La Carta di Urbino[1] è un decalogo d’intenti, che ha inteso sollecitare una riflessione aperta sulle problematiche ancora irrisolte della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. A tal fine la Carta enuncia, in forma sintetica, taluni valori irrinunciabili per l’effettiva tutela della salute, della sicurezza e del benessere delle persone che lavorano.
La Carta è stata redatta dall’Osservatorio Olympus, dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”[2], e dalla Fondazione Nazionale Sicurezza Rubes Triva, ed è stata sinora presentata in numerose sedi nazionali ed internazionali.
Chiunque si riconosca nella Carta può sottoscriverla, accogliendone e diffondendone gli enunciati. Tale documento non ha evidentemente l’ambizione di rappresentare un testo normativo, ma condensa in sé i principi fondamentali che derivano dalle norme costituzionali, dalla disciplina europea e nazionale o semplicemente da buone pratiche.
Il suo scopo fondamentale è quello di contribuire a sensibilizzare datori di lavoro, pubblici e privati, lavoratori, operatori, professionisti, associazioni rappresentative, soggetti politici, etc., sulla centralità delle tematiche della salute e sicurezza sul lavoro, nella consapevolezza che molti problemi sono tuttora insoluti.
Tra i dieci principi enunciati dalla Carta il più significativo, poiché ne esprime la filosofia di fondo, è probabilmente quello contemplato nel punto 2, dove si afferma che viene “prima la persona e poi il lavoro. In nessun caso la perdita della vita o della salute può costituire un sacrificio necessario”.
In un’epoca come l’attuale, in cui si è ossessionati da una legislazione sempre più dettagliata e da regole progressivamente più pervasive, un ritorno a riflettere sui principi fondamentali di ogni disciplina può essere un utile esercizio, denso di sviluppi futuri.
Del resto, il nostro sistema normativo in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, pur contemplando una estesa disciplina settoriale, è stato per anni, e continua ad essere, incentrato su una norma di principio, quale l’art. 2087 del codice civile. Una norma che imponendo al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, a garantire l’integrità psicofisica e la personalità morale dei lavoratori, è stata considerata architrave e norma di chiusura del sistema.
La Carta di Urbino, dunque, ha l’ambizione di fornire un ulteriore contributo rispetto a questioni che restano di stringente attualità.
Quella degli infortuni sul lavoro, infatti, continua ad essere una tragedia sin troppo annunciata. Quanto avvenuto nella centrale idroelettrica di Suviana rappresenta l’ultimo episodio di una lunghissima serie. Prima c’è stato il cantiere di Firenze, prima ancora la strage di Brandizzo e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Peraltro, queste stragi fanno più rumore solo perché coinvolgono un numero elevato di lavoratori. Le morti solitarie sono più silenziose, ma non meno drammatiche.
Gli ultimi dati forniti dall’Inail[3] confermano che le denunce di infortunio presentate nell’anno 2023 sono state 585.356, mentre i decessi sul lavoro sono stati più di mille. Una tendenza che si ripete costante, di anno in anno, sia pur con qualche lieve variazione che tuttavia non segna alcuna inversione di tendenza. Sebbene tali dati vadano depurati dal numero degli infortuni in itinere (pari a 242 decessi nel 2023), occorsi cioè nel tragitto tra casa e lavoro e, quindi, non direttamente correlati alle condizioni di sicurezza degli ambienti lavorativi, ci restituiscono in ogni caso un quadro desolante. Pertanto, i pur importanti passi in avanti compiuti in questi anni in termini di disciplina legislativa e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, non hanno determinato alcun significativo effetto sui numeri impietosi di questa strage silenziosa.
Certamente l’efficacia delle misure in materia di sicurezza sul lavoro non può misurarsi in termini meramente quantitativi, attraverso il solo riferimento al numero complessivo degli infortuni. Andrebbero, infatti, di volta in volta, verificate le cause e poste in correlazione con una serie di altri fattori che possono incidere sul verificarsi dei singoli eventi infortunistici. Ma quel numero rappresenta comunque un dato significativo, sebbene riassuntivo, di come lo scopo ultimo della tutela antinfortunistica (impedire il verificarsi di infortuni e malattie professionali) non sia stato raggiunto.
