Anno XI - n° 60

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Novembre/Dicembre 2023

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Anno XI - n° 60

Novembre/Dicembre 2023

Il Jobs Act ha aumentato la precarietà?

Analisi delle dinamiche contrattuali nell’ultimo decennio


di Gianluca Meloni [*]

Gianluca Meloni 28

Premessa


Meloni 60 2La regolazione del mercato del lavoro è una tematica che coinvolge non soltanto i legislatori e gli studiosi delle discipline giuridiche, economiche e sociali, bensì è argomento di dibattito politico, di confronto spesso aspro tra le organizzazioni sindacali e datoriali. Negli ultimi venticinque anni, in Italia si sono succeduti numerosi interventi normativi: tra questi sono state tre le principali riforme che hanno avuto portata “sistemica”, ossia sono state progettate e articolate al fine di riorganizzare le dinamiche principali che regolano il funzionamento dei rapporti di lavoro, l’organizzazione dei servizi, l’equilibrio tra politiche attive e passive: il cosiddetto “Pacchetto Treu”; il Decreto Legislativo 276/2003, ispirato al Libro Bianco del quale il principale autore fu Marco Biagi; il “Jobs Act”, costituito dal complesso dei Decreti attuativi della Legge delega n. 183/2014, che sono intervenuti su numerosi ambiti del settore lavoristico.

L’aspetto di maggiore impatto del Jobs Act dal punto di vista normativo e per le conseguenze sul dibattito pubblico, è stato senz’altro l’intervento di ridefinizione delle tipologie contrattuali – tematica che costituisce l’oggetto della presente analisi – considerato quale “acceleratore” di quello che è stato da più parti considerato un progressivo “scivolamento” dal rapporto di lavoro “tipico” (il contratto di lavoro subordinato indeterminato a tempo pieno) verso altre tipologie contrattuali cosiddette “atipiche”.

Nello specifico, l’analisi proposta si concentra sull’impatto del Jobs Act sulla così detta precarizzazione dei rapporti di lavoro. Dati e grafici del presente studio sono stati ottenuti rielaborando le informazioni presenti nei Rapporti annuali sulle comunicazioni obbligatorie pubblicati negli anni 2015, 2016, 2019 e 2022 e – per quanto attiene l’andamento del Prodotto Interno Lordo e del tasso di occupazione – dalle serie storiche Istat.


Il Jobs Act


“Lavoro precario” versus “contratto a tempo indeterminato”: questa è stata la cesura fino al Decreto Legislativo n. 23 del 2015, attraverso il quale si è intervenuti al fine di rendere meno rigido il percorso di ingresso nel mercato del lavoro con il rapporto a tempo indeterminato e di renderne più agevole la diffusione. Nello specifico, il provvedimento superava le forme contrattuali maggiormente "precarizzanti" - collaborazione a progetto, associazione in partecipazione – e interveniva regolando il lavoro intermittente quello lavoro accessorio.

Il principale elemento di innovazione consisteva però nell’introduzione nel nostro ordinamento del “Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, la cui peculiarità era costituita dalla modifica dell’articolo 18 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), nello specifico dalla limitazione della tutela dei lavoratori dal licenziamento senza giusta causa e senza giustificato motivo oggettivo, prevedendo per queste due fattispecie un risarcimento monetario crescente nei primi 24 mesi, fino ad una completa “stabilizzazione”. Tale strumento deve essere però valutato nel contesto di una strategia che mirava a coniugare – in un'ottica di difesa del lavoratore e non del posto di lavoro, simile all'approccio diffuso nei principali paesi europei – una maggiore flessibilità in uscita con una più ampia tutela dei soggetti che perdono l'occupazione.

Il Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è stato radicalmente modificato dalle successive sentenze della Corte Costituzionale:

  • con la sentenza 194/2018, ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (il cd. Jobs Act) nella parte, non modificata dal cd. Decreto dignità, che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.
  • attraverso la sentenza 183/2022 la Corte Costituzionale ha evidenziato che “un'indennità costretta entro l'esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l'esigenza di adeguarne l'importo alla specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un'efficace deterrenza” [1] .


