Il lavoro occasionale in agricoltura - La prestazione lavorativa dei parenti e degli affini
di Annalisa Brescia [*]
PREMESSA
Nel lavoro in agricoltura un’apposita disciplina è riservata alle attività svolte dai familiari all’interno dell’impresa familiare agricola, sancendo un adeguato inquadramento dal punto di vista previdenziale. È estesa, infatti, ai parenti e agli affini entro il quarto grado la possibilità di rendere prestazioni occasionali o ricorrenti di breve periodo, senza che ciò configuri un rapporto di lavoro autonomo o subordinato.
1. EVOLUZIONE STORICA
La norma di riferimento è contenuta nel D.Lgs. 10/09/2003, n. 276 “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003 n. 30”, il quale all’art. 74, intitolato “Prestazioni che esulano dal mercato del lavoro”, ha normativamente definito l’attività prestata a titolo occasionale in agricoltura, introducendo la disposizione secondo la quale “con specifico riguardo alle attività agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti ed affini sino al terzo grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, di mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori”.
La portata di tale disposizione normativa è stata in seguito ampliata dal D.L. 10/02/2009 n.5, convertito con modificazioni dalla Legge 9 aprile 2009, n. 33, il quale all’art. 7 ter, comma 13, ha ulteriormente allargato l’ambito di operatività del sopra citato art. 74 D.Lgs. n. 276/2003 prevedendo che “all’articolo 74, comma 1, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, le parole: «parenti e affini sino al terzo grado» sono sostituite dalle seguenti: «parenti e affini sino al quarto grado»”. In tal modo, è stato consentito di rendere prestazioni meramente occasionali o ricorrenti di breve periodo, nell’ambito delle attività agricole, ai parenti ed affini fino al 4° grado, senza che in nessun modo si instauri un rapporto di lavoro autonomo o subordinato.
Le disposizioni richiamate riprendono quanto disposto nella L. n. 30/2003 all’art. 4, co. 1, lettera f), secondo cui “il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni volte alla disciplina o alla razionalizzazione delle tipologie di lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: configurazione specifica come prestazioni che esulano dal mercato del lavoro e dagli obblighi connessi delle prestazioni svolte in modo occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salve le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori, e con particolare riguardo alle attività agricole”.
A ben vedere, già la precedente L. n. 144/1999 all’art. 45, co. 1, lett. h) consentiva ai coltivatori diretti iscritti negli elenchi provinciali, di avvalersi di parenti ed affini entro il terzo grado, per brevi periodi, purché fosse prevista la copertura per rischio infortuni e fosse garantito un versamento, non quantificato, al Fondo di solidarietà dei lavoratori dipendenti, gestito dall’INPS.
Il citato articolo, così disponeva: “allo scopo di realizzare un sistema efficace ed organico di strumenti intesi a favorire l'inserimento al lavoro ovvero la ricollocazione di soggetti rimasti privi di occupazione, il Governo è delegato ad emanare, previo confronto con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale dei datori di lavoro e dei lavoratori, entro il 31 dicembre 1999, uno o più decreti legislativi contenenti norme intese a ridefinire, nel rispetto degli indirizzi dell'Unione Europea e delle competenze previste dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, il sistema degli incentivi all'occupazione ivi compresi quelli relativi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, con particolare riguardo all'esigenza di migliorarne l'efficacia nelle aree del Mezzogiorno, e degli ammortizzatori sociali, con valorizzazione del ruolo della formazione professionale, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: previsione, in via sperimentale e per la durata di due anni, della possibilità per i coltivatori diretti iscritti agli elenchi provinciali, di avvalersi, in relazione alla raccolta di specifici prodotti agricoli, di collaborazioni occasionali di parenti ed affini entro il terzo grado per un ridotto periodo di tempo complessivo nel corso dell'anno, assicurando il rispetto delle normative relative alla sicurezza e all'igiene nei luoghi di lavoro, la copertura da rischi da responsabilità civile, infortunio o morte e il versamento di un contributo di solidarietà a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti”.
Previsione normativa, di fatto, rimasta vana, in quanto il necessario Decreto delegato non è stato mai emanato per scadenza dei termini per l’esercizio della delega.
