Il ristorno è un vantaggio economico riconosciuto dalla società cooperativa ai propri soci cooperatori in funzione della loro partecipazione allo scambio mutualistico e lo stesso è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico a seguito della riforma del diritto societario prevista dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n.6. L’istituto è disciplinato dall’articolo 2545 sexies del c.c.[1] e prevede che il ristorno deve essere ripartito fra i soci in proporzione alla quantità e qualità dello scambio mutualistico.
Il primo comma del predetto articolo 2545 sexies del c.c. individua sia il criterio di ripartizione che i beneficiari del ristorno. Per ciò che riguarda il criterio va precisato che il ristorno viene ripartito non solo in base alla quantità di scambio mutualistico, ma anche in base alla qualità e ciò comporta per le società cooperative di lavoro che il calcolo del ristorno dovrà tenere conto sia delle ore di lavoro che del tipo di prestazione eseguita.
L’istituto del ristorno è stato previsto per le sole società cooperative poiché il legislatore ha voluto riconoscere al socio cooperatore un vantaggio non commisurato al suo apporto di capitale ma un premio in proporzione alla sua partecipazione all’attività della società cooperativa. Il riconoscimento del vantaggio va a compensare quell’apporto ulteriore richiesto al socio cooperatore enunciato dal comma 2 dell’articolo 1 della legge 3 aprile 2001, n. 142 laddove il socio è chiamato a concorrere alla gestione dell’impresa … a partecipare alla elaborazione di programmi … a mettere a disposizione le proprie capacità professionali…[2]. Il ristorno si differenzia dal dividendo anche se quest’ultimo rimane il classico strumento con cui si procede alla ripartizione dell’utile di esercizio.
L’articolo 2521 del c.c. nel prevedere il minimo inderogabile di cosa deve contenere l’atto costitutivo della società cooperativa al comma 3, punto n. 8, richiama esplicitamente «le regole per la ripartizione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni». Ne consegue che per procedere alla ripartizione degli utili e dei ristorni è necessario che l’atto costitutivo della società cooperativa contenga le regole sulla ripartizione degli utili di esercizio e sui criteri per la ripartizione dei ristorni e in merito a quest’ultimi spesso le società cooperative preferiscono dotarsi di un specifico regolamento dei ristorni.
I regolamenti, quando non sono parte integrante dell’atto costitutivo, per come disposto dall’ultimo comma dell’articolo 2521 del c.c., devono essere approvati dall’assemblea dei soci con le maggioranze previste per le assemblee straordinarie[3] come disposto dagli articoli 2365, 2366, 2368 e 2369 del c.c.
Il dividendo scaturisce sempre dalla ripartizione dell’utile di esercizio, versato generalmente al socio in denaro e va a remunerare il capitale in proporzione a quanto conferito dal socio, mentre il ristorno può essere versato in diversi modi: mediante la concessione di uno sconto in proporzione agli acquisti effettuati dal socio o attraverso il riconoscimento di una integrazione in proporzione alla retribuzione erogata al socio e va a remunerare lo scambio mutualistico.
Il legislatore non ha escluso nessun tipo di società cooperativa dalla possibilità di applicare l’istituto del ristorno, per cui esso è utilizzabile anche dalle società cooperative a mutualità non prevalente. Per particolari ragioni legate alla possibilità di attingere a contributi pubblici o incentivi di varia natura restano escluse della possibilità di distribuire utili in qualsiasi forma e quindi di erogare ristorni le società cooperative fra giornalisti, le società cooperative consortile nel settore dell’autotrasporto ed i confidi.
La norma ha previsto che è possibile ristornare ai soci solo quella parte del risultato di gestione che deriva dall’attività realizzata con i soci cooperatori e non anche quella parte di avanzo di gestione conseguita con i terzi e ciò conferma con chiarezza che i ristorni non possono superare l’avanzo della gestione mutualistica[4].
Il vantaggio mutualistico si consegue facendo ricorso all’ottimizzazione delle diverse fasi del processo produttivo rimuovendo l’intermediazione di terzi nel conseguimento dei fattori necessari alla produzione. Il vantaggio mutualistico nelle società cooperative di consumo si manifesta come un risparmio di spesa per i soci, nelle società cooperative di lavoro come una maggiore retribuzione per la prestazione lavorativa dei soci e nelle società cooperative di conferimento come una maggiore remunerazione del prodotto conferito dai soci.
