Anno XII - n° 63

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2024

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Anno XII - n° 63

Maggio/Giugno 2024

Il dato “non dato”, come occultare le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro


di Annamaria Frasca [*]

Annamaria Frasca 63

“Dato” è participio passato del verbo dare, che viene donato, offerto; “dato” è ciò che è immediatamente presente alla conoscenza, prima di ogni forma di elaborazione. Espressione che cattura tutto il valore intrinseco da esso posseduto per indagare, comprendere, analizzare, sicuramente non tutta la realtà, ma di certo una parte di essa.

Da qualche tempo, le informazioni soffrono di una “patologia” provocata dal virus della non accuratezza, infondatezza provocando l’infodemia la cui diffusione continua senza che sia stato reso l’obbligo di vaccinarsi per contrastarne il contagio, rendono difficile la conoscenza dei fatti oggettivi e confusa la comprensione dei fenomeni.

Ma se l'infodemia è la malattia, la conoscenza è la cura, che può avere i suoi effetti benefici allenando il pensiero all’approccio conoscitivo, al pensiero statistico, fondato sui preziosi dati “dati” ovvero disponibili che riflettono azioni, pensieri, domande per le quali cerchiamo una risposta. Il pensiero statistico, prima di tutto, è capacità interrogativa per osservare e studiare i fatti e gli accadimenti della vita sociale ed economica.

Frasca 63 4Raccogliere, registrare e archiviare dati è un atto intenzionale, è un atto politico! Essi esprimono potere. Decidere quali rilevare, significa fissare obiettivi, determinare scelte, decretare preferenze. Avere disponibilità di dati significa passare da un racconto basato sulla percezione ad uno basato sulla misura della realtà, sulla oggettività della conoscenza.

La Pubblica Amministrazione per proprio mandato istituzionale produce, raccoglie e aggiorna una enorme quantità di informazioni; essi, pubblicati e resi disponibili, rappresentano una garanzia di controllo sull’operato della Pubblica Amministrazione, consentendo di esercitare il diritto democratico di partecipazione. Sono patrimonio informativo pubblico e la loro divulgazione via internet e attraverso sistemi informativi automatici aumenta enormemente la visibilità e le possibilità di analisi per un concreto open government.

Quando viene citato l’open government, la mia memoria emotiva recupera termini come accoglienza, inclusione, trasparenza, supporto all'inserimento di ciascun individuo all'interno della società, indipendentemente dalla presenza di elementi che differenziano gli uni dagli altri e che possono apparire limitanti. “Open”, quindi, evoca capacità positiva e partecipativa di appartenenza allo Stato, anche, proprio attraverso la disponibilità dei dati. Addirittura, si parla di open data, la cui normativa di riferimento è il Codice dell'Amministrazione Digitale (CAD), testo unico che riunisce e organizza le norme riguardanti l'informatizzazione della Pubblica Amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese. Il CAD articola una serie di norme a cui gli enti pubblici devono attenersi, tra cui colloca la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico tra le finalità istituzionali di ogni amministrazione italiana.

E, invece?! Invece in molti ambiti c’è carenza di dati e addirittura mancanza, mancanza che genera vuoto che disturba, devia dalla definizione di “apertura”. Mancanza che esclude alcune categorie di soggetti che vengano così “invisibilizzati”, lasciando sommerse le disuguaglianze sulle condizioni di fragilità e vulnerabilità delle persone e tra uomini e donne, e, quindi, definendo il cosiddetto gender data gap che condiziona gran parte dell’informazione, dall’economia all’urbanistica, dal lavoro alla salute e alla intelligenza artificiale.

Il gap è vuoto che chiama alla responsabilità chi ha il dovere di colmarlo perché è riferito a qualcosa che esiste, che dovrebbe essere da qualche parte e non è nel suo posto atteso. Solo perché un certo tipo di dati non esiste non significa che manchi.

Il dato “non dato”, il dato mancato rivela politicamente più di ciò a cui viene prestata attenzione, svelando pregiudizi ed indifferenze sociali, non più ammissibile in contesti di open government. Interessante sarebbe capire se volontariamente o per superficiale banalità che non rende meno colpevole la “mancanza”. Il legittimo sospetto sorge sulla dolosità a non registrare, misurare, elaborare certi dati. C’è un manifesto inganno, allora, che “invisibilizza” intenzionalmente gruppi di persone; un esempio è quello di “neutralizzare” il genere, che qui viene inteso nella accezione di binarismo sessuale, maschio/femmina, ricordando, tuttavia, che il genere, invece, attiene ad una più complessa definizione che integra l’identità di genere attraverso la sintesi culturale.

