Le pari opportunità sono sancite nei trattati e nelle norme, ma purtroppo, siamo ancora lontani da una uguaglianza di fatto tra uomini e donne.
La parità di genere è tra i valori fondanti della nostra democrazia, esplicitato nella stessa Costituzione italiana (artt. 3 e 37 in particolare). Anche la Convenzione delle Nazioni Unite del 18 dicembre 1979 (art. 11), ratificata da tutti gli Stati membri, si pronunciava sulla necessità di eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, prevedendo che gli Stati adottassero tutte le misure appropriate per garantire, tra l'altro, il diritto a una retribuzione uguale e a un trattamento uguale per il lavoro di pari valore. L’uguaglianza di trattamento tra i generi è uno dei valori fondamentali dell’Unione Europea (Trattato sul funzionamento dell'UE, art.157), e il risultato atteso dall’obiettivo 5 dell’Agenda 2030. Recentemente è stato necessario approvare la Direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento e del Consiglio del 10 maggio 2023 volta a rafforzare l’applicazione del principio di parità di retribuzione tra uomini e donne attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.
Sebbene le norme esistano, la velocità di propagazione di questi principi nella società non è stata uniforme tra i paesi, tra i settori, tra le professioni. Queste differenze sistematiche sono il precipitato di resistenze culturali, insufficiente accesso a servizi di child care, ritardi normativi e selezioni sistematiche nel mercato del lavoro. Il prodotto di questo gap, il nostro Paese lo sconta in termini di divario retributivo, inverno demografico, bassa partecipazione e sottoutilizzo del capitale umano della componente femminile. Oltre che un problema sociale, è un evidente perdita economica.
In particolare, le forti differenze retributive sono il prodotto di varie selezioni: l’accesso al mondo del lavoro condizionato alle istanze familiari, la qualità delle opportunità lavorative (contratti a tempo determinato, part-time involontario, basse qualifiche professionali), l’ambiente lavorativo (una barriera all’accesso delle posizioni apicali, anche detto “tetto di cristallo”), legislazioni asimmetriche tra i genitori per la cura dei figli, specializzazione produttiva (istruzione, turismo, ristorazione, cura, sanità). Si tratta di differenze che hanno delle ripercussioni anche nella vita pensionistica, con una maggiore povertà economica delle donne rispetto agli uomini.
È dunque evidente quanto siano importanti misure statistiche che diano conto dell’andamento del fenomeno. Una di queste è il differenziale retributivo di genere noto anche come Gender Pay Gap (GPG). Qui ci riferiamo all’indicatore GPG adottato da Eurostat per monitorare il divario retributivo di genere nei Paesi dell’Unione Europea, e sviluppato secondo una comune metodologia. Esso è calcolato come differenza tra la retribuzione media oraria percepita da uomini e da donne, rapportata alla retribuzione media oraria degli uomini e moltiplicata per 100.
Questo indicatore è definito a livello internazionale unadjusted (di seguito “grezzo”) in quanto espresso con una formula che tiene conto dei valori medi, appiattendo gli effetti dovuti alla diversa concentrazione di uomini e donne in particolari settori di attività economica, o in imprese di piccole, medie o grandi dimensioni, o in particolari professioni. Questi fattori osservabili, unitamente al livello di studio, l’età del dipendente, l’anzianità di servizio influiscono sui livelli di retribuzione, ma non li spiegano completamente perché esiste una quota di divario legato ad aspetti non misurabili.
Il GPG calcolato nei Paesi dell’Unione Europea si basa sui risultati della rilevazione sulla struttura delle retribuzioni (Structure of Earning Survey – SES), che si svolge ogni quattro anni. L’ultima diffusione avvenuta nel 2021 si riferisce al 2018 (Istat, 2021)[1]. In Italia le statistiche sulle retribuzioni vengono prodotte da un sistema integrato di informazioni da fonte amministrativa e da rilevazione campionaria diretta alle unità economiche.
La popolazione di riferimento di queste statistiche è quella del personale con contratto subordinato (dipendente) che lavora in unità economiche e istituzioni (pubbliche e private) con almeno 10 dipendenti e sono escluse le unità del settore agricolo. Dunque il GPG così calcolato non considera i lavoratori in micro-imprese, gli autonomi, i professionisti, i lavoratori in unità economiche del settore agricolo. Quando si riportano e commentano i dati ufficiali del GPG, è bene tenere presente questa copertura. Altri studi e altri enti possono produrre statistiche diverse, basate su altri campi di osservazione e prodotte con altre metodologie.
In occasione della rilevazione quadriennale, si dispone del dettaglio massimo di informazione. Si tratta di un prezioso patrimonio informativo raccolto con il contributo delle imprese coinvolte nella rilevazione. Negli anni intermedi, tra due edizioni della rilevazione SES, si producono stime annuali degli indicatori di divario retributivo meno dettagliate, poiché si aggiorna il benchmark della rilevazione quadriennale con l’ausilio dei dati annuali da fonte amministrativa e da registro statistico.