Per le società cooperative di produzione e lavoro il secondo comma dell’articolo 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142[5] prevede che le società cooperative possono erogare ai soci lavoratori:
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali[6], nel richiamare la disciplina generale sulla posizione del socio lavoratore alla luce della legge 3 aprile 2001, n. 142, ha confermato la tesi secondo cui nelle «cooperative di lavoro i ristorni rappresentano il vantaggio mutualistico per il socio, consistendo nei rimborsi effettuati allo stesso socio lavoratore, in ragione della quantità di lavoro da questi prestata, per la minore retribuzione percepita rispetto ai ricavi della cooperativa». Inoltre, quanto alla necessità di stabilire un limite massimo alla distribuzione dei ristorni nelle cooperative di produzione e lavoro, sempre secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stata dettata dalla necessità di evitare la possibilità di dividere utili mascherati dal ristorno.
I compensi distribuiti a titolo di ristorno ai soci lavoratori con rapporto di lavoro di tipo subordinato, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, della suddetta legge 3 aprile 2001, n. 142, non sono assoggettati a prelievo contributivo ma rimangono comunque imponibili ai fini fiscali[7].
Il terzo comma del citato articolo 2545 sexies del c.c. prevede che l’assemblea dei soci può deliberare il ristorno al socio anche mediante l’aumento in proporzione al valore delle relative quote di capitale oppure con l’emissione di nuove azioni o con l’emissione di strumenti finanziari.
La Corte Suprema di Cassazione ha sostenuto che i ristorni «… in sostanza, si traducono in un rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o servizi acquistati dalle cooperative di consumo, ovvero in integrazione della retribuzione corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni del socio nelle cooperative di produzione e lavoro» [8].
L’Agenzia delle Entrate con la circolare 9 luglio 2003, n. 37/E ha evidenziato come nelle società cooperative agricole di trasformazione è «diffuso il fenomeno di valorizzare i prodotti conferiti dai soci a consuntivo, sulla base delle risultanze di bilancio, se tale modalità è contenuta negli statuti sociali». In tali cooperative accade che i soci conferitori nel corso dell’anno ricevono dalla società cooperativa degli acconti come stabilito dal regolamento ed alla fine dell’esercizio sociale il relativo saldo. Ne deriva, pertanto, che alle società cooperative agricole di trasformazione che definiscono il valore dei prodotti conferiti dai soci alla chiusura dell’esercizio sociale è preclusa la possibilità di applicare l’istituto del ristorno.
È bene sottolineare che il ristorno non può essere considerato per il socio un diritto soggettivo poiché trattasi di un vantaggio mutualistico che è rimesso alla volontà dell’assemblea dei soci, sia per la determinazione della misura che delle possibili modalità di attribuzione. Come si è appena detto la volontà di distribuire ristorni ai soci è sempre riservata all’assemblea che, in presenza dell’andamento economico favorevole al conseguimento dell’avanzo di esercizio, può decidere di accantonare a riserva indivisibile, dedotti solo il 30% alla riserva legale ed il 3% ai fondi mutualistici.
La normativa non fa obbligo alle società cooperativa di dotarsi del regolamento che disciplini i ristorni, ma trattandosi di aspetti che interessano la totalità dei soci cooperatori, nel rispetto della massima trasparenza dei rapporti sociali, è buona norma che la società si doti di un regolamento che disciplini i diversi aspetti dell’istituto del ristorno, come condiviso ed applicato da diverse società cooperative.
A titolo indicativo si evidenziano di seguito i punti fondamentali che potrebbe contenere il regolamento:
Il regolamento dei ristorni, per come già anticipato, deve essere approvato dall’assemblea ordinaria con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria.
Nelle cooperative di utenza, di consumo il cui scopo è quello di offrire ai soci beni e servizi a prezzi più vantaggiosi rispetto a quelli di mercato, la determinazione dell’importo massimo distribuibile a titolo di ristorno si ricava confrontando l’ammontare dei ricavi relativi ai rapporti intercorsi con i soci con quello relativo ai ricavi complessivi riferibili alla stessa voce A1 del conto economico, dedotto il 30% alla riserva legale ed il 3% ai fondi mutualistici.
