Nell’ordinamento italiano il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto è frutto di un lungo cammino caratterizzato da un andamento altalenante fino all’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76, meglio nota come Cirinnà, dal nome della relatrice, che regolamenta le unioni civili per le coppie omosessuali e le convivenze per quelle eterosessuali.
I problemi esegetici originano dal disposto degli artt. 29 e 30 Cost. riferito alla famiglia nucleare fondata sul matrimonio, sul negozio solenne e sull’affectio coniugalis.
Nella famiglia di fatto manca l’atto formale in quanto nucleo spontaneo formato da persone di sesso diverso in comunione durevole di vita e interessi.
I caratteri delle unioni di fatto sono:
Prima dell’intervento legislativo del 2016 è stata la giurisprudenza ad estendere al convivente more uxorio le tutele previste per il coniuge.
In ambito penale tramite l’interpretazione estensiva di alcune norme, tra cui l’art. 649 c.p. (Non punibilità a querela della persona offesa per fatti commessi a danno dei congiunti) e il 384 c.p. (Casi di non punibilità).
Nel settore civile, ad esempio, è stata riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale da lesione parentale anche per uccisione del convivente. In tal caso, si è in presenza di un danno ad un diritto proprio tutelato dall’art. 2 Cost. sempre che ci sia la durata e la stabilità del rapporto. Unica peculiarità l’impossibilità per il convivente di avvalersi di presunzioni.
Ancora la giurisprudenza civile si è pronunciata in diversi ambiti:
Con l’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 cambia lo stato di fatto delineato costituito esclusivamente da contributi esegetici e dottrinari.
Vengono disciplinati i rapporti patrimoniali tra conviventi, le relazioni lavorative nell’impresa familiare, i diritti previdenziali.
Si riconoscono, pertanto, diritti concreti anche alle coppie di fatto con possibilità per quelle omosessuali di formalizzare il loro rapporto mediante l’unione civile.
Si tratta di misura previdenziale riconosciuta ai superstiti del titolare del trattamento e consistente in una prestazione periodica.
Si possono distinguere due diverse tipologie:
I familiari che possono beneficiare del trattamento sono il coniuge e i figli e, in loro assenza e al cospetto delle condizioni di legge, i genitori o fratelli celibi e sorelle nubili. Al coniuge la pensione spetta anche in caso di separazione legale. Se essa è avvenuta con addebito il diritto è riconosciuto se il coniuge è titolare di assegno alimentare.
Per aver accesso al beneficio è necessario risultare a carico del defunto.
L’importo varia a seconda del soggetto cui è erogata. Se è presente solo il coniuge ha diritto ad un trattamento pari al 60% di quello che spettava al titolare. Il 70% spetta al figlio se è unico e in assenza del coniuge; se i figli sono due la quota è pari al 40%; se sono tre la percentuale è piena con riparto egualitario. Se vi sono sia il coniuge che un figlio la percentuale è dell’80%. Per tutti gli altri familiari aventi diritto la percentuale è del 15%.
Se il trattamento va liquidato solo in base al sistema contributivo e non sono presenti i requisiti per la pensione ai superstiti viene erogata un’indennità una tantum pari al prodotto tra l’importo dell’assegno sociale e il numero delle annualità accreditate a favore dell’assicurato.
Vi può essere una trattenuta se il titolare della pensione è in possesso di redditi superiori a determinati limiti considerati tutti quelli assoggettati all’Irpef.
La legge n. 76 del 2016 riconosce il diritto alla pensione di reversibilità al superstite di coppia unita civilmente sia omosessuale che eterosessuale.
A seguito dell’entrata in vigore di tale disciplina è sorta la questione, alimentata da un cospicuo contenzioso in materia, della portata retroattiva della previsione con riconoscimento del diritto anche in favore del convivente di fatto deceduto prima dell’entrata in vigore della legge.
Sul punto vi sono state pronunce contrastanti.
Il Giudice del Lavoro di Milano ha fornito risposta negativa al quesito summenzionato[1].
Al contrario, la Corte di Appello di Milano ha riformato il provvedimento impugnato attribuendo il diritto alla pensione di reversibilità al partner superstite quale diretta emanazione dell’art. 2 Cost. ovvero come tutela del singolo nelle formazioni sociali cui appartiene[2].
