Viviamo in un’epoca dominata da molteplici tensioni e sfide esistenziali di fronte alle quali fatichiamo a fare fronte comune. Sfide che minacciano le prospettive di uno sviluppo socio-economico sostenibile ed inclusivo e che sono aggravate dall’approssimarsi di un catastrofico “punto di non ritorno climatico”.
L’umanità si trova – con le parole dello storico Adam Tooze – nel mezzo di una policrisi con “shock che interagiscono tra loro in modo tale da rendere l’impatto complessivo di gran lunga più grande della somma dei singoli effetti e da farci perdere il senso della realtà”. Le recenti crisi – la pandemia da COVID-19, la crisi alimentare ed energetica, lo shock inflattivo, la crisi climatica, i conflitti internazionali in corso – si sono sovrapposte ed amplificate a vicenda, investendo simultaneamente i sistemi ecologico, economico, politico e sociale e acuendo le nostre fragilità. Quel che a prima vista potrebbe configurarsi come una nefasta congiuntura è tuttavia – come argomenta, in maniera più che condivisibile, Tooze – il risultato dell’accumulazione di problemi negati o affrontati con soluzioni temporanee scarsamente adeguate, preferite a un ripensamento sistemico dell’esistente.
Le crisi hanno rivelato fratture di lungo corso che caratterizzano le nostre società e scardinato alcune false narrazioni come quella di “trovarci tutti sulla stessa barca”. Se è vero che solchiamo le acque dello stesso mare, alcuni sono però comodamente sistemati in super-panfili mentre troppi occupano un posto su imbarcazioni mal messe e alla deriva.
L’ultimo rapporto annuale di Oxfam, “Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi”, restituisce la fotografia di quello che non stentiamo a definire come l’inizio del “decennio dei grandi divari”. Dall’inizio della pandemia alla fine del 2023 i 5 uomini più ricchi al mondo hanno più che raddoppiato le proprie fortune, a un ritmo di 14 milioni di dollari all’ora, mentre la ricchezza aggregata di quasi 5 miliardi delle persone più povere non ha mostrato barlumi di crescita in termini reali. Ai ritmi attuali, nell’arco di un decennio potremmo avere il primo trilionario della storia dell’umanità, ma ci vorranno oltre due secoli perché l’incidenza della povertà estrema scenda sotto la soglia dell’1%. La ricchezza resta fortemente concentrata nel Nord globale, dove vive soltanto il 21% della popolazione mondiale, ma dove è localizzato il 69% dei patrimoni netti privati ed il 74% della ricchezza miliardaria globale (Figura 1).
Figura 1 - Fonte: Calcoli di Oxfam sulla base dei dati della lista Forbes dei miliardari e del Global Wealth Report 2023 di UBS-Credit Suisse
La dinamica della concentrazione della ricchezza non dovrebbe sorprenderci. Per i più facoltosi le poste patrimoniali hanno prevalentemente natura finanziaria e la proprietà dei titoli finanziari è fortemente concentrata al vertice della piramide distributiva: la quota di ricchezza finanziaria dell’1% più ricco globale è prossima al 60%. Sette tra le dieci più grandi imprese al mondo hanno un miliardario come amministratore delegato o azionista di riferimento e l’accresciuto valore in borsa delle grandi imprese riflette la loro eccezionale performance negli ultimi anni. Il 2023 è, in particolare, l’esercizio che rischia di passare agli annali come il più redditizio di sempre. Complessivamente, 148 tra le più grandi aziende al mondo hanno registrato profitti per circa 1.800 miliardi di dollari tra luglio 2022 e giugno 2023 con un aumento del 52,5% degli utili rispetto alla media dei profitti nel quadriennio 2018-21. Per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 tra i maggiori colossi globali analizzati da Oxfam, 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari. Molto poco è andato invece al fattore lavoro che pure contribuisce alla creazione di valore, ma che è sistematicamente ricompensato in modo inadeguato. A maggior ragione in un periodo di crisi che ha visto i salari di 800 milioni di lavoratori in 52 Paesi non tenere il passo dell’inflazione.