Successivamente, per effetto di provvedimenti contenuti nelle leggi finanziarie per gli anni 2001 e 2002, la materia trovò una differente disciplina, pur se transitoria, estendendo il vincolo di parentela ed affinità fino al quinto grado, limitando la prestazione lavorativa per un massimo di novanta giorni nell’anno ed escludendo sia la copertura assicurativa per infortuni sia il contributo di solidarietà. Invero, l’art. 122 L. n. 388/2000 (Legge Finanziaria 2001) disponeva che: “in sede di sperimentazione e per un periodo non superiore a due anni, i coltivatori diretti iscritti agli elenchi provinciali possono avvalersi per la raccolta di prodotti agricoli, in deroga alla normativa vigente, di collaborazioni occasionali di parenti ed affini entro il quinto grado per un periodo complessivo nel corso dell'anno non superiore a tre mesi”.
Sull’argomento intervennero, a più riprese, i chiarimenti sia del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Circolari n. 12/2001 e n. 49/2001 e nota successiva del 20 settembre 2001) che dell’INPS (Circolare n. 184/2001) in base ai quali si arrivò alla conclusione che “le prestazioni rese dai parenti e dagli affini del coltivatore diretto, le collaborazioni occasionali, qualora rese a titolo gratuito, non configurano un rapporto di lavoro subordinato od autonomo e, pertanto, non possono dar luogo all’insorgenza di obbligazioni contributive”.
In seguito, la materia è stata regolamentata, limitatamente all’anno 2003, dall’ art. 45, co. 1, della L. n. 289/2002 (Legge Finanziaria 2003), il quale prevedeva interventi per agevolare i coltivatori diretti, stabilendo che “in sede di sperimentazione, per l'anno 2003, i coltivatori diretti iscritti negli elenchi provinciali, ai fini della raccolta di prodotti agricoli, possono avvalersi, in deroga alla normativa previdenziale vigente, di collaborazioni occasionali di parenti entro il secondo grado aventi anche il titolo di studente per un periodo complessivo nel corso dell'anno non superiore a novanta giorni. È fatto comunque obbligo dell'iscrizione all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”. Tale disposizione richiedeva, ai fini dell’applicazione, un Decreto Ministeriale attuativo.
È stato, quindi, riconosciuto ai coltivatori diretti, ancora una volta per la sola raccolta dei prodotti agricoli, la possibilità di avvalersi di collaborazioni occasionali di parenti entro il secondo grado per un periodo complessivo nel corso dell’anno non superiore a 90 giorni.
A differenza delle disposizioni precedenti, l’articolo 74 D.Lgs. n. 276/2003, attualmente vigente, non si rivolge più solo ai “coltivatori diretti iscritti negli elenchi provinciali” e non fa nessun riferimento “al periodo complessivo non superiore a tre mesi”, avendo una portata ben più ampia. In tal modo, con la novellata norma viene esteso il campo di applicazione e viene, inoltre, superata la fase sperimentale intrapresa con l'articolo 122 della Finanziaria 2001 e mantenuta, sempre in forma sperimentale e in modo assai più ristretto, dall'articolo 45 della Finanziaria 2003, attraverso una disciplina che, a differenza delle precedenti norme, è diretta, cioè non richiede provvedimenti attuativi ed è, altresì, priva di precostituiti limiti di efficacia temporale.
2. DISCIPLINA E REQUISITI DEL LAVORO DI PARENTI E AFFINI
La norma di riferimento è l’art. 74 del D.Lgs. n. 276/2003, che disciplina le prestazioni lavorative che esulano dal mercato del lavoro, come modificato dal D.L. n. 5/2009, convertito con modificazioni dalla Legge 9 aprile 2009, n. 33, il quale stabilisce che: “con specifico riguardo alle attività agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti ed affini sino al quarto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, di mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori”.
Attraverso la lettura del disposto normativo si evidenziano gli aspetti caratterizzanti la tipologia lavorativa in oggetto. Invero, si parla di attività agricole in senso lato e ciò significa che le stesse comprendono tutte quelle definite tali dal D.Lgs. n. 228/2001 e dai successivi correttivi; mentre il riferimento alle prestazioni svolte è di carattere generale quindi vi rientrano tutte le attività poste in essere da parenti ed affini entro il quarto grado. Con riguardo all’oggetto delle prestazioni, la norma, a differenza delle precedenti discipline, non lo limita alla sola raccolta dei prodotti agricoli, ma lo individua genericamente nelle “... prestazioni svolte da...”.