Andamento e composizione dei rapporti di lavoro attivati


Attivazioni a tempo indeterminato e a tempo determinato


Il primo aspetto analizzato riguarda le dinamiche che hanno riguardato nell’ultimo decennio le principali tipologie contrattuali in termini numerici, il contratto a tempo indeterminato e il contratto a tempo determinato. A differenza di quanto spesso emerge dal dibattito pubblico, le due fattispecie sono sostanzialmente sovrapponibili in termini normativi – natura subordinata, regolazione della contribuzione previdenziale e assistenziale, tutela del lavoratore – a esclusione del termine del contratto, il quale è definito alla stipula del contratto a TD e non è invece prevista nel rapporto a tempo indeterminato.


Meloni 60 1
Andamento delle attivazioni a TI e a TD, 2012-1016
Fonte: elaborazione su dati Rapporti annuali sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


La tabella sopra riportata indica il peso percentuale, sul totale dei rapporti di lavoro avviati (di natura subordinata e parasubordinata), delle attivazione a tempo determinato e tempo indeterminato. I dati evidenziano due aspetti: il primo attiene l’andamento delle attivazioni riguardanti le due tipologie contrattuali, che possono essere considerate stabili nel medio periodo; il secondo fa riferimento all’andamento delle curve in relazione ai principali interventi normativi in materia di contratti di lavoro.

Analizziamo i numeri: i nuovi rapporti di lavoro indeterminato (nuovi contratti e trasformazioni) erano il 20,64% (2.906.212) nel 2012 e il 18,59% nel 2021 (2.195.728). Nel periodo menzionato l’incidenza annuale ha avuto un valore medio del 20,17%, con due sole percentuali che si sono allontanate considerevolmente dalla media: il 26,05 del 2015 e il 16,52 del 2017. La crescita consistente delle attivazioni dei contratti a TI nel 2015 è stata senza dubbio dovuta in larga parte a due elementi: l’introduzione del nuovo Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti; la decontribuzione prevista per le attivazioni a tempo indeterminato, una misura complementare al Jobs Act, introdotta con la Legge di stabilità 2015. Si trattava di uno sgravio fiscale fino a 8.060 euro per ogni contratto a tempo indeterminato valido per un triennio, ridotto dal 2016 a un tetto massimo di 3.250 euro e a una durata di 24 mesi. Il beneficio ha interessato sia contratti instaurati ex novo, sia le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine. Secondo i dati Inps, le assunzioni a tempo indeterminato che hanno beneficiato dell’esonero contributivo sono state 1.079.070 nel 2015 e 413.631 nel 2016; le trasformazioni sono state invece 363.656 nel 2015 e 202.811 nel 2016.

Nello stesso periodo l’andamento dei nuovi contratti a tempo determinato è variato dal 61,15% (6.537.484) del 2012 al 65,82% (7.773.834) del 2021, con una percentuale minima del 60,97% del 2018 e massima (68,03%) del 2017, con una dinamica della curva evidentemente speculare alla curva relativa alle attivazioni a tempo indeterminato. In conseguenza dei provvedimenti attuativi del Jobs Act, le aziende potevano assumere personale con Contratto a tempo determinato con maggiore flessibilità, nel rispetto di due soli limiti: la durata massima (pari a trentasei mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi) e il numero di lavoratori assumibili a termine (pari al 20% del personale in forza, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, al 1° gennaio dell’anno di assunzione).

Successivamente, il Decreto Legge 87/2018 (“Decreto dignità”), convertito nella Legge 96/2018, ha previsto la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima del contratto a tempo determinato, con riferimento ai rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, e ha stabilito che le parti potessero stipulare liberamente un contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi (in caso di durata superiore tale possibilità era riconosciuta in presenza ragioni che giustificassero un’assunzione a termine).
Recentemente, il Decreto legge 48/2023, ha modificato nuovamente la normativa riguardante il Contratto a tempo determinato.

La riduzione delle attivazioni a tempo determinato nel periodo 2016 – 2019 è stato in parte compensato dall’incremento delle attivazioni dei contratti di lavoro intermittente a tempo determinato, passati dai 287.427 del 2016 ai 763.153 del 2019, mantenendosi comunque su numeriche superiori alle 500.000 attivazioni anche nel 2020 (520.553) e nel 2021 (683.363).