Avere attenzione per gli aspetti di genere, sociali, umani, politici nella scienza dei dati significa adottare i principi etici per una narrazione quantitativa dei fenomeni che non oscurino le discriminazioni e le disuguaglianze. Questo nuovo approccio alla descrizione statistica è richiamato dal “femminismo dei dati”- “Data Feminis”-, di tipo intersezionale, che abbracciano la sociologia, la statistica , l’economia ecc..

Frasca 63 3Una nuova sfida per le discriminazioni di genere e per la costruzione di una “statistica antidiscriminatoria”, come mi piace denominarla.

Tra i compiti della statistica antidiscriminatoria, integrata con l’approccio femminista dei dati, ritengo debba esserci quella di denunciare l’assenza di dati importanti per la comprensione dei fenomeni discriminatori.

È il caso dei dati relativi alle tutele della parità e di contrasto alle discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro, in particolare, quelle contenute nel d. lgs. n. 198/2006 di competenza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

L’immediata conoscenza è preclusa. Non si hanno dati sugli illeciti amministrativi relativi a discriminazioni per accesso al lavoro e promozione, orientamento, formazione e aggiornamento, discriminazione in materia di retribuzione, mansioni, qualifica e carriera, in materia di prestazioni previdenziali, per omesso rapporto biennale sulla situazione del personale, mendace o incompleto rapporto biennale sulla situazione del personale, ecc..

Dal 2006, anno di pubblicazione del Codice di pari opportunità, non è dato conoscere in quanti e quali casi, l’Ispettorato del lavoro è intervenuto a tutela delle lavoratrici con riguardo a tali fattispecie di illeciti.

La portata di questa assenza è preoccupante. 18 anni di donne lavoratrici “invisibilizzate”, di mancato esercizio democratico della verifica sull’operato della Pubblica Amministrazione.

Il “buco nero” della invibilizzazione risucchia anche i dati sulle denunce ripartite per sesso. Conoscere il fenomeno delle denunce da parte delle lavoratrici e come esse si distribuiscono sul territorio, in quali settori accresce la comprensione della condizione lavorativa delle donne che fornirebbe indicazioni sulla definizione di azioni pubbliche mirate di intervento.

Nell’ultimo rapporto INL pubblicato per l’anno 2023 è reso noto che sono state accolte dagli uffici territoriali dell’Ispettorato del lavoro 31.956 richieste d’intervento; dato che viene pubblicato neutro!

Nello stesso rapporto scompare la sezione sulla “Dimensione di genere” dei dati di vigilanza, introdotta solo nel 2021 e che ha interessato gli anni dal 2019 al 2022 (se pur solo in termini percentuali!). Una breve apparizione, per essere “neutralizzata” nei dati della vigilanza del 2023.

Nei luoghi di lavoro si possono annidare forme dirette ed indirette di discriminazione di genere che è necessario far emergere per una corretta ed attesa applicazione del diritto antidiscriminatorio di cui si è dotato il nostro ordinamento giuridico.

È necessario che i dati di genere prodotti dall’Agenzia INL, bene pubblico, siano resi fruibili a tutti, sia in termini assoluti che percentuali per tipologie di violazioni normative e per distribuzione geografica e temporale.

I pochi disponibili, prima di essere stati risucchiati dal “buco nero” dell’invisibilizzazione nell’ultimo rapporto INL, fanno intravedere fenomeni discriminatori su cui è doveroso accendere un faro. Per esempio, nel rapporto riferito all’anno 2022, si legge “Il fenomeno della riqualificazione, rispetto alle altre classi di violazioni, ha interessato particolarmente le lavoratrici, fatta eccezione per il 2020; il valore maggiore lo si osserva nel 2021 (64%)”. La riqualificazione interviene a seguito dell’accesso ispettivo che ristabilisce la regolarità di un rapporto di lavoro “camuffato”. Su tutti i valori percentuali ripartiti per sesso solo il fenomeno della riqualificazione mostra prevalenza femminile.