Ne consegue che, mentre in passato le prestazioni occasionali potevano avere ad oggetto esclusivamente attività di raccolta dei prodotti agricoli, con il citato articolo 74 qualunque attività definibile agricola ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile può, sussistendo tutti gli altri requisiti previsti dalla norma, integrare una prestazione occasionale.
Non viene, inoltre, specificata in alcun modo la figura del titolare dell’impresa agricola, sicché le prestazioni possono essere rese in favore sia dei coltivatori diretti che degli altri imprenditori agricoli. Si parla di “occasionalità ricorrente e di breve periodo” in considerazione del fatto che in agricoltura essa è riferibile ad una serie di attività legate sia alla raccolta dei prodotti che a fasi strettamente temporali correlati alle stagioni, riguardando qualunque attività lavorativa, nonché “di aiuto, di mutuo aiuto e di obbligazione morale” poiché l’aspetto familiare solidaristico rappresenta un elemento qualificante. Alla base di tutto c’è, quindi, la gratuità della prestazione per la quale non possono essere corrisposte somme, tranne che le stesse non siano riferibili a quelle “vive” sostenute per l’esecuzione dei lavori.
I presupposti affinché la prestazione non si configuri come rapporto di lavoro dipendente o autonomo, di conseguenza, sono i seguenti:
- l’attività dovrà essere svolta in modo puramente occasionale o ricorrente di breve periodo (intendendosi con ciò un’attività resa senza carattere di abitualità, in via eccezionale e straordinaria, anche ripetutamente nel corso dell’anno, purché per brevi intervalli di tempo);
- esclusivamente a titolo di aiuto, unilaterale o reciproco, o in adempimento di un’obbligazione esclusivamente morale, atteso che qualora la prestazione sia fornita in esecuzione di una obbligazione giuridica, non sussistono gli estremi del lavoro occasionale;
- senza corresponsione di compensi in quanto le prestazioni devono essere gratuite. L’imprenditore non deve corrispondere alcunché a titolo di retribuzione o corrispettivo per l’attività prestata, essendo previsto solamente un eventuale rimborso spese e fatte salve le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori (es. vitto, alloggio, spese per l’acquisto di mezzi, ecc.);
- da parenti ed affini entro il 4° grado.
Alla luce di quanto esposto, ai sensi dell’articolo in esame, ricorrendo tutti i requisiti sopra descritti, le attività prestate dal parente o affine sono considerate come “prestazioni che esulano dal mercato del lavoro”, non riconducibili né allo schema del lavoro subordinato, né allo schema del lavoro autonomo. Ne consegue che le stesse non fanno sorgere alcuna obbligazione contributiva nei confronti degli Enti Previdenziali e pertanto non sussiste obbligo di denuncia all’Istituto né obbligo di comunicazioni di instaurazione e/o cessazione di tale rapporto nei confronti di alcun Ufficio o Ente, come si desume, tra l’altro, dal principio di cui alla legge delega n. 30/2003, articolo 4, lettera f): “configurazione specifica come prestazioni che esulano dal mercato del lavoro e dagli obblighi connessi delle prestazioni svolte in modo occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale, senza corresponsione di compensi, salve le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori, e con particolare riguardo alle attività agricole”. (Circolare INPS n. 22/2005). Invero, se per legge non è ravvisabile alcuna forma di lavoro autonomo o subordinato, non ci sono tutte le incombenze di natura amministrativa susseguenti alla instaurazione di un rapporto di lavoro.
La previsione normativa appena descritta, di conseguenza, non vale se per la prestazione lavorativa svolta c’è una corresponsione di retribuzione e l’apertura della posizione assicurativa, cosa che sovente avviene, anche per il conseguimento del “minimum” di giornate attribuibili per godere delle successive prestazioni previdenziali.
3. PARENTELA E AFFINITÀ
3.1. LA PARENTELA
La parentela è il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona e sono quindi legate tra loro da un vincolo di consanguineità. Tale rapporto giuridico rinviene la sua definizione e disciplina negli art. 74 e ss. del Codice Civile.