Meloni 60 2
Andamento delle attivazioni a TI e a TD, 2012-1016
Fonte: elaborazione su dati Rapporti annuali sulle Com
unicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


Andamento dei contratti di lavoro atipico


La precarizzazione dei rapporti di lavoro è un fenomeno che ha avuto un notevole impatto sociale a partire dalla fine degli anni novanta, in particolare a causa della diffusioni delle collaborazioni coordinate e continuative, una fattispecie che la normativa aveva riservato alle attività di lavoro autonomo ma che, nel periodo sopra indicato, sono state ampiamente utilizzate per rapporti di lavoro i quali erano nei loro contenuti sostanziali classificabili come lavoro dipendente, al fine di una riduzione dei costi e delle tutele dei lavoratori (cd. “rapporti di lavoro parasubordinati). Il Decreto legislativo 276/2003 è intervenuto al fine di dare forma giuridica a tale situazione di fatto, in particolare attraverso l’introduzione nel nostro ordinamento del Contratto di collaborazione a progetto, il quale si affiancava e non superava il Contratto di collaborazione a coordinata e continuativa, rispetto al quale introduceva però – pur restando nell’ambito del rapporto di collaborazione senza vincolo di subordinazione – un condizione relativa alla realizzazione di un progetto specifico.

Il Jobs Act, attraverso il testo di riordino delle tipologie contrattuali (D.Lgs. 81/2015) ha chiarito in modo definitivo l’ambiguità dei rapporti contrattuali “parasubordinati”, di fatto abrogando la disciplina del Contratto di collaborazione a progetto. Attraverso l’art. 2, c. 1 del Decreto Legislativo 81 del 2015, a partire dal 2016, è stata disciplinata dalla necessità di siglare collaborazioni coordinate e continuative prive non solo di etero-direzione (tratto sostanziale proprio del lavoro subordinato), ma soprattutto di etero-organizzazione, in altri termini rendendo sanzionabili quelle prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative dove i luoghi e dei tempi della prestazione del collaboratore fossero stati decisi da parte del committente, salvo i 5 casi derogatori previsti dal c. 2., ripristinando in questo modo due principi generali che garantiscono la legittima applicabilità dei contratti di natura autonoma e parasubordinata.

La riforma intervenuta ha causato una consistente riduzione dei contratti di collaborazione, diminuiti dai 795.860 del 2012 ai 414.194 del 2016, fino ad arrivare ad un minimo di 338,770 del 2020. Il trend negativo è ben rappresentato dal grafico seguente, relativo alle attivazioni dei contratti di collaborazione tra il 2012 e il 2021.


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Andamento delle attivazioni dei contratti di collaborazione, 2012-2021
Fonte: elaborazione su dati Rapporti annuali sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


Analizzando l’andamento delle attivazioni dei contratti di lavoro atipici con esclusione dei rapporti a TD e delle attivazioni a tempo determinato, possiamo rilevare una relazione inversamente proporzionale: nel 2016 le attivazioni a TD sono state 6.562.536 (66,82% del totale), nello stesso anno le attivazioni degli “atipici senza TD” sono state 1.006.958 (10,25% del totale); nel 2018 le attivazioni a TD sono state 6.289.937, le attivazioni degli “atipici senza TD” sono state invece 1.503.322.


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Andamento delle attivazioni di contratti Atipici senza TD e delle attivazioni a TD, 2006-2021
** Lav. Int. TD + Lav. Int. TI + Cont. Coll. + Apprendistato
Fonte: elaborazione su dati Rapporti annuali sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


Nel complesso, l’area del lavoro atipico appare stabilmente compresa tra la percentuale del 75,55% del 2018 e il 77,99% del 2021,
con l’eccezione dell’80,76% del 2017: su quest’ultimo valore incide però, in modo rilevante, la fine degli sgravi contributivi previsti dalla Legge di stabilità 2015.

Nel 2018 è presente un calo delle attivazioni a tempo determinato (6.289.937, pari al 60,97% del totale) rispetto agli anni precedenti nei quali erano state stabilmente al di sopra del 65%: in particolare nel 2017 erano state 7.507.879. Questo decremento può spiegarsi con le modifiche apportate alla normativa riguardante il Contratto a tempo determinato dal “Decreto dignità”, come precedentemente descritto.

