Senatores boni viri, senatus autem mala bestia, i senatori sono persone perbene, ma il senato è una cattiva bestia.
La locuzione, attribuita a Marco Tullio Cicerone, vuole dire che per quanto si possa essere animati da buone intenzioni, queste possono essere vanificate dalle votazioni assembleari, in cui prevalgono interessi particolari e dei gruppi.
L'espressione ben si attaglia alla proposta di legge sulla istituzione del salario minimo (A.C.1275) che, nelle intenzioni dei proponenti intendeva prevedere che il trattamento economico minimo orario stabilito dai contratti collettivi non potesse essere inferiore a nove euro lordi. Nella realtà, l'Assemblea della Camera, mossa da interessi affatto diversi da quelli dei proponenti, ha approvato un testo di segno assai difforme da quello originario. Un testo che oltre a prevedere la delega al Governo a emanare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, nel dettare i principi da osservare nell'esercizio della delega, vincola, altresì, l'esecutivo a individuare “strumenti di incentivazione atti a favorire il progressivo sviluppo della contrattazione di secondo livello” per fare fronte alle esigenze diversificate derivanti dall'incremento del costo della vita e correlate alla differenza di tale costo su base territoriale.
In sostanza vengono gettati i prodromi per l'avvio verso le gabbie salariali.
Nel corso dell'esame del provvedimento l'Assemblea della Camera ha anche approvato un ordine del giorno (9/1275-A1), con il parere favorevole del rappresentante dell'esecutivo, con il quale impegna il Governo stesso a valutare l'opportunità di prevedere con un apposito provvedimento un intervento sulla contrattazione collettiva del pubblico impiego laddove lo stipendio unico nazionale può comportare disuguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo come ad esempio nel mondo della scuola.
Pur considerato che l'ordine del giorno non ha valore legislativo, tuttavia è un atto che impegna politicamente il Governo sul modo in cui la proposta di legge all'esame vada interpretata.
E, se fossero rimasti dubbi sulle reali intenzioni del Governo, questi sarebbero stati dissolti dalla Ministra del lavoro che, in sede di risposta ad una interrogazione parlamentare, ha dichiarato che “garantire ai lavoratori delle retribuzioni eque ed adeguate significa comprendere in concreto quali siano le loro esigenze e quelle delle loro famiglie anche a seconda dei territori in cui esse si trovano a vivere. Il costo della vita non è uguale in tutte le parti del territorio nazionale.”
Nella sua risposta la Ministra ha inoltre sottolineato la centralità della contrattazione collettiva nazionale e la possibilità di accompagnarla ad una contrattazione di secondo livello anche territoriale come strumento per l'adeguamento delle retribuzioni.
È così ribadita, in modo inequivocabile, l'intenzione del Governo di reintrodurre le retribuzioni su base territoriale.
E per dare maggiore concretezza al percorso che conduce alle retribuzioni territoriali è stato presentato al Senato, ad iniziativa di un gruppo di senatori della maggioranza, un disegno di legge (A.S. 930) in materia di trattamenti economici accessori collegati al costo della vita.
Il provvedimento è finalizzato a favorire un adeguamento dei contratti di lavoro del settore pubblico e del settore privato “al fine di rendere le retribuzioni maggiormente aderenti al mutato costo della vita e anche di permettere a coloro i quali lavorano e risiedono nelle aree territoriali più care, di avvantaggiarsi di un adeguamento più cospicuo.”
Si tratta, come viene precisato nella relazione di accompagnamento, di differenziare salari e retribuzioni alla luce del costo della vita delle singole aree territoriali nelle quali si svolgono le attività lavorative.
Un anacronistico ritorno alle gabbie salariali e, in concreto, uno strappo alla lettera e al contenuto profondo dell'articolo 36 della Costituzione che riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro, e senza alcun riferimento al luogo in cui la prestazione viene resa.
A tal proposito appare utile sottolineare che nell'ampio e dotto dibattito che si è svolto nell'Assemblea Costituente in riferimento all'articolo 36 (32 nel progetto di Costituzione della Repubblica Italiana) nessun accenno è stato rivolto al luogo della prestazione. Anzi, nel primo intervento della discussione l'onorevole Francesco Colitto, un liberal conservatore, ha affermato che la retribuzione dovrà aver luogo “senza discriminazioni tra lavoratori che prestano lo stesso lavoro”.