Nel testo originario dell’art. 74 la parentela era considerata dal nostro ordinamento “il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”. In seguito, al fine di eliminare qualsiasi forma di discriminazione tra figli legittimi e figli naturali, ossia nati fuori dal matrimonio, sono state emanate nuove norme in materia di riconoscimento dei figli naturali contenute nella Legge 10 dicembre 2012 n. 219, le quali hanno modificato lo stesso articolo 74 c.c. stabilendo che “la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti”. In tal modo, la parentela sussiste sia se legittima, ossia quando il rapporto di consanguineità ha alla base un’unione fondata sul matrimonio, sia se naturale, qualora il rapporto derivi da relazioni more uxorio.
Ai fini della determinazione, il vincolo si distingue in funzione delle linee di parentela, differenziando la linea retta dalla linea collaterale, in ragione della sussistenza o meno di una derivazione diretta tra un soggetto e l’altro. La parentela in linea retta presuppone una discendenza diretta (padre-figlio) ovvero mediata (nonno-nipote); quella collaterale, invece, ricorre quando manchi tale vincolo di derivazione ma vi sia ugualmente uno stipite comune (si pensi al legame tra fratelli, cugini, zii e nipoti).
La disciplina giuridica è contenuta nell’art. 75 c.c., il quale sancisce che:
- la linea retta unisce le persone di cui l’una discende dall’altra (ad es. padre e figlio, nonno e nipote);
- la linea collaterale unisce le persone che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l’una dall’altra (ad es. fratelli, zio e nipote).
Nel successivo art. 76 c.c. è contenuta, invece, la definizione dei gradi della parentela e delle modalità di computo. Il grado corrisponde alla generazione o, più precisamente, all’intervallo computato in generazioni che separa due o più persone. Il computo dei gradi diverge a seconda che interessi la linea retta ovvero quella collaterale:
- nella linea retta si computano tanti gradi quante sono le generazioni, escluso lo stipite (così a titolo esemplificativo padre e figlio sono parenti in linea retta di primo grado - figlio, padre, figlio = 3; 3 – 1 = 2; mentre nonno e nipote lo sono di secondo grado - nonno, padre, figlio = 3; 3 – 1 = 2 e via enumerando);
- nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all'altro parente, sempre restando escluso lo stipite.
Quanto all’esclusione, nella linea retta come in quella collaterale, dello stipite comune ai fini del computo, essa si spiega agevolmente in quanto, essendo egli elemento generante, non può come tale costituire “grado”.
Il successivo art. 77 c.c. sancisce, infine, i limiti alla parentela enunciando che “la legge non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati”, sul presupposto non dichiarato della scarsa considerazione che il senso comune riserva ai parenti di grado più lontano.
Pertanto, la determinazione del grado assume particolare rilievo agli effetti della rilevanza della parentela.
La suddetta regola, prima facie, sembrerebbe non ammettere deroghe tant’è che il legislatore la ripropone in sede successoria, all’art. 572 c.c., dove ne riafferma i contenuti precisando la non operatività della successione “tra parenti oltre il sesto grado”.
Tuttavia, lo stesso codice civile individua talune eccezioni testuali, allorquando, ad esempio, discorre di parentela in linea retta all’infinito all’art. 251 c.c., in tema di filiazione incestuosa, o all’art. 469 c.c. relativamente all’istituto della rappresentazione. Si tratta, comunque, di isolate enunciazioni di principio, dal momento che in linea generale la maggior parte delle disposizioni non vanno oltre la considerazione del quarto grado (si pensi all’art. 406 c.c. ed al suo rinvio all’art. 417 c.c.) e, per quanto attiene specificatamente alla linea collaterale, anche non oltre quella del terzo o del secondo grado (come dimostrato dall’art. 87, comma 3, c.c., ovvero dall’art. 433, nn. 4, 5, 6, c.c., ovvero ancora dall’art. 230-bis).
3.2. L'AFFINITÀ
L’affinità è disciplinata dall’art. 78 c.c., il quale sancisce che “è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge. Nella linea e nel grado in cui taluno è parente d'uno dei due coniugi, egli è affine dell'altro coniuge. L'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all'articolo 87, n. 4”.