Il calo degli avviamenti a tempo determinato è stato in parte compensato dall’incremento delle altre attivazioni di rapporti contrattuali “atipici”, passati da 1.405.120 (12,73% del totale) del 2017 a 1.503.322 del 2018 (14,57%); nello stesso periodo c’è stato anche un incremento delle attivazioni a tempo indeterminato, passate da 1.520.773 del 2017 (13,78% del totale) a 1.631.326 del 2018 (15,81%).

Il confronto tra attivazioni dei contratti di lavoro a tempo indeterminato e il complesso delle attivazioni “atipiche” (non a TI) ci fornisce un quadro sostanzialmente stabile nel tempo, che ha ricevuto un solo forte scossone in seguito all’introduzione delle riforme del Jobs Act, relativamente alle quali occorre però valutare non soltanto l’aspetto regolatorio dei contratti di lavoro, ma anche il corposo intervento di decontribuzioni previsto per le assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato nel triennio 2015-2017.


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Andamento delle attivazioni di contratti Atipici e delle attivazioni a TI, 2006-2021
* TD + Lav. Int. TD + Lav. Int. TI + Cont. Coll. + Apprendistato
Fonte: elaborazione su dati Rapporti annuali sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


Conclusioni


In conclusione, il Jobs Act ha aumentato la precarietà?

Occorre partire da un presupposto: il Jobs Act è una riforma la quale, partita con l’obiettivo di ridefinire l’intero complesso delle politiche del lavoro nel nostro paese, non è giunta a compimento, principalmente per due ragioni. La prima, l’incagliamento del Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, in seguito alle sentenze della Corte Costituzionale; la seconda ragione è la mancata riforma del Titolo V della Costituzione, che prevedeva una rideterminazione del quadro della ripartizione delle competenze tra Stato e regioni e – in tale contesto – uno spostamento a livello nazionale delle competenze in materia di politiche attive del lavoro. Il Jobs Act non ha aumentato, in definitiva, la precarietà, ma ha generato dei sussulti: nel breve periodo ha generato un incremento delle attivazioni a tempo determinato e indeterminato, e un brusco rallentamento delle collaborazioni, ma nel medio periodo le dinamiche occupazionali rispondono soprattutto ad altre e più complesse cause.

I dati sopra analizzati mostrano in modo evidente come gli interventi normativi intervenuti negli ultimi decenni anni abbiamo modificato i valori delle attivazioni a tempo indeterminato solo nel brevissimo periodo, per poi riassestarsi su valori non distanti dalle numeriche precedenti.

Meloni 60 1La definizione di strumenti contrattuali adatti alle rapide evoluzioni del contesto produttivo e di quello sociale, possono incidere in modo positivo – o negativo – sulle dinamiche occupazionali, ma questo avviene nell’ambito di un ecosistema sociale ed economico altamente complesso: le politiche del lavoro, per poter avere un impatto rilevante, devono interfacciarsi con le politiche della formazione, dell’istruzione, con una politica industriale adeguata. Altresì, gli interventi di riforma non devono rispondere a esigenze contingenti di consenso elettorale, ne piegarsi alle spinte ideologiche di una parte politica, bensì devono essere calibrate tenendo conto delle necessità produttive, delle esigenze di vita dei lavoratori, della competitività delle imprese: un giudizio sulle modifiche normative, anche quelle realizzate da parti politiche avverse, dovrebbero rispondere sempre all’effettiva incidenza nel tempo sulle dinamiche sociali ed economiche in tutta la loro complessità e non solo alla norma astratta, poiché “Il diritto studia il dover essere e non l’essere, la regola e non il fatto regolato, tuttavia di quest’ultimo occorre avere una certa conoscenza per comprendere l’effettivo significato delle norme” [2] . Quadrato Rosso

Note

[1] Corte Costituzionale, sentenza n. 183 del 2022.

[2] Antonio Vallebona, Breviario di Diritto del Lavoro, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017.

[*] Operations Manager presso una multinazionale del settore ICT. Ambiti di studio: politiche attive del lavoro; contratti di lavoro; rapporto tra lavoro e innovazione tecnologica. www.innovazionelavoro.it

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