La Corte di Cassazione, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, ha stabilito l’irretroattività della legge n. 76 del 2016 cassando la sentenza della Corte di Appello di Milano e non riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità al partner superstite di coppia omosessuale prima della Cirinnà, in assenza di una formalizzazione dell’unione[3].
Tale orientamento è stato ribadito dalla Suprema Corte con l’ordinanza 16 febbraio - 14 marzo 2022 n. 8241. Il caso portato all’attenzione della Corte è quello di due donne stabilmente conviventi da trent’anni che, però, non hanno potuto formalizzare la loro unione per l’assenza di una disciplina ad hoc.
Il Tribunale di Bologna ha respinto la richiesta della superstite circa la pensione di reversibilità per la sostanziale differenza tra la posizione del coniuge, legato al partner dal vincolo del coniugo, e quella del convivente, al cospetto di una mero legame di fatto privo di rilievo giuridico.
La ricorrente non vede soddisfatte le proprie ragioni neanche in Cassazione ove è affermata l’irretroattività della legge Cirinnà con impossibilità di riconoscere il diritto al trattamento di reversibilità. Né ha convinto la tesi basata sul diritto alla vita familiare garantito dalla CEDU per la diversità tra il matrimonio, fondato su un rapporto formale e la convivenza di fatto. Tale differenza rende illegittima l’equiparazione degli istituti e l’eventuale analogia di disciplina a nulla rilevando l’impossibilità per la coppia di contrarre matrimonio o anche l’unione civile antecedentemente l’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016.
L’anno di svolta è, dunque, il 2016 con l’entrata in vigore della legge n. 76 che riconosce ai componenti dell’unione civile il diritto alla pensione di reversibilità coerentemente con la funzione assistenziale del beneficio diretto a garantire al superstite i mezzi per condurre una vita dignitosa.
L’unione civile è un grande traguardo raggiunto da tutte quelle coppie di fatto che vogliono vedersi riconosciuti dei diritti pur in assenza del matrimonio.
In particolare, sono le coppie omosessuali ad averne beneficiato in misura maggiore, in quanto prima della legge n. 76 del 2016 non avevano alcuna tutela da parte dell’ordinamento.
La giurisprudenza, in diverse pronunce, ha affrontato la questione cercando di colmare il vuoto normativo.
La Corte di Strasburgo con la sentenza del 21 luglio 2015, caso Oliari, ha condannato l’Italia per il mancato riconoscimento nell’ordinamento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso quale violazione dell’art. 8 della Cedu in relazione al rispetto della vita familiare e rimettendo al Parlamento il compito di bilanciare i vari interessi.
La Corte Costituzionale, già nel 2010, con la pronuncia n. 38 aveva ricompreso l’unione omosessuale nelle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost. come diritto fondamentale di vivere liberamente la propria condizione di coppia[4].
Ancora la Corte di Cassazione riconosce il rilievo costituzionale delle unioni omoaffettive e il bisogno di un pronto intervento legislativo per la loro regolazione[5].
In tale tessuto esegetico si inserisce la Cirinnà disciplinando le unioni civili per le coppie omosessuali sulla falsariga del matrimonio e le convivenze di fatto per tutte le coppie conviventi stabilmente, ma che hanno deciso di non contrarre matrimonio.
Vengono, in questo modo, disciplinati alcuni diritto propri del vincolo del coniugio tra cui il trattamento di reversibilità.
Quello del riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali rappresenta un lungo cammino ancora da concludere. Molto si è fatto, ma tanto ancora c’è da fare tenuto anche conto della situazione degli altri Paesi europei dove, già da parecchi anni, è ammesso il matrimonio tra coppie same- sex.
De iure condendo si auspica un nuovo intervento legislativo in una direzione di maggiore apertura per fornire a ciascun individuo le medesime possibilità di sviluppo della propria personalità e sfera affettiva coerentemente con gli artt. 2 e 3 della Costituzione Italiana, con le disposizione della CEDU e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
[1] Tribunale di Milano, sentenza n. 659 del 10 aprile 2017.
[2] Corte di Appello di Milano, sentenza 1005/2018.
[3] Corte di Cassazione, sentenza del 14 settembre 2021, n. 24694.
[4] Raffaele Ceniccola, Persone, famiglia e successioni, Editoriale Scientifica, Napoli, 2022.
[5] Corte di Cassazione 2400/2015.
[*] In servizio presso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, DG Politiche Previdenziali e Assicurative, Divisione I. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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