Si muore, si continua a morire di lavoro negli stabilimenti industriali e nei cantieri, da Nord a Sud del nostro Paese. E si muore nei subappalti, una pratica molto diffusa nei cantieri e non solo, la cui motivazione è, qualche volta, dettata da esigenze tecniche ma, molto più spesso, da ragioni di riduzione dei costi che si traducono in precarie condizioni di sicurezza e bassi salari.
Ed è quello dei subappalti il contesto nel quale, lo scorso mese di febbraio, si è verificato l'incidente nel cantiere di Firenze nel quale sono rimasti uccisi cinque operai.
Cinque morti sul lavoro che vanno ad aggiungersi ai 1.041 che l'INAIL ha censito nell'anno 2023, una media di 3,3 morti per ogni giorno lavorativo, con un andamento in crescita del 19 per cento nel primo bimestre del 2024.
Un quadro allarmante ben oltre la notizia di cronaca che con rammarico abbiamo letto sulla stampa. Va oltre la carenza degli organici nell'Ispettorato del lavoro di Firenze e va oltre il potere deterrente delle sanzioni.
Rispetto ad uno scenario di così ampio allarme sociale, il Ministro del lavoro, nel Consiglio dei ministri convocato qualche giorno dopo l'incidente, ha relazionato sull'attività ispettiva effettuata nel corso dell'anno 2023. Ha evidenziato che su un totale di 92.658 accessi ispettivi, 20.755 hanno riguardato la vigilanza in materia di salute e sicurezza.
Non molto, occorre dire, considerato che rispetto alle 310.470 imprese edili e industriali con oltre tre dipendenti, censite dall'ISTAT, la percentuale degli accessi ispettivi in materia di sicurezza è del 6,69 per cento. In altri termini una impresa rischia di essere ispezionata, mediamente, una volta ogni quindici anni.
Il Ministro, nell'occasione, ha anche annunciato che nel successivo Consiglio dei ministri, sarebbe stato presentato un provvedimento organico per il potenziamento della tutela in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il rafforzamento delle attività ispettive e del sistema sanzionatorio anche in relazione al subappalto.
Nessuna riflessione sulle ragioni strutturali per le quali non vengono garantite la tutela della sicurezza e delle condizioni economiche e normative dei lavoratori occupati nei subappalti.
Come annunciato dal Ministro, il Governo, il 26 febbraio scorso, ha approvato un decreto legge, peraltro riguardante disposizioni urgenti finalizzate a garantire l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nel quale sono stati inseriti tre articoli riguardanti la materia del lavoro che modificano per la settima volta, settima in pochi anni, l'articolo 29 del decreto legislativo n. 276/2003 in materia di appalti. Segno inquietante dell'incerta visione dell'interesse che si intende tutelare.
La novella, decreto legge 2 marzo 2024 n. 19, non appare essere frutto di profonda riflessione anche considerata la rapidità con la quale è stata approvata e tenuto presente anche che legiferare sulla spinta degli ultimi eventi di cronaca e dell'indignazione dell'opinione pubblica non è un buon modo attraverso il quale la politica si legittima.
Dopo i fatti di Firenze e l'annuncio del Ministro di un potenziamento della tutela in materia di sicurezza in relazione al subappalto, era lecito attendersi una scelta strutturale che andasse oltre e superasse quell'eccesso di liberismo contenuto nell'articolo 29 del decreto legislativo n. 276/ 2003 in materia di appalti.
La nuova norma invece non va oltre una modifica, la settima per l'appunto, dell'impianto normativo del citato articolo 29 del d.lgs. 276/ 2003 approvato nel clima liberista del tempo che, in nome della flessibilità, ha destrutturato la precedente normativa generando un quadro di riferimento incerto e, con esso, una vasta area di precarietà e insicurezza laddove si svolgono lavori in subappalto.
Il decreto legge approvato dal Governo, ed ora all'esame della Camera dei Deputati (A.C. 1752) prevede che ai lavoratori degli appalti ed eventuali subappalti sia corrisposto un trattamento economico non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nella zona nel cui ambito si svolge l'attività oggetto dell'appalto.
Viene introdotto il concetto di zona come ambito territoriale di applicazione del contratto, e non ne viene definito il contenuto. Non viene neanche garantito ai lavoratori dei subappalti lo stesso trattamento economico e normativo spettante ai lavoratori dell'impresa appaltante.
Nel decreto è previsto un incremento di 250 unità di personale da inquadrare nell'area professionale degli ispettori di vigilanza tecnica e viene potenziato di 50 unità in soprannumero il contingente dei carabinieri presso il Ministero del lavoro.
Un segnale decisamente positivo l'incremento del numero degli ispettori tecnici coerentemente con l'annunciato obiettivo di potenziare la tutela in materia di sicurezza anche se, in tal senso, in luogo dei 50 carabinieri sarebbe stato probabilmente più utile assumere altri 50 ingegneri.
È previsto l'inasprimento del regime sanzionatorio e una premialità per i casi di evasione contributiva cui segua il versamento dei contributi omessi.
È introdotto, in modo sorprendente considerato l'intendimento di un rafforzamento delle attività ispettive, una sorta di salvacondotto per quelle imprese cui, all'esito di accertamenti anche in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, non vengano contestate violazioni o irregolarità. Queste imprese per un periodo di dodici mesi non possono essere sottoposte ad ispezione. Una norma che appare, a dir poco, bizzarra e dissociata dalla mutevole realtà delle condizioni di sicurezza delle fabbriche e dei cantieri, laddove, secondo l'INAIL, muoiono 3,3 operai per ogni giorno lavorativo.
E poi basti pensare che un cantiere edile, nel corso di un anno, pone le fondamenta, si sviluppa e termina i lavori, e che nel corso di quell'anno mutano quotidianamente le strutture e i presidi antinfortunistici.
