Commento a Cassazione, sezione Lavoro, n. 24755 del 31 gennaio 2023
Il contratto di lavoro prevede il compimento di un’attività con pagamento di corrispettivo e, per definizione, non reca alcuna scadenza temporale. Esso, infatti, nasce come contratto a tempo indeterminato risultando l’apposizione di un termine quale eccezione alla regola generale.
L’accordo quadro concluso dalla CES, dall’UNICE e dalla CEEP relativo alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 29 giugno 1999recepita dall’art. 1, comma 1 del D.Lgs n. 368 del 6 settembre 2001, nella sua prima formulazione, legittimava la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato solo in presenza di esigenze:
Tali riferimenti sono stati cancellati con la modifica del 2014, impostazione confermata con il D.Lgs n. 81 del 15 giugno 2015 superato dalla legge n. 96 del 9 agosto 2018 che ripristina l’obbligo di indicare le causali.
Il fondamento logico-giuridico della previsione è quello di evitare il ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato e contrastarne l’utilizzo coerentemente con l’accordo quadro CES, UNICE e CEEP che chiede agli Stati membri di esigere ragioni obiettive per giustificare il rinnovo dei contratti a termine, di stabilire a priori la durata totale massima e il numero dei rinnovi. Tale finalità può essere perseguita attraverso la scelta discrezionale degli strumenti da utilizzare coniugando la necessità di flessibilità delle imprese con il rispetto della parità di trattamento dei lavoratori interinali. Le misure, dunque, devono essere idonee ad impedire abusi ed elusioni da parte dei datori di lavoro. Ciò si verifica sia introducendo l’obbligo di apporre specifici motivi che inducono alla stipulazione del contratto a tempo determinato sia fissando un limite quantitativo di rinnovi, sintomo di bisogni temporanei.
La Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 24755 del 31 gennaio 2023 analizza la pronuncia della Corte di appello di Brescia con cui è stata confermata la decisione del Tribunale della stessa città che ha dichiarato il ricorrente decaduto dai termini di impugnazione degli otto contratti a tempo determinato.
Due le doglianze sollevate:
La Suprema Corte ritiene infondato il primo motivo di ricorso applicando, per analogia, i principi affermati in relazione ai contratti di somministrazione a tempo determinato. L’impugnazione stragiudiziale dell’ultimo contratto non si estende a quelli precedenti in quanto per ciascuno il riferimento è alla data di scadenza originariamente pattuita.
Ad eccezione dei casi specificamente previsti dalla legge per cui la reiterazione del contratto comporta la trasformazione a tempo indeterminato, in nessuna altra ipotesi la ripetizione di un contratto a termine può ingenerare un affidamento nel lavoratore degno di tutela.
Il singolo contratto deve essere considerato nella sua unicità e non in maniera unitaria con conseguente rispetto del proprio termine di impugnazione.
Né tale esegesi contrasta con la normativa unionale diretta esclusivamente agli Stati Membri senza alcun obbligo di disapplicazione per le autorità giudiziarie.
Il secondo motivo di ricorso, relativo ai presupposti di legittimità dell’utilizzo del contratto a tempo determinato, è stato accolto dalla Cassazione.
La norma applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio è l’art. 1 comma 1 del D.Lgs n. 368 del 2001 nella versione in vigore al momento della conclusione del contratto, il 19 gennaio 2015, che, per la stipula dei contratti acausali, dispone la durata non superiore ai trentasei mesi, comprese le proroghe, con un limite del 20% del numero di lavoratori computati al 1° gennaio dell’anno dell’assunzione.
La Corte afferma che l’accertamento giudiziale sull’abusiva reiterazione non è impedito dalla decadenza della facoltà di impugnare i contratti precedenti se l’ultimo della serie è stato oggetto di contestazione stragiudiziale. L’intera serie di negozi rileva come fatto storico valutabile dal giudice ai fini del computo della durata massima dei trentasei mesi.
Nel merito gli Ermellini, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia, specifica che la temporaneità dell’esigenza deve essere valutata in modo unitario e in relazione all’intera vicenda contrattuale con riguardo alle modalità complessive di svolgimento del rapporto a prescindere dalla decadenza della possibilità di impugnare ogni singolo contratto che si è susseguito nel tempo.
Il contratto a tempo determinato rappresenta un’eccezione alla regola generale dell’indeterminatezza del termine del rapporto di lavoro. Se da un lato si consente all’impresa maggiore flessibilità, dall’altro si penalizza il lavoratore che vede ricadere le incerte professionali anche sulle scelte di vita privata.
L’aspetto che desta maggiori preoccupazioni è, infatti, l’abuso di questo strumento, di sovente, utilizzato esclusivamente per eludere la normativa civilistica e, soprattutto, quella in materia fiscale. La necessità è quella di bilanciare due esigenze legittime, ma contrapposte. Da un lato la flessibilità richiesta dal mondo del lavoro fondamentale per soddisfare i bisogni di carattere economiche; dall’altro la stabilità del lavoratore che domanda l’indeterminatezza del rapporto per ottenere certezze professionali.
Sebbene, dunque, il ricorso al contratto di lavoro a tempo indeterminato non può essere vietato tout court è il legislatore che deve intervenire normativamente per definirne la cornice di liceità dell’impiego. Si dovrebbero, in tal modo, evitarne l’uso distorto per fini che esulano dal fondamento logico- giuridico dell’istituto in esame. I vantaggi della durata temporanea del rapporto di lavoro, tra cui flessibilità, possibilità di variegare le esperienze professionali e di allargare il proprio bagaglio di conoscenze, devono sempre essere comparte agli svantaggi, primo tra tutti, l’instabilità e l’incertezza che ne conseguono.
Preoccupa la conclusione, sempre più frequente, di contratti di lavoro del genere in esame anche da parte delle pubbliche amministrazioni che, per definizione, siglavano, per la maggior parte, rapporti a tempo indeterminato. A disperdersi, in questi casi, la professionalità acquisita e il tempo di formazione delle risorse. Vantaggi e svantaggi per la fattispecie oggetto della sentenza della Suprema Corte in commento che devono essere analizzati dettagliatamente e ben ponderati nei limiti stabiliti dalle disposizioni di legge per far buon uso del contratto di lavoro a tempo determinato.
[*] In servizio presso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, DG Politiche Previdenziali e Assicurative, Divisione I. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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