La ritenuta del 2,50% sul TFS/TFR dei pubblici dipendenti: una questione complessa
di Stefano Stefani [*]
Sommario
La recente giurisprudenza si è espressa, in modo anche diversificato ma certamente negativo, sulla ritenuta del 2,50% sulla retribuzione utile ai fini di buonuscita e di trattamento di fine rapporto dei dipendenti pubblici. In attesa degli sviluppi, è opportuno avere una visione il più completa possibile della questione perché essa interessa, sotto svariati profili, non solo la gran parte dei dipendenti pubblici ma anche Stato nella sua qualità di datore di lavoro e di istituzione.
L’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia
Il Tribunale di Reggio Emilia, con l’ordinanza n. 108 del 5/3/2013, ha ritenuto, tra l’altro, che il ripristino della ritenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione ai fini di buonuscita (che è un Trattamento di Fine Servizio - TFS) a carico del lavoratore pubblico, disposto dall’art. 1 comma 98 della L. 25/12/2012 n. 228, potesse violare la Costituzione per disparità di trattamento rispetto ai lavoratori privati (per i quali tale trattenuta non è prevista) e tra i dipendenti pubblici in regime di TFS e quelli in regime di trattamento di fine rapporto (TFR). Il Tribunale ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale (vedere GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 21 del 22/5/2013).
Una interessante riflessione su questa ordinanza è quella proposta dall’ARAN che ritiene che il legislatore, dopo che la Corte Costituzionale si sarà espressa sull’ordinanza, non potrà esimersi dal legiferare estendendo il regime del TFR a tutti i dipendenti pubblici; tale estensione potrà essere attuata applicando esclusivamente le disposizioni dell’art. 2102 del codice civile oppure avendo presente il DPCM 20/12/1999 in materia di previdenza complementare; in ogni caso eliminando la ritenuta del 2,50% a carico del lavoratore. L’ARAN ritiene che i conseguenti oneri finanziari a carico dello Stato saranno tali da comportare una contrazione delle risorse per la previdenza complementare (ARAN, “Quarto rapporto sulla previdenza complementare nel settore pubblico contrattualizzato”, novembre 2013, pagg. 83-84).
La sentenza del Tribunale di Roma
Il Tribunale di Roma - Sezione seconda lavoro, con la sentenza 12636/2013 ha condannato una Amministrazione dello Stato alla restituzione degli importi trattenuti a titolo di ritenuta del 2,50% sulla retribuzione dei dipendenti in regime di TFR, in quanto tale ritenuta non trova giustificazione dopo la L. 228 del 2012.
La sentenza non si è pronunciata in merito alla cessazione definitiva della trattenuta ed è presumibile che l’Amministrazione ricorra in appello.
Per quanto riguarda la restituzione della trattenuta, il Ministero dell’Economia e Finanze, che ha ricevuto numerosi atti di diffida alla cessazione del prelievo del 2,50% e alla restituzione delle somme prelevate per TFS e TFR, ha comunicato che “Le norme in oggetto [quelle che dispongono la trattenuta], lungi dal prevedere la restituzione delle trattenute, confermano, invece, il permanere dell'obbligatorietà delle stesse. Per tali motivi, le richieste di cessazione e restituzione delle ritenute del 2,50% per TFS e TFR non possono essere accolte” (Ministero dell’Economia e Finanze, Sistema Noi Pa, “Atti di diffida alla cessazione del prelievo della ritenuta del 2,50%: ultime notizie” 13/3/2014).
La trattenuta del 2,50% sulla retribuzione ai fini di TFS e di TFR
La ritenuta del 2,50% sull’80% della retribuzione utile a buonuscita (normativa differente ma analoghe considerazioni per l’Indennità Premio di Servizio del personale iscritto alla ex I.N.A.D.E.L.) costituisce la quota a carico del dipendente statale che, sommata alla quota a carico dell’Amministrazione, va a costituire il contributo versato al Fondo di previdenza e credito (ora presso l’I.N.P.S.) che eroga la buonuscita alla cessazione dal servizio. Il contributo complessivo è pari al 9,60% sull’80% della retribuzione utile e viene prelevato e versato al Fondo per tutto il servizio (cf.: artt. 33-38 DPR 29/12/1973, n. 1032). La buonuscita è calcolata sulla retribuzione contributiva all’atto della cessazione rapportata agli anni di contribuzione e, come è evidente, non esiste un rapporto di proporzionalità tra contributi versati e indennità percepita.
