La proposta di legge concernente disposizioni per l'istituzione del salario minimo, Atto Camera n. 1275, adottata come testo base per l'esame in Commissione lavoro, e il parere reso dal CNEL sulla richiesta del Governo, hanno riportato la vexata quaestio del salario minimo all'ordine del giorno del dibattito.
L'iniziativa parlamentare assume come presupposto il crescente numero di lavoratori esposti al rischio povertà che si accompagna anche alla crescita della distanza che separa i lavoratori poveri in Italia rispetto al resto dei lavoratori dell'Unione Europea. Circostanza peraltro puntualmente evidenziata dal Gruppo di lavoro interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa istituito dal Ministro del lavoro con decreto n. 126/2021.
Nella relazione che accompagna la proposta di legge vengono illustrate le ragioni che ostacolano il diritto a percepire una giusta retribuzione, di cui la principale viene individuata nella proliferazione dei contratti collettivi pirata, diffusi soprattutto in alcuni settori, stipulati da sindacati dotati di scarsa o inesistente rappresentatività, finalizzati a fissare condizioni economiche e normative peggiorative per i lavoratori rispetto alla previsione dei contratti collettivi stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi. Una forma di dumping contrattuale.
Altre ragioni sono individuate nella frammentazione dei settori di attività connessa a mutamenti economici, organizzativi e tecnologici. La relazione si conclude con la considerazione della necessità che l'attuale assetto della contrattazione collettiva debba essere sostenuto e promosso dall'ordinamento statuale al fine di garantire a tutti i lavoratori in Italia l'applicazione di trattamenti retributivi dignitosi.
Il testo normativo, oltre ad un inevitabile riferimento all'articolo 36 della Costituzione, sul diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, si limita a prevedere che il trattamento economico minimo orario stabilito dal contratto collettivo non possa comunque essere inferiore a 9 euro lordi.
In sostanza, viene fissata una tariffa minima oraria e non viene tenuto conto dell'articolato e complesso corpo degli istituti contrattuali che comunque incidono sul trattamento economico complessivo come orario di lavoro, lavoro straordinario, riposi, ferie, infortuni, malattie, maternità.
L'esame del provvedimento in Commissione lavoro alla Camera ha avuto inizio il 12 luglio 2023 con un iter decisamente orientato dal rappresentante del Governo in Commissione secondo cui, “ad avviso del Governo, l'introduzione di un salario minimo non rappresenta la soluzione ottimale per risolvere le indubbie difficoltà che devono affrontare talune categorie di lavoratori. Peraltro la stessa Direttiva UE 2022/2041 impone l'introduzione di una soglia minima solo nei Paesi che, a differenza dell'Italia, sono privi di meccanismi di contrattazione”. E così il provvedimento è stato rapidamente licenziato per l'esame in Assemblea senza il conferimento del mandato al Relatore e senza avere proceduto all'esame degli emendamenti, tra i quali il più significativo è quello 1.3, ad iniziativa di un gruppo di deputati della maggioranza di Governo, che prevede la soppressione dell'intero testo.
L'esame in Assemblea è stato ancora più rapido. L'Assemblea, infatti, alla prima seduta ha deliberato di sospendere l'esame del provvedimento per sessanta giorni. Terminato il periodo di sospensione, L'Assemblea della Camera, nella seduta del 18 ottobre 2023, ha rinviato il testo della proposta in Commissione per svolgere una ulteriore fase istruttoria in sede referente alla luce di un approfondimento svolto dal CNEL.
La Commissione Lavoro ha ripreso l'esame del provvedimento che è proseguito nelle sedute dell'8, 21, 23 e 28 novembre. Nel corso di quest'ultima seduta è stata approvata la proposta di emendamento 1.6, presentata dai gruppi di maggioranza, che ha sostituito l'intero testo originario e che contiene una delega al Governo ad adottare entro sei mesi uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva.
Nella fissazione dei principi e criteri direttivi, cui il Governo deve attenersi, viene fatto un generico riferimento ai contratti collettivi maggiormente applicati e non a quelli maggiormente rappresentativi. Ciò è bene evidenziato dal Comitato per la legislazione della Camera quando rileva che non viene specificata la categoria dei contratti collettivi maggiormente applicati anche alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia di definizione degli indici di rappresentatività delle associazioni sindacali (sentenze n. 30/1990 e n. 231/2013).
Nella seduta del 29 novembre la Commissione Lavoro ha licenziato per l'Aula il testo del provvedimento come risultante dalla proposta emendativa approvata.
Il 6 dicembre l’Assemblea della Camera ha approvato, in prima lettura, il provvedimento nell'identico testo licenziato dalla Commissione.
Occorre rilevare come, nel caso specifico, gli istituti della procedura parlamentare non abbiano potuto garantire un percorso di ordinaria dialettica parlamentare. Al contrario, si è trattato di un iter scandito, inizialmente, dall'approvazione di un emendamento soppressivo del provvedimento, una successiva decisione dell'Assemblea di sospensione dell'esame, poi un rinvio in Commissione e, infine, l'approvazione di una proposta di legge delega al Governo che si allontana, e di molto, dal testo originario. Un percorso accidentato in fondo al quale la proposta originaria si è dissolta.