Esempio: utile di esercizio € 10.000 – ricavi dalle vendite verso i soci € 50.000 – ricavi complessivi € 60.000
L’importo massimo distribuibile a titolo di ristorno è pari a € 6.700
ricavi delle vendite = A1 verso soci € 50.000 / totale A1 € 60.000 = 83,33% di mutualità
Nelle cooperative di produzione e lavoro, il cui scopo è quello di offrire ai soci migliori occasioni di lavoro rispetto a quelle del mercato, per determinare l’importo massimo distribuibile a titolo di ristorno bisogna procedere con la separazione del costo del lavoro dei soci da quello relativo al costo del lavoro complessivo di cui alla voce B9 (soci lavoratori con contratto di lavoro di tipo subordinato) del conto economico e parte dei costi della voce B7 (soci lavoratori con contratto di lavoro autonomo), tenendo presente che, ai sensi della legge 142/2001, il ristorno non può superare il 30% dei trattamenti complessivi e che può essere ristornato solo l’importo minore risultante tra l’avanzo di esercizio conseguito con i soci e l’importo derivante del 30% delle retribuzioni complessive.
Esempio: utile di esercizio € 10.000 – costo del lavoro dei soci lavoratori € 8.000 - costo complessivo del lavoro € 10.000 - 30% del costo complessivo del lavoro = € 3.000.
L’importo massimo distribuibile a titolo di ristorno è pari a € 3.000
costo del lavoro = B9 verso soci € 8.000 / totale B9 € 10.000 = 80% di mutualità
Nelle cooperative di conferimento e di servizi la determinazione dell’importo massimo distribuibile a titolo di ristorno si ottiene raffrontando l’ammontare dei costi relativi ai rapporti intercorsi con i soci con quello relativo al costo complessivo riferibile alle stesse voci del conto economico, voce B6 per le cooperative di conferimento dei prodotti e B7 per le cooperative di servizi, dedotto il 30% alla riserva legale ed il 3% ai fondi mutualistici.
Esempio: utile di esercizio € 10.000 – costo dei beni conferiti dai soci € 50.000 - costo complessivo dei beni € 60.000
L’importo massimo distribuibile a titolo di ristorno è pari a € 6.700
costo dei beni conferiti = B6 da soci € 50.000 / totale B6 € 60.000 = 83,33% di mutualità
costo per prestazioni di servizi = B7 da soci € 50.000 / totale B7 € 60.000 = 83,33% di mutualità
È da evidenziare che la distribuzione massima del ristorno generalmente risulta collegata direttamente alla percentuale di prevalenza della mutualità. Più alta è la percentuale di prevalenza e più alta diventa la percentuale di ristorno sull’utile di esercizio, con esclusione per le società cooperative di produzione e lavoro che per la determinazione del ristorno bisogna prendere come base il minore importo derivante dall’applicazione del 30% di cui alla legge 142/2001 e della percentuale di mutualità, come riportato nell’apposito esempio.
Gli adempimenti societari necessari per la determinazione e l’approvazione dei ristorni coinvolgono il consiglio di amministrazione, il collegio sindacale e l’assemblea dei soci. Il primo organo che viene coinvolto è il consiglio di amministrazione che, al verificarsi di un residuo attivo risultante dalla contabilità di fine esercizio, entro il terzo mese dell’anno successivo decide sull’ammontare di tale avanzo da destinare a ristorno e stabilisce i criteri di ripartizione del ristorno fra i soci.
Gli amministratori, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, devono evidenziare nella relazione sulla gestione al bilancio di esercizio di cui all’articolo 2428 del c.c. o nella nota integrativa al bilancio di esercizio l’ammontare dei ristorni da corrispondere a soci ed i criteri di attribuzione.
Il collegio sindacale, qualora obbligatorio, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge 31 gennaio 1992, n. 59, deve riferire all’assemblea dei soci nella relazione al bilancio di esercizio di cui all’articolo 2429 del c.c. in merito all’osservanza da parte del consiglio di amministrazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 1 della legge 31 gennaio 1992, n. 59.
L’assemblea dei soci, chiamata ad approvare il bilancio di esercizio entro il termine previsto dall’articolo 2364 del c.c. ovvero entro i 120 giorni successivi dalla chiusura dell’esercizio sociale, dovrà deliberare in modo specifico anche sulla determinazione dei ristorni ai soci.