I divari economici e sociali preoccupano i cittadini, alimentano un diffuso sentimento di frustrazione, impotenza e perdita di controllo sul proprio futuro. Marcate disparità rischiano oggi di essere normalizzate e considerate come un fenomeno casuale ed ineluttabile. Non c’è nulla di più erroneo. Le disuguaglianze sono piuttosto il risultato di scelte (o, talvolta, non-scelte) della politica che hanno prodotto negli ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse, dotazioni, opportunità e potere tra gli individui.
La dinamica del potere rappresenta la principale chiave narrativa del rapporto di Oxfam.
Ad essere affrontata in primo luogo è la dimensione economica del potere, la cui accresciuta concentrazione – sospinta dal rilassamento delle politiche di tutela della concorrenza e “agevolata” dalla finanziarizzazione dell’economia e dalla sempre più marcata presenza del settore privato nella sfera pubblica – ha incrementato le rendite di posizione, indebolito il potere contrattuale dei lavoratori, soprattutto quelli meno qualificati, e prodotto forti sperequazioni nei premi distribuiti dai mercati. Siamo in presenza, con le parole del Premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, di una forma di “redistribuzione alla rovescia” con un trasferimento di risorse da lavoratori e consumatori a titolari e manager di grandi imprese monopolistiche con conseguente accumulazione di enormi fortune nelle mani di pochi.
Tra le cause dietro l’aumento delle disuguaglianze non si può neppure ignorare – come osservano gli economisti Maurizio Franzini e Mario Pianta con riferimento alle economie avanzate – il ruolo del potere politico che da tempo si interessa sempre meno di questioni rilevanti per il benessere economico dei meno abbienti, come la progressività delle imposte, il controllo degli affitti o percorsi efficaci di inclusione sociale e lavorativa.
In Italia le disuguaglianze da tempo si intrecciano, sovrappongono e si rafforzano nel passaggio tra le generazioni, disegnando strutture di opportunità individuali e collettive e modalità di cittadinanza differenziate per diversi gruppi sociali e territori, profondamente ridimensionate per chi si trova nelle periferie esistenziali ovvero all’intersezione di multipli fattori di svantaggio legati all’appartenenza sociale e al grado di sviluppo del contesto territoriale in cui vive.
Da oltre due decenni assistiamo al fenomeno dell’“inversione delle fortune” con la crescita della quota di ricchezza del 10% degli italiani più ricchi e un calo della quota del 50% più povero dei nostri connazionali (Figura 2).
Gli squilibri distribuzionali certificano quanto differenziata sia la resilienza economica dei cittadini (ovvero la loro capacità di resistere a shock di spesa attesi o imprevisti come quelli legati, ad esempio, all’insorgere di una malattia o alla perdita dell’impiego), a maggior ragione in una fase storica caratterizzata da una crescente vulnerabilità ed insicurezza finanziaria per un numero elevato di individui.
Le disparità patrimoniali informano inoltre su quanto differenziati siano gli standard di vita presenti e le future traiettorie di benessere individuale nella nostra società. Cristallizzano le differenze di opportunità nell’accesso a credito ed investimenti, a migliori istruzione, formazione e posizioni lavorative. Persistendo nel passaggio da una generazione all’altra, le disparità limitano la mobilità intergenerazionale. Definiscono inoltre capacità diversificate dell’esercizio di controllo su risorse produttive e di influenza delle decisioni pubbliche.
Figura 2 - Fonte: Stime condivise dagli autori del Global Wealth Report 2023 di UBS-Credit Suisse, rielaborazione di Oxfam
L’Italia occupa da tempo le prime posizioni in UE per la disuguaglianza dei redditi. La povertà assoluta ha una diffusione che ha superato i livelli di guardia e non è più da tempo un fenomeno che riguarda il solo Sud d’Italia o le coorti più anziane. L’aumento tra il 2021 e 2022 dell’incidenza della povertà assoluta è attribuibile in larga parte – e malgrado il buon andamento dell’economia italiana nel 2022 – all’impennata dell’inflazione e ai suoi impatti più incisivi sulle famiglie a bassa spesa rispetto a quelle benestanti.