Le gabbie salariali hanno tuttavia trovato legittimazione nel nostro Paese nel particolare periodo storico del primo dopoguerra caratterizzato dalla necessità di ricostruire il sistema produttivo, ma anche le istituzioni politiche dopo la dittatura fascista.
A prevederle è il “Concordato per la perequazione delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria nell'Italia del Nord” sottoscritto a Milano il 6 dicembre 1945 tra la Confederazione Generale dell'Industria Italiana e la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, CGIL, al tempo unico sindacato, nell'intento di risanare l'economia nazionale, attraverso una perequazione nei salari e negli stipendi dei lavoratori dell'industria dell'Italia Settentrionale.
Il Concordato istituisce, per la prima volta, le zone territoriali nell'ambito delle regioni di Lombardia, Liguria, Veneto ed Emilia, le regioni a Nord della cosiddetta linea gotica. Le province di queste regioni vengono incasellate in zone territoriali, che corrispondono a particolari esigenze di carattere economico, e vengono previsti i minimi di paga oraria per categorie di lavoratori e per ciascuna zona territoriale.
Successivamente, con il Concordato stipulato il 23 maggio 1946 vengono suddivisi in zone territoriali anche i territori delle province Centro meridionali.
Diventano così sette le zone territoriali, tre al Nord e quattro al Centro Sud nelle quali vengono incasellate le province italiane. E sono sette i livelli retributivi degli operai dell'industria. Per cui un operaio specializzato metallurgico, a Milano guadagna 21 lire all'ora, mentre a Reggio Calabria guadagna 16,85 lire all'ora. Un gap del 25 per cento a parità di quantità e qualità di lavoro prestato.
Una diversificazione che ha finito per acuire una più antica povertà che divideva il Paese tra aree territoriali del Nord e del Sud, e tra zone rurali e città. Una condizione ampiamente documentata dall'ampia filmografia del nostro neorealismo e da una produzione letteraria nella quale spicca “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi che descrive con crudezza le condizioni di miseria nelle quali vivevano le popolazioni rurali del Mezzogiorno.
Una ingiustizia sociale con modeste giustificazioni produttive che ha generato le ragioni ideali e la spinta rivendicativa del movimento sindacale per perseguire l'obiettivo di una stessa paga per uno stesso lavoro.
Il biennio 1968-1969 si è caratterizzato per le forti mobilitazioni operaie che condussero all'abolizione del sistema delle gabbie salariali. L'abolizione è stata graduale ed è stata completata nel 1972.
Con l'accordo del 21 dicembre 1968, Intersind e ASAP, a nome delle aziende pubbliche accettarono l'abolizione delle zone salariali seppure con gradualità.
Il 18 marzo 1969, sindacati e confindustria, convocati dal Ministro del lavoro Brodolini, accettarono il livellamento delle zone salariali con una gradualità dilazionata in tre anni e mezzo.
Ha così termine quella stagione di politica economica del dopoguerra che fondava lo sviluppo economico delle zone depresse sui bassi salari. O almeno abbiamo ritenuto che avesse avuto termine, e che, voltata pagina, ci si potesse dedicare al lavoro povero, alla precarietà, al mancato incontro tra la domanda e l'offerta nel mercato del lavoro, alla interposizione fraudolenta nelle prestazioni di lavoro, e anche ai problemi che pone il processo di sostituzione delle relazioni tra lavoratori con l'utilizzo dei mezzi informatici.
Nulla lasciava presagire che la risposta fosse il ritorno alle gabbie salariali.
Un passo indietro nella storia per l'appunto.
Costituzione - Articolo 36
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
[*] Ex ispettore del lavoro, funzionario dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, del Dipartimento della Funzione pubblica, dirigente del settore legislativo della Regione Campania e successivamente responsabile delle Relazioni sindacali del Comune di Roma. Attualmente svolge attività di consulente del lavoro.
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