Forma della delega nelle conciliazioni relative a controversie in materia di lavoro
di Alessandra Artioli [*]
La legge n. 92/2012, con l'art. 1, comma 40, ha modificato e inciso in modo significativo sulla formulazione dell'art. 7 della Legge n. 604/1966, affidando alla Commissione provinciale di conciliazione istituita presso la competente Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) ai sensi dell'art. 410 c.p.c., il compito di espletare un tentativo di conciliazione in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In particolare, il comma 5 della citata disposizione, prevede che “Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
Sul punto è intervenuta la Direzione Generale per l'attività ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con Circolare n. 3/2013 del 16 gennaio 2013, la quale, nel fornire una serie di indicazioni di carattere esplicativo della nuova formulazione, nonché modalità operative per l'espletamento della procedura, ribadisce la possibilità che le parti - datore di lavoro e lavoratore - siano o meno presenti avanti alla commissione di conciliazione, o possano farsi rappresentare da un soggetto terzo munito di apposita delega. Delega che - secondo la predetta Circolare – può essere autenticata secondo le modalità attualmente in vigore - precisando che tali modalità consistono nella delega sottoscritta dalla parte innanzi al funzionario, unitamente a copia di un documento d'identità, ovvero autentica rilasciata dallo stesso avvocato che rappresenta e assiste la parte.
Tale orientamento si contrappone a quanto precedentemente affermato dal Segretariato Generale del Ministero predetto il quale, nel dettare alcune istruzioni in relazione alle modifiche introdotte dalla legge n. 183/2010 (Collegato lavoro), con Nota del 25 novembre 2010 ha affermato che in relazione al conferimento della rappresentanza “la delega a conciliare e transigere seguiterà ad essere rilasciata davanti ad un Notaio o ad un funzionario della DPL con piena validità, mentre risulterà non ammissibile l'autentica rilasciata dall'addetto del Comune o dall'Avvocato che rappresenta e assiste il proprio cliente”. Conformemente a quanto già espresso con Note 3 luglio 2000, 8 marzo 2001 e 3 dicembre 2002. In particolare, in relazione a quest'ultima nota si evidenzia come la facoltà attribuita al funzionario della DPL sia fatta discendere dall'assunto secondo cui se a quest'ultimo è attribuito il potere di certificare l'autografia della sottoscrizione delle Parti apposta in calce al processo verbale di conciliazione, allo stesso è altresì attribuita la competenza a certificare nella stessa forma, e quindi in via amministrativa, anche l'atto prodromico e preordinato alla sua conclusione.
Diversa è la posizione assunta dalla stessa Direzione Generale nel caso di conciliazione monocratica attivata ai sensi dell'art. 11, comma 1, del D.Lgs. n. 124/2004 a seguito di contestazioni ispettive, la quale afferma, senza tuttavia fornire alcuna ulteriore motivazione giuridica a supporto, che le indicazioni richiamate nella citata nota del 25 novembre 2010 in tema di delega a conciliare ai sensi dell'art. 411 c.p.c., non possono trovare applicazione nel caso di specie, ammettendo, di conseguenza, che la delega possa essere sottoscritta dalla Parte dietro presentazione di un documento d'identità, ovvero che possa essere munita di certificazione effettuata dall'addetto comunale o dall'avvocato che rappresenta ed assiste il proprio cliente. Cercando di intuire la motivazione che vi sta alla base, si potrebbe pensare che, probabilmente, l'estensore di questa nota ha ritenuto non trascurabile la collocazione di tale disciplina al di fuori delle procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c. e quindi al di fuori del Codice di procedura Civile, legittimando pertanto una disciplina del potere di rappresentanza – per quanto riguarda anche la procura ad litem - diversa da quella di cui all'art. 83 c.p.c. e da questa indipendente. Ma se di procura alle liti si tratta non si capisce perché, nel silenzio normativo, non debba seguire le prescrizioni di forma di cui al citato art. 83 c.p.c..
Sia consentita in merito qualche riflessione. L'argomento, infatti, appare tanto più delicato in considerazione del fatto che la delega ad intervenire in nome e per conto della Parte ad una conciliazione ha inevitabilmente dei risvolti tutt'altro che secondari sulla validità dell'intera procedura in materia di lavoro, andando ad incidere in maniera considerevole sui diritti soggettivi delle Parti interessate.