Dopo ogni incidente la domanda si ripete ricorrente e resta costantemente senza risposta: che fare?
Un’analisi sulle cause – fermo il rispetto che si deve alle inchieste in corso – ci restituisce uno scenario scoraggiante. Gli infortuni sul lavoro sono raramente frutto di una tragica casualità, poiché nella maggior parte dei casi derivano proprio dal mancato rispetto degli obblighi finanche più elementari in materia di sicurezza sul lavoro. Cui si aggiungono fattori altrettanto decisivi, giacché la carenza di sicurezza sul lavoro spesso si associa alla mancanza di sicurezza del lavoro. Difatti, è dato statistico acquisito che le forme di lavoro temporaneo o cosiddetto atipico provocano gravi rischi per la salute dei lavoratori[4]. Le ragioni possono individuarsi, in breve, nel fatto che la precarietà del lavoro è fonte di stress, conduce sovente a ipotesi di superlavoro, impone normalmente di eseguire brevi prestazioni in ambienti di lavoro sconosciuti, e rende, soprattutto, assai remote le possibilità di autotutela si un prestatore di lavoro privo di forza contrattuale. Non a caso l’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008, con una norma in larga parte inattuata, impone espressamente di valutare i rischi connessi alla tipologia contrattuale con la quale il lavoratore viene impiegato.
A ciò si aggiunga che i cicli produttivi si presentano sempre più frammentati, cosicché le lunghe catene degli appalti comportano rischi aggiuntivi o interferenziali, spesso difficili da governare. Del resto, la compresenza di più operatori economici e dei relativi dipendenti nel medesimo scenario lavorativo, determina complesse esigenze di cooperazione e coordinamento, che si intensificano là dove si operi nell’ambito di cantieri temporanei o mobili. In tali contesti, infatti, il problema infortunistico è ancor più drammatico, a livello sia quantitativo che di gravità, poiché il cantiere è connotato da rilevanti rischi specifici, che ne fanno un ambiente di lavoro sempre nuovo, precario, instabile e, dunque, estremamente pericoloso.
Come è noto, il nostro Paese sotto l’influsso della direttiva quadro europea (la n. 391 del 1989), anche detta Direttiva madre, nonché di altre Direttive cosiddette figlie, si è da tempo dotato di una legislazione avanzata, che da ultimo ha portato all’emanazione del Testo Unico contenuto nel d.lgs. n. 81 del 2008. Si tratta di una disciplina che ha compiuto un deciso salto di qualità rispetto al passato, introducendo, in particolare, un approccio di tipo organizzativo nella gestione della sicurezza sul lavoro.
Il Testo Unico è stato oggetto nel corso di questi sedici anni numerosi interventi di riforma, tra cui possono segnalarsi recentemente il decreto-legge n. 146 del 2021 (convertito nella legge n. 215 del 2021) e il decreto-legge n. 19 del 2024 (cosiddetto decreto PNRR), che sta per essere convertito, con sostanziali modificazioni, dalle Camere.
Il decreto-legge n. 146, seppur con qualche criticità, ha avuto una serie di indubbi meriti, tra cui quello di rendere finalmente effettiva la sanzione della sospensione dell’attività imprenditoriale; di rafforzare la vigilanza interna ed esterna all’azienda e di revisionare la disciplina degli obblighi formativi in materia di sicurezza, con l’opportuna estensione degli stessi anche al datore di lavoro.
Il cosiddetto decreto PNRR ha introdotto, come è noto, la patente a punti in materia di sicurezza sul lavoro. Si tratta di un intervento che, pur rappresentando un punto di avanzamento, risultava già deludente nella versione originaria e rischia di essere ulteriormente depotenziato in fase di conversione. Tra l’altro, la norma si muove in una logica riduttiva poiché sostituisce, al mai attuato sistema di qualificazione delle imprese che riguardava tutti i settori produttivi, un sistema basato sulla patente a crediti che riguarda esclusivamente i cantieri temporanei e mobili, ovvero, in buona sostanza, i soli lavori edili e, con una modifica introdotta in fase di conversione, neppure tutti gli operatori che vi operano.