Trattasi di un rapporto che vede come presupposto l’esistenza di una relazione di coniugio e ha valenza limitata in quanto non va oltre la persona, non essendo gli affini tali fra di loro.
L’affinità riproduce nelle linee e nei gradi il rapporto di parentela che unisce l’altro coniuge e i suoi parenti. In tal modo si distingue tra affinità in linea retta e in linea collaterale.
Si instaura affinità in linea retta tra il coniuge e i parenti in linea retta dell’altro coniuge (ad esempio tra suocera e genero); in linea collaterale, invece, lega un coniuge con i parenti in linea collaterale dell’altro (si pensi ai cognati).
Al contrario, gli affini di un coniuge non sono da considerarsi affini degli affini dell'altro coniuge (adfines inter se non sunt adfines): le mogli di due fratelli, ad esempio, non sono affini tra loro (nonostante comunemente si chiamino cognate).
Circa gli effetti, numerose sono le analogie con il vincolo di parentela. Invero, l’affinità rivela quale presupposto sia per l’impostazione di obblighi di natura patrimoniale in riferimento al sorgere dell’obbligazione alimentare entro il limite del secondo grado (art. 433 c.c.) sia per obblighi di natura non patrimoniale e a contenuto negativo, come l’obbligo per il Giudice di astenersi dalle cause in cui sia parte un affine (art. 51 c.p.c.).
L’affinità agisce, inoltre, come impedimento al matrimonio, costituendo una causa che ne esclude la legittimazione. Sussiste, difatti, il divieto di coniugio tra persone legate da rapporto di affinità in linea retta ed in linea collaterale entro il secondo grado (art. 87 nn. 4 e 5 c.c.). Per di più, l’affinità in linea retta si pone come causa di rapporti incestuosi.
Diversamente da quanto invece accade a seguito del vincolo della parentela, gli effetti dell’affinità non hanno riscontri sui diritti ereditari, essendo gli affini assenti dall’elenco dei successibili.
Inoltre, a differenza del rapporto di parentela, che prevedendo uno stipite comune non può mai venir meno, l’affinità può cessare per cause determinate. È previsto, difatti, che nonostante permanga in caso di morte di uno dei coniugi, restando il vedovo o la vedova legati da tale vincolo ai parenti del coniuge defunto, lo stesso cessi in ipotesi di nullità del matrimonio, venendo meno retroattivamente i vincoli di affinità.
Controversa in sede dottrinale è, invece, la previsione della cessazione del rapporto di affinità a seguito di divorzio. In base al tenore letterale della norma, difatti, l’ipotesi di scioglimento del vincolo matrimoniale non è da ricomprendersi tra le cause espresse di interruzione del vincolo e anche secondo la migliore dottrina e la giurisprudenza di merito l'affinità permane. Dello stesso parere la Commissione europea che ribadisce che il divorzio non fa venire meno il vincolo di affinità e in particolare non fa cessare l’impedimento dell’affinità in linea retta. Altra parte della dottrina, seppur minoritaria, ritiene invece che il divorzio comporti in re ipsa la cessazione del rapporto in questione, a causa della rottura definitiva dei vincoli di affetto e solidarietà in precedenza instauratisi con i parenti dell’altro coniuge.
3.3. GRADI DI PARENTELA E AFFINITÀ COME PREVISTI DAL CODICE CIVILE:
GRADI DI PARENTELA | GRADI DI AFFINITÀ |
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Parenti di primo grado: | Affini di primo grado: |
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Parenti di secondo grado: | Affini di secondo grado: |
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Parenti di terzo grado: | Affini di terzo grado: |
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Parenti di quarto grado: | Affini di quarto grado: |
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Tra marito e moglie non vi è rapporto di parentela o affinità ma una relazione detta di coniugio che implicitamente ammette la collaborazione familiare nell'impresa.
I coniugi di tutti i parenti e gli affini del titolare rilevano, ai fini dell'iscrizione come familiari coadiuvanti ART/COM al pari del parente o affine cui sono coniugati, ma i loro familiari sono per il titolare degli estranei.
[*] L’Avv. Annalisa Brescia è funzionario ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in distacco alla DTL di Cosenza. Le considerazioni sono frutto esclusivo del libero pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l`Amministrazione di appartenenza.
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