Frasca 63 1

È “conoscenza immediata” del dato, che prima ancora di particolari elaborazioni, registra che il lavoro part-time o di altre forme atipiche, principalmente svolto dalle lavoratrici, è nella realtà dei fatti non genuino e che a seguito di intervento ispettivo è “riqualificato”. Fa pensare, fa riflettere! La riqualificazione ha effetti sul livello retributivo e sul pay gender gap. I dati raccontano che c’è una brace che arde sotto la cenere.

Nel Rapporto Annuale Istat 2024 – La situazione del Paese – si afferma che la quota di lavoratori con basse retribuzioni annuali permane ampia, prevalentemente in associazione con la ridotta intensità lavorativa e con la durata dei contratti: fenomeni, questi, che riguardano maggiormente le donne, i giovani e gli stranieri. Le donne hanno percepito più frequentemente degli uomini retribuzioni sotto la soglia, con maggiori difficoltà a uscire da questa condizione per effetto essenzialmente dalla diffusione di rapporti di lavoro part-time.

Sarebbe stato utile leggere anche i dati 2023 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sulle contestazioni effettuate con riguardo alle riqualificazioni ad integrazione di quanto rilevato dall’Istat sulle basse retribuzioni registrate per le donne.

Nel rapporto INL 2022, si legge che tra le norme violate sulla “tutela della genitorialità”, la mancata erogazione, totale o parziale, dell’indennità di maternità nel periodo di astensione obbligatoria a favore delle madri (54% dei casi) è quella più frequente. La percentuale cresce al 72%, considerando anche le ipotesi afferenti al periodo di astensione facoltativa. Purtroppo, non è disponibile il dato assoluto, ma solo percentuale, negando quindi un altro elemento importante di conoscenza.

La mancata corresponsione dell’indennità di maternità, parziale o totale, alle lavoratrici madri viene contestata dagli ispettori del lavoro ai sensi dell’art. 34 del d. lgs. 151/2001 in base al quale “l’'indennità è anticipata dal datore di lavoro ed è portata a conguaglio con gli apporti contributivi dovuti all'ente assicuratore” presidiato dalla sanzione amministrativa di € 31,00.

Ma la mancata corresponsione dell’indennità, tuttavia, può ritenersi discriminatoria ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. 198/2006, comma 2-bis, che prevede: “costituisce discriminazione, ogni trattamento … che in ragione … dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori…”.

Viene a connotarsi, pertanto, una discriminazione sul livello retributivo con la violazione ai sensi dell’art. 28, d.lgs. 198/2006, a cui corrisponde una sanzione amministrativa da 5.000 a 10.000 euro, in base all’art. 1, d.lgs. N. 8/2016.

Frasca 63 2Si è perpetrata una lesione del diritto di parità retributiva, per il quale si registra un gender data gap. Ma è solo gender data gap? O non applicazione della norma antidiscriminatoria sulla retribuzione? Ritornando alla capacità statistica di interrogarsi per trovare risposte, è di immediata evidenza la correlazione tra i dati mancati e la mancata applicazione della norma antidiscriminatoria.

E mentre il sistema di genere nutrito dal patriarcato tende a mantenere immutati le mancanze dei dati risucchiati dal buco nero dell’invisibilizzazione, l’evoluzione tecnologica dell’Intelligenza Artificiale avanza, mettendo in atto discriminazioni, esclusioni attraverso algoritmi per esempio per l’accesso al mercato del lavoro o per le condizioni contrattuali. Esistono sistemi di workforce analytics che servono per fornire ad imprese e organizzazioni informazioni sul comportamento tenuto dai dipendenti al di fuori dei luoghi e dei tempi di lavoro. In questo modo, e attraverso software di elaborazione dati, le imprese sono in grado di usare tali informazioni, raccolte senza il consenso dell’utente, per fare delle deduzioni relative alla salute, o per verificare, ad esempio, se una dipendente è incinta.

Come sarà possibile affrontare le nuovissime sfide delle discriminazioni dell’AI, se non conosciamo le vite lavorative delle donne nel sistema dell’”Intelligenza Umana”? Quando esse vengono discriminate perché non assunte in quanto non di bell’aspetto, perché incinte, perché madri …

Il primo errore nella valutazione delle cose siamo noi, diceva Bruno De Finetti, grande matematico italiano. Il gender data gap e algoritmi discriminatori sono espressioni evidenti di questa osservazione. Quadrato Rosso

[*] Responsabile statistica dell’A.P.S. CREIS Centro di Ricerca Europeo per l’Innovazione Sostenibile - www.creiseuropeanresearch.eu

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