Nella Tavola 1 poniamo a confronto appunto il valore del GPG in Italia con quello UE-27 nel periodo 2014-2022. Come si può notare, l’indicatore italiano oscilla dal 6,1% al 4,3% ed è sempre decisamente inferiore al dato medio europeo: nel 2022 la differenza di retribuzione tra uomini e donne per ora retribuita in Italia è pari al 4,3%, valore al di sotto di oltre otto punti percentuali rispetto a quello registrato a livello Europeo (12,7%). Se si considera anche il settore della pubblica amministrazione (che comprende Amministrazione pubblica, Difesa e Assicurazione sociale obbligatoria – sezione O della classificazione delle attività economiche Ateco 2007) il valore sale a 6,1% nel 2021 (per il 2022 questo dato non è stato diffuso).
Tavola 1 - Differenziale retributivo di genere (GPG) in forma grezza in Italia e Unione Europea a 27. Anni 2014-2022. Valori percentuali.
Area | 2014 | 2015* | 2016* | 2017* | 2018 | 2019* | 2020* | 2021* | 2022* |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Italia | 6,1 | 5,5 | 5,3 | 5,0 | 5,5 | 4,7 | 4,2 | 5,0 | 4,3 |
UE-27 | 15,7 | 15,5 | 15,1 | 14,6 | 14,4 | 13,7 | 12,9 | 12,7 | 12,7 |
* Dati provvisori.
Fonte: Eurostat (aggiornamento 28 febbraio 2024).
Come si può notare dalla Figura 1, l’Italia è nel 2022 il Paese in cui si rileva il valore più basso dell’indicatore, con la sola eccezione del Lussemburgo dove il divario retributivo è a favore delle donne. Valori del GPG molto elevati, superiori alla media europea, caratterizzano invece Estonia (21,3%), Austria (18,4%), ma anche Germania (17,7%) e Francia (13,9%).
Figura 1 - Differenziale retributivo di genere (GPG) in forma grezza nei paesi dell’Unione Europea a 27. Anno 2022. Valori percentuali.
Nota: Il dato della Grecia non è disponibile.
Fonte: Eurostat (aggiornamento febbraio 2024).
La dinamica del GPG mostrata nella Tavola 1 è il risultato di diversi fattori concomitanti. Le differenze nella costruzione del percorso lavorativo si manifestano già a partire dall’istruzione e formazione professionale: le donne scelgono meno frequentemente degli uomini percorsi formativi STEM. Inoltre esse ricoprono più spesso ruoli in settori di attività considerati più confacenti a caratteristiche femminili (come assistenza, istruzione), o con tipologie contrattuali (come il part-time) che meglio consentono di conciliare anche gli aspetti legati alla cura della famiglia. L’attività domestica non retribuita svolta in famiglia è ancora prevalentemente in carico alle donne. L’indicatore di asimmetria nel lavoro familiare, ovvero il rapporto tra tempo dedicato dalle donne al lavoro familiare sul totale del tempo dedicato da una coppia (entrambi lavoratori) è nel 2022 61,6% (Istat, 2023a). Accade così che anche quando la donna vorrebbe un lavoro a tempo pieno, molto spesso deve optare per un tempo ridotto. Il part-time involontario riguarda infatti il 16,5% delle lavoratrici e il 5,6% dei lavoratori.
Si è osservato che il divario retributivo di genere cresce all’aumentare del livello professionale (legato anche all’anzianità lavorativa). Tra i dirigenti il GPG è più elevato (superiore al 25%), mentre scende al valore minimo tra le professioni non qualificate (Istat, 2021). La maggiore variabilità delle retribuzioni apicali e la natura fiduciaria delle posizioni dirigenziali rendono la natura delle differenze retributive assai diversa per tipo di motivazione.
Benché uno dei fattori individuali che incide sul livello retributivo sia rappresentato dal livello di istruzione, il fatto che le donne lavoratrici siano mediamente più istruite degli uomini non è sufficiente a recuperare il loro svantaggio retributivo.
Solo alcuni dati di carattere generale: nel 2022, il 65,7% delle 25-64enni ha almeno un diploma (60,3% tra gli uomini) e le laureate arrivano al 23,5% (17,1% tra gli uomini); le differenze di genere sono più marcate di quelle osservate nella media UE-27, dove le quote salgono rispettivamente all’80,4% per le diplomate (78,6% per gli uomini) e al 37,1% per le laureate (31,4%) (Istat, 2023b).