Il CNEL su specifica richiesta del Presidente del Consiglio dei ministri ha reso un parere di osservazioni e proposte in materia di salario minimo. Richiama, in via preliminare, la Direttiva UE 2022/2041 volta allo sviluppo della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e l'effettivo accesso dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo. E che chiede agli Stati membri di istituire un quadro procedurale per fissare e aggiornare i salari minimi.
Nelle osservazioni conclusive del documento, dà atto della complessità delle cause che concorrono all'aggravarsi del problema del lavoro povero e dell'impossibilità di risolverlo con soluzioni semplicistiche. Tuttavia richiama la centralità del sistema di contrattazione collettiva da intendersi non solo come fonte di regolazione dei rapporti individuali di lavoro ma, soprattutto, come un meccanismo istituzionale di autogoverno delle dinamiche della domanda e dell'offerta di lavoro, in quanto sede naturale della dialettica tra istanze economiche e sociali proprie del mercato del lavoro.
Riguardo alle proposte, raccomanda di garantire il regolare funzionamento della contrattazione collettiva ma non attraverso interventi legislativi, bensì attraverso la valorizzazione di accordi interconfederali così come è stato nel 1992 per il protocollo Ciampi-Giugni tra Governo e parti sociali su politica dei redditi, occupazione e assetti contrattuali.
Un richiamo, quest'ultimo, che appare dettato più che altro da nostalgia del recente passato più che da una concreta ipotesi percorribile considerato che afferisce ad un'altra stagione, caratterizzata da grande autorevolezza dei corpi sociali intermedi e da altrettanta autorevolezza dei soggetti istituzionali.
Per arginare la proliferazione dei cosiddetti contratti pirata il CNEL suggerisce un intervento legislativo che individui i contratti collettivi maggiormente diffusi, presenti nella banca dati dello stesso organismo, e che vincoli il giudice, chiamato a determinare il giusto salario, ex articolo 36 Cost., a fare riferimento al trattamento economico complessivo ordinario e normale.
Un suggerimento che sembra non tenere conto del fatto che la giurisprudenza, a fronte della mancata attuazione dell'articolo 39 della Costituzione, sull'efficacia generale dei contratti collettivi di categoria, ha svolto un ruolo di supplenza interpretando l'articolo 36 Cost., non come norma programmatica, ma come norma immediatamente precettiva invocabile in giudizio in combinazione con l'articolo 2099 del codice civile.
Una giurisprudenza che ha avuto inizio nel 1952 con la storica sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 461 del 21 febbraio 1952 con la quale è stato sancito il diritto dei lavoratori alla giusta retribuzione a prescindere dalla iscrizione ai sindacati stipulanti i contratti collettivi di diritto privato.
E comunque il fatto che il singolo lavoratore debba, in ipotesi estrema, intraprendere la via giurisdizionale per ottenere il riconoscimento del giusto salario non può essere considerato né accettato come un rimedio strutturale nella Repubblica fondata sul lavoro.
Inoltre, non si comprendono le ragioni per cui la magistratura debba essere chiamata a svolgere un ruolo di supplenza nel Paese in cui la Carta costituzionale, per scelta dei Padri costituenti esclude ogni previsione di salario minimo per legge e affida tale compito all'autonomia contrattuale. Tutto ciò nella considerazione che i contratti erga omnes, previsti dall'articolo 39, avrebbero dovuto provvedere a fissare in via generale i minimi di trattamento economico e normativo, che escludono in nuce una illecita concorrenza tra le imprese. Tra quelle, cioè, che utilizzano i cosiddetti contratti pirata e le imprese che applicano i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Le conclusioni cui sono pervenuti il Parlamento, nell'esame della proposta di istituire per legge un salario minimo e il CNEL nel suo parere al Governo, legittimano la considerazione che la povertà lavorativa, che nel dibattito pubblico è spesso collegata a salari insufficienti, va ben oltre il salario e riguarda tempi di lavoro, riposi, forme di retribuzione, aumenti periodici, composizione del nucleo familiare del lavoratore. E quindi l'insieme di norme che attengono al complessivo trattamento economico e normativo dei lavoratori, che non può trovare composizione né nel salario minimo orario di 9 euro lordi, né nelle riflessioni del CNEL e né nella proposta di delega al Governo dai contorni, peraltro, non bene specificati.
Appare quindi necessario percorrere la via maestra di un intervento legislativo di attuazione dell'articolo 39 della Costituzione che, così come chiede la UE, garantisce l'adeguatezza dei salari minimi e del trattamento normativo e il loro progressivo aggiornamento, e potenzia l'accesso effettivo di tutti i lavoratori alla tutela del salario minimo e delle altre condizioni di lavoro.
Costituzione della Repubblica Italiana
ART. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
ART. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
ART. 39. L’organizzazione sindacale è libera.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Codice Civile
ART. 2099. (Retribuzione). La retribuzione del prestatore di lavoro puo' essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.
In mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione e' determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali.
Il prestatore di lavoro puo' anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura.
[*] Ex ispettore del lavoro, funzionario dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, del Dipartimento della Funzione pubblica, dirigente del settore legislativo della Regione Campania e successivamente responsabile delle Relazioni sindacali del Comune di Roma. Attualmente svolge attività di consulente del lavoro.
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