Due sono i quesiti che, a tale proposito, legittimamente sorgono: il primo riguarda la forma idonea ad attribuire tale potere rappresentativo; il secondo invece riguarda il contenuto necessario e sufficiente di tale procura.
La procura è il potere attribuito ad un soggetto di agire in nome e per conto del rappresentato, il quale è l'unico destinatario degli effetti giuridici del negozio compiuto e che andrà ad incidere, modificandola, unicamente sulla sua sfera giuridica, con risultati più o meno evidenti. Il termine “delega”, spesso utilizzato come sinonimo di procura, in realtà assume sfumature differenti, in quanto è per lo più riferita ad un potere rappresentativo privo di contenuto negoziale, se non addirittura correlato ad una fase meramente esecutiva e materiale (quale può essere la presentazione o il ritiro di documenti) che non ha nulla di discrezionale. L'art. 1392 del c.c., che disciplina la forma della procura, utilizzando il principio della simmetria, afferma che questa non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere; in tale contesto la delega consente forme meno rigide perché priva di contenuto negoziale.
L'articolo 1392 c.c. è norma di applicazione generale, cui far ricorso quando la legge non dispone diversamente; quando però si fa riferimento ad una procura speciale ad litem per conciliare o transigere esiste una norma apposita, l'art. 83 c.p.c., che ne disciplina forma e contenuto. E afferma, come principio generale che la procura alle liti deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Considerato quindi che la forma minima per conferire una procura alle liti è quella della scrittura privata autenticata, cerchiamo di individuare quali siano i soggetti competenti ad autenticare le predette sottoscrizioni.
Prendendo le mosse dal dato letterale, bisogna distinguere due tipi di autentica: quella di cui all'art. 2703 del C.C., in base al quale la scrittura privata è autenticata quando la sottoscrizione è riconosciuta tale da un notaio o da pubblico ufficiale a ciò autorizzato, e fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da parte di chi sottoscrive e della sua capacità o legittimazione; ad oggi l'unico Pubblico ufficiale cui la legge riconosce una competenza generale ad autenticare la sottoscrizione apposta ad una scrittura privata, nei rapporti tra privati, continua ad appartenere e ad essere riconosciuta esclusivamente al Notaio (art. 72 Legge Not.). (Nel momento in cui si scrive, una eccezionale competenza ad autenticare documenti può forse ravvisarsi nella facoltà attribuita all'avvocato di certificare l'autenticità delle sottoscrizioni delle Parti con l'obbligo per lo stesso di dichiarare la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico dell'intesa raggiunta nell'ambito della “negoziazione assistita” introdotta con il Decreto cd. “Sblocca Italia” n. 132/2014 anche in ambito di controversie di lavoro).
Accanto all'autentica notarile esiste l'autentica amministrativa, il cui ambito operativo riguarda casi ben individuati dal D.P.R. n. 445/2000 ovvero, la produzione di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione o anche a soggetti diversi se effettuata al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici. Ebbene, l'autenticazione della sottoscrizione di qualsiasi istanza o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in questi ultimi casi oltre ad essere riservata esclusivamente ai soggetti elencati nella citata legge, deve riportare – come contenuto obbligatorio - l'attestazione che la sottoscrizione è stata apposta in presenza del Pubblico Ufficiale, previo accertamento dell'identità del dichiarante, con indicazione delle modalità di identificazione, data e luogo di autenticazione, nome, cognome e qualifica rivestita dal Pubblico ufficiale autenticante, nonché l'apposizione di firma e timbro dello stesso.
Si osservi come – ad esempio – in materia di istanze e dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione, con D.Lgs. n. 235/2010 è stato aggiunto un comma 3 bis all'art. 38 del citato D.P.R. 445/2000 che disciplina espressamente la forma della procura. In questo caso risulta evidente come il legislatore abbia sentito l'esigenza di introdurre un comma ad hoc per quanto concerne la forma con cui conferire il potere di rappresentanza con riguardo alla formazione e alla presentazione di istanze, progetti, dichiarazioni e altre attestazioni nonché al ritiro di atti e documenti presso le pubbliche amministrazioni e i gestori o esercenti di pubblici servizi, conferimento di poteri che potrà avvenire con le medesime modalità previste per la presentazione del documento cui si riferiscono.