A parità di livello di istruzione, i lavoratori dipendenti hanno retribuzioni medie orarie sempre superiori alle loro colleghe: nel 2022, il 12,6% in più nel caso di istruzione primaria e il 9% se l’istruzione è secondaria. Il divario è pari al 17,4% per l’istruzione terziaria. Come atteso, si osserva un incremento retributivo al crescere del titolo di studio, sia per uomini sia per donne, ma con una crescita diversa tra i due gruppi soprattutto in corrispondenza del livello più alto di istruzione. Se infatti le donne con titolo di studio di livello secondario percepiscono in media una retribuzione del 26,3% superiore a quella delle donne con istruzione primaria (per gli uomini tale divario è pari al 21,4%), tra le donne con istruzione terziaria rispetto a quelle con istruzione secondaria il gap sale al 47,6%, mentre quello rilevato per gli uomini è pari al 58,5%, quindi le laureate hanno un premio retributivo inferiore ai laureati.
La forbice tra la traiettoria delle retribuzioni delle donne rispetto a quella degli uomini si ampia con l’età a causa degli automatismi retributivi e delle posizioni ricoperte, che derivano da una collocazione originaria sfavorevole alle donne. Nel 2022 si nota che il GPG si allarga al crescere dell’età: dal 2,4% per la classe di età da 25 a 34 anni, sale all’8,7% per la classe da 55 a 64 e raggiunge il 14,7% tra gli ultrasessantacinquenni.
Un altro fattore che ha un particolare rilievo nel determinare il differenziale retributivo è la forma di controllo economico e finanziario delle imprese (controllo pubblico o privato). I dati mostrano che la diversa forma di controllo ha un effetto sull’indicatore in molti Paesi dell'UE (Figura 2). In Italia, ciò si verifica in misura molto marcata, e in modo costante nel lungo periodo. Nel 2022, il GPG nel comparto a controllo privato è del 15,5%, e del 4,7% in quello a controllo pubblico. Il campo di variazione delle retribuzioni del settore privato (fissate dal mercato) è maggiore di quelle del pubblico (gestite da una normativa più rigida). Conseguentemente paesi con una grande quantità di lavoratori pubblici registreranno livelli minori di GPG.
Figura 2 - Differenziale retributivo di genere (GPG) in forma grezza in alcuni paesi dell’Unione Europea, per tipo di controllo economico. Anno 2022. Valori percentuali.
Nota: Dati non disponibili per Austria, Estonia, Francia, Grecia, Lussemburgo, Malta.
Fonte: Eurostat (ultimo aggiornamento 19/02/2024).
Gli indicatori sintetici spesso possono non rappresentare fedelmente la natura di un ambito assai eterogeneo, come un Paese. La questione è nota. Quindi, al netto delle differenze inter-nazionali già ricordate è possibile far luce sulle differenze intra-nazionali, identificando meglio i marcatori di selezione locali.
Il GPG non si può infatti definire puramente un indicatore di discriminazione nella retribuzione oraria delle donne rispetto agli uomini, perché come detto la sua misura dipende da effetti collegati a caratteristiche dell’azienda (settore di attività economica, dimensione aziendale, ecc.), a caratteristiche del dipendente (età, livello di istruzione, ecc.) o a caratteristiche del rapporto di lavoro (anzianità di servizio nell’impresa, tipo di contratto tempo determinato/tempo indeterminato, apprendista, le modalità del tempo di lavoro, professione, ecc.), ma è anche legato ad altri effetti inosservabili.
Per isolare e quantificare tali componenti, viene applicato ai dati italiani della rilevazione SES-2018 (Ceccato, Ciarallo e Conigliaro, 2022) uno specifico trattamento inferenziale, integrato con un approccio controfattuale che consente di confrontare il sottogruppo maschile e femminile “come se” alcune condizioni di partenza fossero le stesse, applicando la scomposizione di Blinder-Oaxaca. Questa metodologia è indicata da Eurostat (Leythienne D., Ronkowski P., 2018) per identificare le componenti del differenziale retributivo tra la parte spiegata da fattori osservati e la parte non spiegata.
Prima, si individuano le determinanti della retribuzione attraverso un’analisi di regressione, separatamente per uomini e donne, in cui la variabile dipendente è la retribuzione lorda per ora lavorata percepita in media nel 2018 e le variabili indipendenti[2] sono le caratteristiche dell’azienda, del lavoratore dipendente o del rapporto di lavoro.
L’analisi comparata, nei risultati delle due regressioni, mostra che la retribuzione è legata al capitale di conoscenza ed esperienza del lavoratore. Accanto al livello di istruzione, vi sono l’esperienza complessiva e specifica, ovvero, legata all’età del lavoratore e al capitale umano specifico acquisito all’interno dell’impresa: un anno d’età in più, ha un rendimento retributivo di +1,1% per gli uomini, rispetto a quello per le colleghe (0,2%); un anno di anzianità lavorativa in più nella stessa impresa ha un ritorno economico simile per uomini e donne (rispettivamente +1% e +0,9%).