Fin qui la risposta, la cui efficacia non appare evidente, per gli infortuni nel cantiere di Firenze e per tutti gli infortuni che si verificano nei lavori in subappalto.
Ci si poteva aspettare che il Governo non avesse difficoltà ad intervenire in modo strutturale nella materia della prevenzione degli infortuni. Dopo l'attribuzione alle Regioni, nel 1978, delle competenze in materia di prevenzione degli infortuni e anche con l'estensione, nel 2021, delle stesse competenze all'Ispettorato del lavoro, il livello della sicurezza non è migliorato. È evidente che sono troppi gli organi di vigilanza che non riescono a coordinarsi e che ogni regione adotta una propria politica di prevenzione con diverse sensibilità rispetto al mondo delle imprese. Ventuno diverse politiche locali sono incompatibili con un'unica strategia di prevenzione. È il tempo di ricondurre ad unità l'ispezione del lavoro superando la previsione della legge n. 833/78 che ha attribuito alle unità sanitarie locali i compiti precedentemente svolti dall'ispettorato del lavoro in materia di prevenzione.
E ci si poteva aspettare un intervento realmente incisivo in materia di appalti e di subappalti che ponesse al centro della disciplina la effettiva tutela delle condizioni economiche e normative dei lavoratori. Quella tutela di cui storicamente si è fatto carico il movimento dei lavoratori fin dagli inizi del secolo scorso ricercando nella sede sindacale quelle soluzioni che sollevassero i cottimisti dallo sfruttamento conseguente al ricorso, da parte degli imprenditori, all'interposizione nel cottimo.
La strategia sindacale, finalizzata alla limitazione dell'affidamento a terzi dell'esecuzione di opere o servizi e all'affermazione della responsabilità dell'imprenditore per tutti gli obblighi contrattuali, si è concretizzata per la prima volta in Italia con il contratto collettivo del 26 dicembre 1937 relativo ai subappalti nell'edilizia.
Lo Stato è intervenuto nella materia con l'articolo 2127 del codice civile del 1942. Una norma sostanzialmente insufficiente per combattere il fenomeno dell'interposizione nei rapporti di lavoro che negli anni cinquanta ha assunto aspetti talmente rilevanti sul piano sociale da indurre il Parlamento ad istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia.
La Commissione, rilevata l'insufficienza legislativa a combattere il fenomeno, indicò al Parlamento i criteri cui si dovevano informare le norme per la disciplina dell'appalto di manodopera e dell'appalto di opere e servizi.
La Commissione, inoltre, propose in modo perentorio il divieto dell'appalto di manodopera nella considerazione che tale forma di appalto è adottata con intenti elusivi degli obblighi normativi e contrattuali dell'imprenditore principale.
Con riguardo alla disciplina dell'appalto di opere e servizi la Commissione si orientò nel senso di considerare questa forma di appalto come un sistema cui fare ricorso eccezionalmente e solo per obiettive ragioni di ordine tecnico. Conseguentemente suggerì di fare carico obbligatoriamente alle imprese appaltatrici di corrispondere ai propri dipendenti un trattamento economico e normativo globalmente pari a quello dovuto ai lavoratori dipendenti dall'impresa principale.
Il Parlamento, in accoglimento di tali suggerimenti ha approvato la legge n. 1369 del 23 ottobre 1960 che, agli articoli 1 e 3 ha disciplinato in modo inequivocabile l'appalto di mere prestazioni di lavoro e le condizioni che lo qualificano, e gli appalti di opere e servizi da eseguirsi all'interno delle aziende.
Due norme il cui schema e il relativo regime sanzionatorio hanno evitato il perpetuarsi degli abusi negli appalti ed hanno garantito ai lavoratori impiegati un trattamento uguale a quello di fatto goduto dei dipendenti delle imprese appaltanti. Garanzie che si sono evidentemente affievolite con la successiva produzione legislativa ispirata da quelle pulsioni di flessibilità nel lavoro che si sono tradotte in precarietà nei rapporti di lavoro, bassi salari e incerte condizioni di sicurezza che il decreto legge di recente approvato non corregge, anzi perpetua.
DECRETO LEGISLATIVO 10 settembre 2003, n. 276
Art. 29 (testo previgente)
Appalto
1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.
2. In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.
3. L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda.
MODIFICHE INTERVENUTE:
Decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (art.6);
Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (art.1 comma 911);
Legge 28 giugno 2012, n. 92 (art. 4);
Decreto legge 9 febbraio 2012, n.5 (art.21);
Decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (art. 28);
Decreto legge 17 marzo 2017, n. 25 (art. 2);
Decreto legge 2 marzo 2024, n. 19 (art.29).
Art. 29 (testo vigente)
Appalto
1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.
1-bis. Al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nell’eventuale subappalto è corrisposto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto.
2. In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. Il presente comma si applica anche nelle ipotesi dell’utilizzatore che ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro nei casi di cui all’articolo 18, comma 2, nonché ai casi di appalto e di distacco di cui all’articolo 18, comma 5-bis.
3. L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.
3-bis. Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato puo’ chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’articolo 27, comma 2.
3-ter. Fermo restando quando previsto dagli articoli 18 e 19, le disposizioni di cui al comma 2 non trovano applicazione qualora il committente sia uno.
[*] Dopo la Scuola di specializzazione in diritto sindacale, è stato ispettore del lavoro, funzionario dell'Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, dirigente nel Dipartimento della funzione pubblica, dirigente del settore legislativo della regione Campania, dirigente delle relazioni sindacali del comune di Roma. È autore di pubblicazioni in materia di organizzazione amministrativa del lavoro.
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