A queste due forme di autenticazione delle sottoscrizioni si affianca la cd. “autentica minore” - o vera di firma - con la quale il certificatore dichiara che la firma apposta in calce o a margine dell'atto proviene da colui che l'ha apposta in sua presenza, ma non richiede alcuna verifica della volontà del sottoscrittore, né della sua capacità o legittimazione, né della conformità dell'atto alla legge né tanto meno le formalità previste per l'autentica notarile o amministrativa.
Anche per quanto riguarda l'utilizzo della vera di firma, si ritiene che se ne possa far ricorso esclusivamente nei casi in cui la legge espressamente lo prevede o, secondo una tesi meno restrittiva, solo nei casi in cui il documento non ha contenuto patrimoniale ovvero ancora quando non prevede obblighi a carico del dichiarante; e in ogni caso solo ad opera del soggetto (notaio, avvocato di parte, funzionario comunale,...) a cui tale potere di certificazione è attribuito altrettanto espressamente.
Esempi di questo tipo – nell'ambito delle competenze notarili – sono le autentiche sulle girate azionarie o sulle domande di partecipazione ai concorsi di assunzione nella pubblica amministrazione.
Altri esempi si ritrovano nella legge: uno di questi è proprio l'art. 83 c.p.c., comma 3, in base al quale la sottoscrizione della parte che conferisce procura ad litem al difensore per un determinata controversia, può essere certificata dall'avvocato medesimo quando la procura sia conferita in calce o a margine di uno degli atti del processo tassativamente elencati nella disposizione stessa.
Ancora, tale facoltà è riconosciuta al consulente del lavoro che, nel processo tributario, debba assistere in giudizio la parte quale difensore, ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992. La citata disposizione, infatti, individua tra i soggetti abilitati anche il consulente del lavoro iscritto nell'apposito albo e, al comma 3, attribuisce espressamente all'incaricato stesso la facoltà di certificare la sottoscrizione della parte se la procura è conferita con mandato scritto a margine o in calce all'atto del processo.
Da quanto precede si può pertanto affermare che se il legislatore, anche in ambito di documenti da presentare alla pubblica amministrazione, ha sentito l'esigenza di prevedere espressamente i casi nei quali il potere di rappresentanza può essere conferito mediante delega sottoscritta dalla Parte e certificata da un soggetto (diverso dal Notaio o dal pubblico ufficiale a ciò autorizzato) già per legge competente ad autenticare la sottoscrizione dell'atto cui il potere rappresentativo si riferisce, ne discende che la competenza a certificare nella stessa forma, e quindi in via amministrativa, anche l'atto prodromico e preordinato alla conclusione del negozio non può essere insito in quel potere originario.
Sul punto è intervenuta – anche recentemente – la giurisprudenza di legittimità (con sentenza n. 22285 - Cass., Sez. II, 26 novembre 2004 e n. 19966 - Cass., Sez. III, 30 agosto 2013), confermando un orientamento pressoché costante.
In particolare, la sentenza da ultimo citata, anche se prendeva le mosse da una procura alle liti conferita con scrittura privata autenticata dall'addetto comunale, escludendone l'idoneità ha affermato un principio di ordine generale, applicabile a qualsiasi altra analoga situazione. Precisamente, i giudici di legittimità hanno affermato che emerge un sistema normativo nel quale il potere di autenticazione del dipendente addetto dell'ufficio comunale non è generalizzato, ma è di volta in volta individuato dal legislatore.
Tali considerazioni possono pertanto estendersi a qualsiasi situazione e quindi, tanto al consulente del lavoro, quanto all'avvocato che assiste la parte, o al componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, cui venisse attribuito il potere di rappresentare la Parte innanzi alla commissione provinciale del lavoro o in sede monocratica o in sede sindacale; considerazione che, si ritiene, possa riguardare anche il funzionario della direzione provinciale innanzi al quale la conciliazione dovesse svolgersi.
Il potere di rappresentanza a conciliare o transigere comporta la facoltà di incidere in modo profondo e definitivo sui diritti soggettivi e individuali del rappresentato; il carattere negoziale del potere transattivo e conciliativo, soprattutto in ambito extragiudiziale, ha portato a ritenere – sia parte della dottrina che la giurisprudenza di legittimità pressoché costante - che l'art. 83 c.p.c., ove prevede che la sottoscrizione della procura speciale alle liti può essere certificata dall'avvocato che assiste la parte solo se conferita in occasione di uno degli atti elencati nella norma in oggetto, ha carattere tassativo e che la procura deve avere un contenuto ben circoscritto, al fine di evitare che sia eccepita una carenza o insufficienza dei poteri del procuratore. La procura, pertanto, dovrà prevedere espressamente la facoltà di transigere o conciliare.