Gli interventi necessari in materia riguardano solo in parte la legislazione, poiché dovrebbero muoversi in larga parte verso la sensibilizzazione dei soggetti interessati, ossia proprio in quel tracciato in cui si colloca la Carta di Urbino.
Per quanto riguarda la legislazione un primo importante passo potrebbe essere quello di attuare parti rilevanti del d.lgs. n. 81 del 2008, che a distanza di sedici anni dalla sua approvazione sono rimaste lettera morta. E così, occorrerebbe introdurre norme applicative in settori importanti quali quello ferroviario, della navigazione o scolastico e universitario, che ancora continuano ad essere regolati da discipline previgenti rispetto al d.lgs. n. 81, oppure ripristinare un serio sistema di qualificazione delle imprese, che riguardi tutti i settori e le imprese appaltatrici. Per quanto riguarda le modifiche, sarebbe opportuno intervenire puntualmente su alcuni aspetti critici, oltre ad introdurre effettive misure di prevenzione per i lavori atipici o per il lavoro distanza, rendendo veramente universale il sistema di prevenzione, senza tralasciare lo sviluppo dei modelli di organizzazione e di gestione.
In buona sostanza, bisognerebbe investire decisamente sugli strumenti della prevenzione più che su quelli sanzionatori e repressivi, che in questi anni hanno dimostrato scarsa efficacia e che comunque intervengono quando l’infortunio è già avvenuto. Per questa ragione si può discutere sia dell’introduzione della nuova fattispecie di reato dell’omicidio sul lavoro sia di una procura nazionale per la sicurezza sul lavoro, ma non mi pare che siano gli interventi prioritari.
Ad ogni modo, sebbene siano auspicabili alcune riforme, va ribadito che la legislazione nel nostro Paese è già abbastanza evoluta e potrebbe essere sufficiente garantirne anzitutto il rigoroso rispetto. L’osservanza degli obblighi prevenzionistici può essere garantita non solo con l’intensificazione dei controlli, ma anche attraverso un processo di adeguamento spontaneo. Spesso si abusa dell’espressione “cultura della sicurezza”, però è anche vero che solo là dove il fenomeno della trasgressione sia il più possibile circoscritto è possibile reprimerlo efficacemente. Per cui la formazione, che dovrebbe partire sin dalle scuole, la sensibilizzazione di tutti i soggetti interessati, l’analisi e lo studio della disciplina e dei sistemi di prevenzione e la loro diffusione, diventano essenziali al fine di garantire più elevati livelli di sicurezza. Perché non sempre la violazione delle norme in materia dipende da disinteresse o da comportamenti consapevoli dei destinatari degli obblighi, e spesso discende viceversa da inconsapevolezza, ovvero dalla mancata conoscenza della disciplina e dei suoi principi.
A volte l’obbligo di sicurezza è descritto come un obbligo impossibile da adempiere, stante la sua estrema latitudine, mentre esso, per essere correttamente adempiuto, deve essere anzitutto determinato. Occorre evitare, dunque, che la determinazione dell’obbligo sia rimessa alla discrezione o alla buona volontà dello stesso obbligato, come sovente è avvenuto. In questo senso la Carta di Urbino fornisce un utile contributo, in quanto riassume in pochi semplici principi gli autentici cardini del sistema posto a tutela della salute e sicurezza sul lavoro nel nostro ordinamento.
[1] Si può rivenire in www.festivalsalutesicurezzalavoro.it
[2] Vedi il sito in olympus.uniurb.it
[3] Confrontare Andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, gennaio 2024, n. 1, in www.inail.it.
[4] Si vedano già il Rapporto EURISPES, Incidenti sul lavoro e lavoro atipico, del febbraio 2003, in www.eurispes.it, nonché il Rapporto dell’IRES, Dinamiche d’impresa, flessibilità contrattuale e impatti sulla salute e sicurezza nella percezione dei lavoratori.
[*] Ricercatore in diritto del lavoro Università degli Studi di Urbino.
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