La dinamica del 2023 risentirà verosimilmente del rallentamento dell’economia nazionale e della minore capacità delle famiglie di fare affidamento sui propri risparmi. Peseranno anche la riduzione delle misure compensative contro l’impennata dei prezzi nella fase di rientro dall’inflazione, e la portata degli strumenti di welfare che hanno sostituito il reddito di cittadinanza, destinate, nelle stime del Comitato Scientifico dell’Alleanza Contro La Povertà, ad aumentare povertà, disuguaglianza dei redditi ed esclusione sociale.
Alcuni segnali positivi, come i valori record del tasso di occupazione o di attività nel 2023, non devono distogliere l’attenzione dai problemi strutturali del mercato del lavoro nazionale. Persistono ampi squilibri territoriali tra aree ad alta e bassa occupazione oltre che forti ritardi rispetto agli indicatori UE o di Paesi omologhi all’Italia, come Francia e Germania. Ancora, il miglioramento registrato dagli indicatori italiani risulta sempre più “agevolato” dalla dinamica demografica negativa.
Tanti nodi restano ancora irrisolti come la perdurante stagnazione salariale e la contenuta produttività del lavoro, i forti ritardi occupazionali, la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico – un riflesso delle politiche di flessibilizzazione implementate a partire dalla fine degli anni Novanta – che ha comportato, secondo recenti analisi empiriche di Banca d’Italia, un aumento marcato delle disuguaglianze retributive e ampliato le fila dei working poor.
L’accresciuta consapevolezza per gli effetti nocivi delle elevate disuguaglianze sull’economia, sulla coesione sociale e sulla qualità delle nostre democrazie, stenta a tradursi in un’azione di contrasto alle disparità decisa ed efficace. L’esecutivo Meloni non fa eccezione: l’azione di governo nel primo anno della nuova legislatura si è caratterizzata più per il riconoscimento e la premialità di contesti ed individui che sono già avvantaggiati che per una lotta determinata contro meccanismi iniqui ed inefficienti che accentuano le divergenze nelle traiettorie di benessere individuale.
La riforma del reddito di cittadinanza, istituto che ha contenuto la diffusione della povertà e le disuguaglianze in Italia, farà sì che nel nostro Paese non basterà più essere indigenti per ottenere un supporto continuativo nel tempo, ma si dovrà anche ricadere in una categoria ritenuta eccezionalmente svantaggiata. Chi non vi afferisce, anche se in condizioni di bisogno, dovrà cavarsela quasi da solo. È un povero abile che non ha più scusanti per non accedere al mercato del lavoro. Non importa che ne sia magari lontano da tempo, che non abbia competenze spendibili o che le opportunità di impiego territoriali siano carenti.
La mancanza di una chiara politica industriale, orientata alla creazione di buoni posti di lavoro, è di fatto una rinuncia a contrastare l’indebolimento dell’economia e a riqualificare lo sviluppo del Paese in campo tecnologico e ambientale. L’ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine e del lavoro occasionale rischia di rafforzare la trappola della precarietà. L’opposizione al salario minimo legale si connota come una scelta emblematica di un profondo disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti, impiegati in settori in cui la forza dei sindacati è minima.
Sul fronte delle politiche fiscale l’anno passato verrà ricordato per una riforma del fisco priva, a differenza dello schema di riforma del Governo Draghi, di un solido modello di riferimento, che svilisce la progressività impositiva, esacerba le iniquità orizzontali, legittima ed incentiva l’evasione.
Cambiare rotta è necessario. Garantire un futuro più equo e dignitoso per tutti è un imperativo morale. Misure per un fisco più giusto, politiche che ridiano potere, dignità e valore al lavoro, un sistema di welfare a vocazione universalistica che tuteli in modo equo chiunque si trovi in condizione di bisogno rappresentano alcuni dei tasselli dell’agenda per l’uguaglianza che proponiamo. Un’agenda orientata a promuovere economie più inclusive e società più dinamiche e coese, a favorire la partecipazione piena e attiva dei cittadini alla vita economica e politica del Paese, mettendoli in condizione, con le parole del Premio Nobel per l’Economia Amartya Sen, di “fare ed essere ciò cui aspirano nella propria vita”.
[*] Policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia
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