Posto che l'art. 7 della citata Legge n. 604/1966 – così come l'art. 11 del D.Lgs. n. 124/2004 -, prevedono la possibilità di farsi rappresentare in sede di conciliazione, ma di più non dispongono, si ritiene che - in applicazione dei principi generali dell'ordinamento - per poter rilasciare ad uno dei soggetti sopra elencati una procura valida ed efficace si debba far richiamo al secondo comma dell'art. 83 del c.p.c., il quale dispone che la procura alle liti deve essere conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, secondo quanto sopra ampiamente indicato.
Da una lettura sistematica si può quindi concludere che, laddove la legge espressamente attribuisce ad un determinato soggetto (professionista, dipendente di enti pubblici,...) uno specifico potere di certificare la sottoscrizione di un documento, attribuisce a tale soggetto una competenza eccezionale, di stretta interpretazione e non estensibile a casi analoghi; laddove la norma nulla dispone in merito ritornerà applicabile la competenza generale del Notaio.
L'art. 83, terzo comma, c.p.c., infatti, oltre a dettare una disposizione di carattere generale, ne detta una di carattere speciale quando attribuisce all'avvocato la facoltà di certificare la sottoscrizione della Parte in calce o a margine del documento, che deve essere della specie di quelli elencati nella citata disposizione. Il potere rappresentativo del difensore, per la procura alle liti, trova la propria fonte giuridica in tale norma.
Se il conferimento della procura avviene successivamente torna vigente il principio generale per cui l'autenticità della sottoscrizione spetta al pubblico ufficiale a ciò autorizzato, e cioè al Notaio.
Analoga riflessione può quindi essere estesa all'idoneità di certificazione della sottoscrizione da parte del consulente del lavoro, al quale la legge – si ribadisce - attribuisce espressamente tale potere solo in occasione della assistenza in giudizio quale difensore di parte abilitato nel processo tributario ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992.
Non si rinvengono invece norme analoghe per quanto riguarda il componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, né in relazione al funzionario della direzione provinciale del lavoro.
Le considerazioni che precedono portano pertanto ad affermare l'inidoneità di una procura conferita dalla Parte al consulente del lavoro o al componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori con sottoscrizione certificata dall'incaricato stesso o dal funzionario della DPL, perché tale facoltà non è prevista per legge, e non si può nemmeno far discendere dal potere riconosciuto a quest'ultimo di certificare l'autografia della sottoscrizione delle Parti del processo verbale.
Anche dal punto di vista del contenuto la procura alle liti deve avere determinati requisiti – così consentendo di allargare la platea di coloro che hanno la competenza a certificare la sottoscrizione della Parte o escluderla.
In relazione all'art. 83, comma 3, c.p.c., nello specifico, l'orientamento di dottrina e giurisprudenza appare assai restrittivo, in quanto si ammette la facoltà del difensore di rappresentare in giudizio la Parte in virtù del mandato conferito in calce o a margine dell'atto, solo nei limiti di quanto espressamente previsto nel mandato, trovando stretta applicazione, in mancanza, il disposto di cui all'art. 84 del c.p.c., che non consente al difensore di compiere atti che dispongono del diritto in contesa se non ne ha ricevuto espressamente il potere.
Si può pertanto presumere che – o il potere di rappresentanza è espressamente esteso alla conciliazione in sede amministrativa nella delega conferita al difensore a margine o in calce all'atto introduttivo del procedimento giudiziale tra quelli elencati nell'art. 83, comma 3, c.p.c. – e allora può individuarsi una eventuale competenza dell'avvocato che assiste la parte, o ritornerà applicabile il comma 2 della disposizione in oggetto e la competenza all'autentica della sottoscrizione sarà esclusivamente del Notaio.
Concludendo, vista l'incertezza che regna sul punto e l'atteggiamento non uniforme della prassi, de iure condendo, si auspica un intervento del legislatore che attraverso una norma di legge possa far chiarezza sul punto, sia per una questione di certezza del diritto sia al fine di fornire un indirizzo unitario e vincolante erga omnes, consentendo pertanto alle diverse direzioni territoriali di tenere comportamenti omogenei e alle Parti di contare su accordi inoppugnabili in sede giudiziale.
[*] Notaio in Ferrara.
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