La trattenuta del 2,50% si applica ai dipendenti in regime di TFS che sono quelli in servizio a tempo indeterminato al 31/12/2000; ma si applica anche ai dipendenti in regime di TFR, che sono quelli assunti a tempo indeterminato dal 1/1/2001, oppure in servizio a tempo determinato al 30/5/2000 o con servizio a tempo determinato in data posteriore, infine si applica anche ai dipendenti in regime di TFS che hanno aderito alla previdenza complementare e, di conseguenza, hanno optato per il TFR (art. 2 AQN 29/7/1999 e art. 1 DPCM 20/12/1999 come modificato dal DPCM 2/3/2001).
Per i lavoratori pubblici la normativa che regola il TFR è, per espressa previsione, quella dell’art. 2120 del codice civile (art. 2 comma 5 e segg. L. 8/8/1995, n. 335 e art. 2 D.P.C.M. 20/12/1999; l’art. 2120 è stato modificato dall'art. 1 L. 29/5/1982, n. 297) che non prevede alcuna ritenuta a carico del lavoratore. Il TFR, infatti, è costituito da accantonamenti annuali effettuati dal datore di lavoro pari al 100% della retribuzione utile diviso 13,5.
Considerato che l’art. 2120 cod. civ. disciplina il TFR e non prevede ritenute a carico del lavoratore, è necessario esporre perché è stata estesa anche al pubblico impiego tale disciplina e come è stata mantenuta la ritenuta del 2,50%.
Il TFR e la pensione complementare
Il legislatore ha individuato nella possibilità di adesione alla previdenza complementare di natura negoziale il motivo dell’applicazione della disciplina del TFR anche al dipendente pubblico, al fine di integrare la pensione statale che progressivamente andrà diminuendo. Questa tipologia di pensione, infatti, può essere costituita solo con quote del TFR e non con il TFS (D.Lgs. 21/4/1993, n. 124).
Il personale in regime di TFS per aderire a tali pensioni deve contestualmente optare per la trasformazione del TFS in TFR (vedere art. 3 comma 1 AQN 29/7/1999).
Il personale assunto dal 1/1/2001, o a tempo determinato con contratto di almeno tre mesi, è sottoposto fin dall’assunzione al regime del TFR e può aderire immediatamente alle forme pensionistiche complementari.
Tuttavia l’operatività dei fondi negoziali pubblici, cioè la data dalla quale ha inizio la possibilità di adesione, è di molto successiva al 1/1/2001 (Espero è operativo dal 1/1/2005; Perseo è operativo dal 15/9/2012, Sirio è operativo dal 19/10/2012), e questo comporta un periodo di versamenti più breve tra l’adesione e la pensione.
L’intervento del legislatore sulla disciplina del TFR e del contributo del 2,50%
Il legislatore aveva previsto che fosse la contrattazione collettiva nazionale a definire le modalità di attuazione della disciplina del TFR, provvedendo ad adeguare la struttura della retribuzione e della contribuzione del personale, mentre un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto dettare norme di esecuzione di quanto definito dalla contrattazione (art. 2 comma 5 e segg. L. 8/8/1995, n. 335).
Invece, prima che la materia fosse disciplinata dalla contrattazione, il legislatore ha provveduto a dettare norme che servissero da guida, demandando al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri le norme di esecuzione; la legge ha così disposto che dall’applicazione della disciplina del TFR conseguisse un adeguamento della struttura retributiva e contributiva tale da comportare l'invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici (art. 26 comma 19 L. 23/12/1998, n. 448). Questa norma ha costituito un vincolo per le successive disposizioni che ha comportato, tra l’altro, il permanere della ritenuta.