I ristorni erogati ai soci lavoratori devono essere evidenziati sul libro unico del lavoro ed ai fini IRPEF saranno considerati reddito da lavoro dipendente. Mentre nel caso in cui vengano erogati ad incremento delle quote di capitale sociale o delle azioni, i ristorni vanno assoggettati a ritenuta di imposta del 12,5% al momento della liquidazione al socio.
Le società cooperative che con il bilancio di esercizio 2023 conseguiranno un avanzo di esercizio e decidono di distribuire ristorni ai soci, non possono fare a meno di tenere in debito conto anche le raccomandazioni contenute nel documento dell’Organismo Italiano di Contabilità (OIC 28), approvato il 9/6/2022, per quanto concerne le due modalità di contabilizzazione del ristorno che può avvenire:
Dei due metodi, secondo la dottrina prevalente, tenuto in debito conto del periodo di maturazione e della natura economica, il metodo più corretto sembra il primo, in quanto per come evidenziato, il ristorno non è altro che un maggiore costo o minor ricavo, maturato nel periodo in cui si è verificato lo scambio mutualistico.
[1] L’articolo 2545 sexies del c.c. stabilisce: L'atto costitutivo determina i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici.
Le cooperative devono riportare separatamente nel bilancio i dati relativi all'attività svolta con i soci, distinguendo eventualmente le diverse gestioni mutualistiche.
L'assemblea può deliberare la ripartizione dei ristorni a ciascun socio anche mediante aumento proporzionale delle rispettive quote o con l'emissione di nuove azioni, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2525, ovvero mediante l'emissione di strumenti finanziari.
[2] Il comma 2 dell’articolo 1 della legge 3 aprile 2001, n. 142 stabilisce:
2. I soci lavoratori di cooperativa:
a) concorrono alla gestione dell'impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell'impresa;
b) partecipano alla elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell'azienda;
c) contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio d'impresa, ai risultati economici ed alle decisioni sulla loro destinazione;
d) mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell'attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa.
[3] L’ultimo comma dell’articolo 2521 del c.c. prevede: «I rapporti tra la società e i soci possono essere disciplinati da regolamenti che determinano i criteri e le regole inerenti allo svolgimento dell'attività mutualistica tra la società e i soci. I regolamenti, quando non costituiscono parte integrante dell'atto costitutivo, sono predisposti dagli amministratori e approvati dall'assemblea con le maggioranze previste per le assemblee straordinarie».
[4] Circolare Agenzia delle Entrate 18 giugno 2002, n. 53/E.
[5] Il comma 2 dell’articolo 3 della legge 3/4/2001, n. 142 stabilisce:
2. Trattamenti economici ulteriori possono essere deliberati dall'assemblea e possono essere erogati:
a) a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalità stabilite in accordi stipulati ai sensi dell'articolo 2;
b) in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi di cui al comma 1 e alla lettera a), mediante integrazioni delle retribuzioni medesime, mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, in deroga ai limiti stabiliti dall'articolo 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni, ovvero mediante distribuzione gratuita dei titoli di cui all'articolo 5 della legge 31 gennaio 1992, n. 59.
2-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, possono corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato all'entità del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno previsto dall'articolo 6.
2-ter. La disposizione di cui al comma 2-bis non si applica ai soci lavoratori delle cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, in presenza delle condizioni di cui all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.
[6] Il Ministero del Lavoro e delle Politiche con circolare 17 giugno 2002 n. 34, nel dare indicazioni generali alle proprie strutture periferiche revisione della legislazione in materia cooperativistica con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore di cui alla Legge 3 aprile 2001, n. 142, ha trattato l’aspetto della quota massima del 30% di ristorno consentita nelle cooperative di lavoro.
[7] Il comma 2 dell’articolo 4 della legge 3/4/2001, n. 142 prevede:
2. I trattamenti economici dei soci lavoratori con i quali si è instaurato un rapporto di tipo subordinato, ad eccezione di quelli previsti dall'articolo 3, comma 2, lettera b), sono considerati, agli effetti previdenziali, reddito da lavoro dipendente.
[8] Corte di Cassazione, sentenza del 31 marzo 1999, n. 9513.
[*] Già dipendente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non ha in alcun modo carattere impegnativo per l’ex Amministrazione di appartenenza.
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