Il livello del capitale umano dovrebbe influenzare l’accesso a determinate professioni ma, come già sottolineato, il differenziale salariale rimane invece legato a fattori come il genere e il tipo di contratto.
Risulta invece meno marcato lo svantaggio retributivo per le donne occupate nelle unità con controllo pubblico poiché, rispetto al lavoratore preso a riferimento occupato in unità con controllo privato, percepiscono il 18,4% in più (gli uomini solo il 3,8% in più).
Senza entrare nei dettagli metodologici, la retribuzione oraria media è frutto di parametri (coefficienti di regressione) e valori (caratteristiche della popolazione). I parametri del soggetto non discriminato (l’uomo, come anche nel GPG grezzo) si sostituiscono ai valori dei soggetti discriminati (le donne) per vedere quale sarebbe la loro remunerazione in assenza di selezione avversa. Si ottiene, così, il ritorno economico che avrebbero le donne se fossero pagate con le stesse modalità degli uomini.
Con qualche passaggio algebrico, la differenza tra la retribuzione oraria media di uomini e donne può essere scomposta in due componenti: l’effetto spiegato dalle differenti caratteristiche osservate e misurato come differenza tra la retribuzione oraria degli uomini e la retribuzione oraria delle donne, se fossero retribuite come gli uomini, e l’effetto non spiegato dato dalla differenza tra la retribuzione oraria delle donne se fossero pagate come gli uomini e la retribuzione oraria che le donne effettivamente percepiscono. La quota percentuale sulla differenza totale attribuibile ai due effetti, se applicata all’indicatore GPG grezzo, restituisce il GPG spiegato e il GPG non spiegato.
Il valore “corretto” del GPG è dato dalla differenza tra il valore grezzo e il valore spiegato. Rispetto al 2018 il GPG grezzo (incluso il settore O) ammontava al 6,2%, considerato che la parte spiegata del GPG genera un valore negativo pari al -7%, il GPG corretto risulta essere del 13.2%.
Un valore negativo del GPG spiegato significa che le donne dovrebbero percepire più degli uomini perché posseggono un livello maggiore o più qualificato di una data caratteristica. Per esempio tra le dotazioni (figura 3), il valore -5% relativo alla professione sta ad indicare la presenza di donne più qualificate rispetto agli uomini che, se fossero pagate come gli uomini, avrebbero una retribuzione oraria del 5% superiore ad essi; nello stesso esempio osserviamo un valore positivo del GPG non spiegato pari a 5,1% che indica che a parità di professione le donne sono retribuite il 5,1% in meno l’ora. Il valore negativo del GPG spiegato è maggiormente rappresentato oltre che nella professione anche nel titolo di studio (-4,1%). Il valore positivo del GPG non spiegato è principalmente connesso all’età del lavoratore (+35,4%), alla specifica attività economica (+5,3%), oltreché alla professione del lavoratore (+5,1%).
Figura 3 – Scomposizione del GPG “grezzo”. Italia, Anno 2018. % rispetto alla retribuzione oraria degli uomini.
Nota: (*) include la variabile e la variabile al quadrato.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat, Rilevazione SES 2018.
Emerge, sia dall’analisi descrittiva che dall’approfondimento statistico, come i fattori che determinano i differenziali retributivi di genere siano in gran parte extra-mercato, ovvero non relativi alle caratteristiche osservabili. Rimane ancora molto da indagare sulle motivazioni del differenziale retributivo di genere, non si può affermare che la parte non spiegata sia totalmente legata ad un effetto discriminatorio, perché la misurazione di ulteriori caratteristiche attualmente non considerate e difficilmente misurabili legate all’attività lavorativa di uomini e donne potrebbero modificare i risultati tratti da questa analisi.
[1] È in corso la nuova rilevazione sulla struttura delle retribuzioni con riferimento al 2022, i cui risultati saranno diffusi nel corso del 2024 a livello Europeo e nazionale.
[2] Le caratteristiche categoriche sono state rappresentate come variabili dummy (omettendo una categoria della caratteristica) per cui i risultati vanno interpretati come differenziale rispetto alla categoria omessa. Queste sono le categorie omesse che determinano il profilo del lavoratore preso a riferimento: uomo, con licenza di scuola secondaria inferiore, impiegato, assunto con contratto e tempo indeterminato, full-time, che lavora presso un’impresa a controllo privato, di classe dimensionale 10-49 dipendenti, appartenente all’attività manifatturiera.
[*]
Francesca CECCATO, Istat, ceccato@istat.it.
Marilena Angela CIARALLO, Istat, ciarallo@istat.it.
Paola CONIGLIARO, Istat, paola.conigliaro@istat.it.
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