Il successivo Accordo Collettivo Quadro (AQN) del 29/7/1999 ha fissato nella misura del 6,91% la percentuale della quota annuale di retribuzione ai fini del TFR da accantonare presso l’INPS e le modalità esecutive per ottemperare al dettato del legislatore in materia di retribuzione e di contribuzione sia per i dipendenti chi si trovano già in regime di TFR, perché assunti dal 2001, sia per coloro che sono passati dal TFS al TFR a seguito dell’optzione per la pensione complementare.
L’accordo ha fissato, come disposto dalla legge, l’abrogazione della ritenuta del 2,50% ai fini di TFS (l’importo non grava più sul capitolo dell’Amministrazione relativo ai contributi a carico del lavoratore, ma su quello a carico dell’Amministrazione); ma questa soppressione è stata realizzata in modo tale da non apportare modifiche né all’imponibile fiscale (la soppressione del contributo avrebbe comportato un aumento della retribuzione lorda e, di conseguenza, un modesto aumento del prelievo fiscale) né alla retribuzione netta utile ai fini previdenziali.
Per ottenere questo risultato, secondo quanto previsto dall’art. 26 comma 19 della L. 448 del 1998, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari all’ammontare del contributo soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e dell’applicazione delle norme sul TFR, ad ogni fine contrattuale e agli effetti della determinazione della massa salariale per i contratti collettivi nazionali. Così, è di tutta evidenza che la soppressione della ritenuta non ha portato, come sarebbe stato prevedibile, ad un aumento della retribuzione netta ma appare solo “teorica” o, in altri termini, il contributo “di fatto” continua ad essere prelevato, malgrado ciò non sia previsto dall’art. 2120 cod. civ..
Successivamente all’Accordo quadro, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che, sostanzialmente, ha confermato quanto già disposto dalla legge e dall’AQN, ma con una importante aggiunta: le amministrazioni datrici di lavoro avrebbero garantito la parità contrattuale tra tutti i lavoratori pubblici (art. 1 comma 4 DPCM 20/12/1999 come modificato dal DPCM 2/3/2001 vedere anche: art. 49, comma 2, D.Lgs. 3/2/1993, n. 29 come sostituito dall’art. 45 D.Lgs. 30/3/2001, n. 165). Questa disposizione esclude pertanto la possibilità di retribuzioni “differenziate” tra i dipendenti pubblici in regime di TFS e quelli in regime di TFR, a parità di condizioni.
Oltre al permanere della ritenuta per il personale in regime di TFR non è stata applicata la norma contenuta nell’art. 2120 cod. civ. che consente, al dipendente privato, di richiedere anticipazioni dell’indennità maturata; il motivo va individuato nella mancata emanazione del relativo decreto interministeriale (per alcune tipologie di interventi, vedere art. 7 comma 3 L. 8/3/2000, n. 53 e art. 5 comma 1 D.Lgs. 26/3/2001, n.151) né ha provveduto la contrattazione di comparto (per altre tipologie di interventi, vedere art. 8 comma 3 AQN 29/7/1999 e circolare INPDAP n. 29 del 8/6/2000).
È di tutta evidenza che l’applicazione della disciplina in materia di TFR prevista dall’art. 2120 cod. civ. per i dipendenti pubblici non solo non è stata integrale, ma è stata estesa in modo del tutto particolare.
Alcune conseguenze della soppressione della ritenuta del 2,50%
È di tutta evidenza che la soppressione di una ritenuta, ritenuta ingiustificata, verrebbe giudicata positivamente dai lavoratori interessati, anche perché comporterebbe incremento della retribuzione netta. Con quali conseguenze?
Se il contributo del 2,50% a carico del lavoratore fosse stato soppresso effettivamente si sarebbe creato un aumento della massa salariare di cui è titolare il pubblico impiego nel suo complesso. Tale aumento verrebbe rilevato dall’ARAN in sede di rapporto sull’evoluzione delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti che viene inviato periodicamente al Governo, ai Comitati di settore dei comparti Regioni e Autonomie locali e Sanità, nonché alle Commissioni parlamentari competenti (art. 46, comma 3 D.Lgs. 30/3/2001 n. 165).
