riguardo, ha chiarito la Corte, non è temporalmente illimitata. E non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa tenuto conto che la Corte, aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n. 159 del 2019, un monito col quale aveva segnalato l'urgenza di ridefinire una disciplina nell'ambito di una revisione organica della materia.

Conclusivamente la Corte, pur riconoscendo l'incostituzionalità delle norme sottoposte al giudizio, dichiara inammissibili le questioni di legittimità sollevate in nome di un bilanciamento tra valori costituzionali.

Nella sostanza, la Corte non rimuove dall'ordinamento le norme pur ritenendole in contrasto con i principi costituzionali, il legislatore viene ammonito, e i lavoratori del pubblico impiego non vedono garantita la giusta retribuzione.

E come nel giuoco delle parti tutti i protagonisti della vicenda recitano quella loro assegnata e tutti escono sconfitti.

Un paradosso che pone un problema, peraltro risolto in Paesi a noi vicini, di coordinamento tra gli effetti che possono seguire le sentenze della Corte Costituzionale e il rischio di un tardivo o mancato intervento del legislatore. Quadrato Rosso

Riferimenti normativi

Decreto-legge del 28/03/1997 n. 79
Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica

Articolo 3
Trattamento di fine servizio e termini di liquidazione della pensione
Modificato da: Legge del 27/12/2013 n. 147 Articolo 1

Napoleoni 59 31. Il trattamento pensionistico dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all' articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, compresi quelli di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 2 dello stesso decreto legislativo, è corrisposto in via definitiva entro il mese successivo alla cessazione dal servizio. In ogni caso l'ente erogatore, entro la predetta data, provvede a corrispondere in via provvisoria un trattamento non inferiore al 90 per cento di quello previsto, fatte salve le disposizioni eventualmente più favorevoli.
Alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i dipendenti di cui al comma 1, loro superstiti o aventi causa, che ne hanno titolo, l'ente erogatore provvede decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l'ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi.


Decreto-legge del 31/05/2010 n. 78
Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

Art. 12
Interventi in materia previdenziale
In vigore dal 01/01/2014
Modificato da: Legge del 27/12/2013 n. 147 Articolo 1

7. A titolo di concorso al consolidamento dei conti pubblici attraverso il contenimento della dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica previsti dall'Aggiornamento del programma di stabilità e crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, con riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche come individuate dall'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 il riconoscimento dell'indennità di buonuscita, dell'indennità premio di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra indennità equipollente corrisposta una-tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall'impiego è effettuato:
a) in un unico importo annuale se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 50.000 euro;
b) in due importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro. In tal caso il primo importo annuale è pari a 50.000 euro e il secondo importo annuale è pari all'ammontare residuo;
c) in tre importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente uguale o superiore a 100.000 euro, in tal caso il primo importo annuale è pari a 50.000 euro, il secondo importo annuale è pari a 50.000 euro e il terzo importo annuale è pari all'ammontare residuo.

[*] Ex ispettore del lavoro, funzionario dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, del Dipartimento della Funzione pubblica, dirigente del settore legislativo della Regione Campania e successivamente responsabile delle Relazioni sindacali del Comune di Roma. Attualmente svolge attività di consulente del lavoro.

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