L’aumento dei salari avrebbe ripercussioni sulla quantificazione degli oneri posti a carico del bilancio statale da destinare alla contrattazione collettiva nazionale (più in generale, da destinare al pubblico impiego) in sede di approvazione della legge di stabilità (art. 11 comma 3 L. 31/12/2009, n. 196, vedere anche art. 2 comma 35 L. 22/12/2008, n. 203).
Questo aumento dovrebbe anche rapportarsi alla normativa che dal 2008, è stata disposta al fine di una progressiva contrazione o “blocco” degli aumenti degli stipendi e del salario di produttività del pubblico impiego fino al 2017, se non fino al 2020 e questo blocco ha interessato anche il turn over (vedere art. 67 D.L. 25/6/2008, n. 112 convertito nella L. 6/8/2008, n. 133; art. 9 D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito nella L. 30/7/2010, n. 122; art. 16 D.L. 6/7/2011, n. 98 convertito L. 15/7/2011 n. 111; art.. 1 D.P.R. 4/9/2013 n 122; art. 1 comma 452 e segg. L. 27/12/2013 n. 147; art. 13 D.L. 24/4/2014, n. 66; Ministero Economia e Finanze, D.E.F. 2014, pagg. 34,65).
Lo Stato è anche tenuto a contribuire, insieme al lavoratore, al finanziamento dei fondi pensioni complementari (art. 8 comma 1 L. 21/4/1993, n. 124); è la legge che fissa il contributo del datore di lavoro pubblico (mentre è la contrattazione che fissa il contributo a carico del datore di lavoro privato come disposto dal D.Lgs. 5/12/2005, n. 252 che ha sostituito il D.Lgs. n. 124 del 1993 ma non si applica al pubblico impiego). L’apporto dello Stato ai fondi pensioni complementari per il pubblico impiego è stato determinato in 100 miliardi di lire dall’anno 2001; tale somma è stata rideterminata dal 2004 in poi e può essere utilizzata anche ai fini del finanziamento delle spese di avvio dei Fondi di previdenza complementare (art. 74 comma 1 L. 23/12/2000, n. 388, vedere anche il comma 767 dell'art. 1, L. 27/12/2006, n. 296, art. 2 commi 501 e 502 L. 24/12/2007, n. 244, l'art. 8, D.L. 30/12/2008, n. 207 convertito L. 27/2/2009, n. 14; art. 12 comma 12-duodecies D.L. 31/5/2010, n. 78, convertito L. 30/7/2010, n. 122).
Infine, per i dipendenti in regime di TFS, che optano per la trasformazione in TFR, 1,5% dell’importo già versato ai fini del TFS viene destinato alla previdenza complementare (art. 59 comma 56 L. 27/12/1997, n. 449); tale importo è stato determinato in 200 miliardi di lire annue. Nei limiti di tale importo sono trasferite ai fondi quote degli accantonamenti annuali del TFR dei lavoratori interessati. La disposizione è estesa anche agli assunti a tempo indeterminato dal 1/1/2001 e quelli con rapporto di lavoro a tempo determinato (art. 26 comma 18 L. 23/12/1998, n. 448 e art. 11 comma 3 e 8 AQN 29/7/1999).
Il quadro complessivo di queste disposizioni, unito al ritardo nell’avvio della previdenza complementare nel pubblico impiego, evidenzia la rilevanza dell’impegno finanziario cui sono chiamate le parti coinvolte. È così necessario ricordare il Rapporto dell’ARAN in cui si teme che l’abrogazione della ritenuta del 2,50% abbia effetti negativi sulle pensioni complementari e questo andrebbe, ovviamente, ad incidere negativamente sulle giovani generazioni di dipendenti pubblici.
Ulteriori riflessioni
Alle osservazioni sopraricordate è importante affiancare alcuni elementi di carattere più ampio:
Esiste una differenza tra il lavoro pubblico e il lavoro privato, anzi una “differenza ontologica” (Consiglio di Stato, adunanza generale, parere 31/8/1992 n. 146) che trova fondamento nei principi costituzionali; tale differenza comporta una irriducibilità della disciplina del lavoro pubblico a quella del diritto privato, motivata dalla sua specialità (vedere: Suprema Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, ordinanza n. 1807 del 6/2/2003; Corte Costituzionale, sentenza 146/2008).
Questa differenza si è espressa in una mai completa privatizzazione del rapporto di impiego. Anzi, nel corso degli ultimi anni, si è assistito ad un progressivo aumento delle norme di diritto pubblico che disciplinano il rapporto di impiego (dal D.Lgs. 3/2/1993, n. 29 si è passati al D.Lgs. 31/3/1998, n. 80 ed, infine, al D.Lgs. 30/3/2001, n. 165 il quale, successivamente alla sua pubblicazione, è stato modificato con almeno cinquanta differenti disposizioni legislative).
L’INPDAP, istituto previdenziale dei dipendenti pubblici, è confluito nell’INPS formando un unico grande istituto (art. 21 D.L. 6/12/2011, n. 201, convertito L. 22/11/2011, n. 214) ma, insieme alle sue specificità, l’INPDAP ha portato anche perdite economiche e patrimoniali elevate (ad es.: risultato economico meno € 12,281 miliardi, patrimonio netto meno € 24,477 miliardi, vedere: Camera dei Deputati, Commissioni XI lavoro pubblico e privato, audizione n. 14 seduta del 28/3/2012, Audizione del Presidente dell’INPS, Antonio Mastrapasqua, pag. 5) certamente di non facile appianamento anche a motivo della riduzione del numero dei dipendenti che versano i contributi pensionistici e previdenziali.
Un segnale delle difficoltà economiche dell’INPS Gestioni dipendenti pubblici (ex INPDAP) si evidenzia proprio con riferimento alla liquidazione delle indennità di fine servizio; con norme successive è stata spostata fino ad un massimo di 24 mesi dopo la cessazione la liquidazione dell’indennità, che è corrisposta in quote a cadenza annuale (in relazione all’importo complessivo) di cui la prima è pari a € 50.000 lordi (art. 12 comma 7 del D.L. 31/5/2010, n. 78 convertito in legge con modificazioni dalla L. 30/7/2010, n. 122, l’art. 1 comma 22 del D.L. 13/8/2011 n. 138 convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 14/9/2011, n. 148, art. 1 comma 484 lettera “b” della L. 27/12/2013, n. 147). Anche l’applicazione dell’art. 12, comma 10 D.L. n. 78 del 2010 avrebbe comportato una diminuzione del TFS, perché, nell’intenzione del legislatore, determinato in modo analogo al TFR.
A completamento del quadro generale in materia di TFS e TFR, la Corte Costituzionale ha segnalato l'ingiustificata disparità di trattamento fra i dipendenti pubblici e privati in materia di indennità di fine servizio e la necessità che il legislatore provveda alla unificazione dei regimi pubblico e privato a motivo della sostanziale omogeneità dei trattamenti e, comunque, provveda a dettare una disciplina organica della indennità di fine rapporto per il pubblico impiego che sostituisca quella attuale (cf.: Corte Costituzionale sentenze 99 del 1993, 243 del 1993, 146 del 2008 e 223 del 2012).
Conclusione
Ho cercato di segnalare gli elementi che dovrebbero far ritenere che la questione della ritenuta del 2,50% sulla retribuzione utile ai fini di TFS e di TFR presenta caratteri di complessità a motivo del rilevante numero di interessi in gioco. Se questo è vero, diviene necessario contemperare queste diversità rappresentate dalla peculiarità del rapporto di lavoro pubblico e dalle richieste dei lavoratori pubblici, dalla trasformazione del TFS in TFR, dall’importanza delle pensioni complementari di natura negoziale e, infine dalle difficoltà economiche dell’INPS e dello Stato.
A modesto avviso dello scrivente, una vicenda così complessa può trovare una soluzione adeguata certamente con l’intervento del legislatore ma anche con la partecipazione di tutte le parti in causa.
[*] Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Prof. Massimo D’Antona. Stefano Stefani presta attualmente in servizio presso una Pubblica Amministrazione ove ha realizzato una lunga esperienza nel settore dei trattamenti di pensione del personale. Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione.
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