Anno XII - n° 63

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Maggio/Giugno 2024

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Anno XII - n° 63

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Il lavoro nella gig-economy in un’ottica nazionale e comparata

Strumenti di tutela collettiva e prospettive evolutive di un fenomeno in continuo divenire


di Chiara Tonelli [*]

Chiara Tonelli 63

Il percorso di costruzione di relazioni industriali nel settore del food delivery offre un punto di osservazione privilegiato sul fenomeno della gig-economy, imponendo un ripensamento delle tradizionali categorie del diritto del lavoro e degli strumenti di contrattazione e conflitto collettivo. Lungi dal costituire una questione di natura esclusivamente nazionale, il mutamento in essere interessa trasversalmente l’ordinamento europeo, rendendo apprezzabile uno sforzo ricostruttivo della materia in chiave comparata. Dall’analisi delle soluzioni adottate in ordinamenti di diversa tradizione giuridica, quali quello italiano e tedesco, è possibile distillare un corollario comune a entrambe le realtà esaminate: la tecnologia digitale destruttura e frammenta il mondo del lavoro, disgregandone le fondamenta; al contempo, offre ai lavoratori nuove prospettive di tutela collettiva, recuperando alcuni tratti caratteristici del sindacalismo delle origini.


L’ordinamento italiano: il punto sulla contrattazione collettiva


La riflessione sull’economia dei lavoretti principia dal dibattito domestico sulla qualificazione dei suoi prestatori di lavoro, stante la volontà delle piattaforme di collocare i gig-workers nell’area dell’autonomia. Presentandosi quale mero intermediario tra domanda e offerta, infatti, la piattaforma imputa al lavoratore la libertà di scegliere “se” e “quando” lavorare, senza alcuna messa a disposizione delle sue energie lavorative. In realtà, le modalità di estrinsecazione del rapporto di lavoro rivelano che la debolezza contrattuale dei gig-workers costringe questi ultimi a offrire la loro disponibilità sul mercato senza poter rifiutare l’incarico, pena il peggioramento del proprio ranking reputazionale. Inoltre, la piattaforma non mantiene una posizione neutrale tra committente e prestatore di lavoro, bensì si ingerisce nella dimensione esecutiva dell’opus, privando il lavoratore di qualsivoglia autonomia organizzativa.

Tonelli 63 3In definitiva, la declamata libertà di scelta di “an” e “quando” del lavoro si rivela fallace, o quantomeno non indefettibile. Di questa conclusione si trova duplice conferma nella produzione normativa e nel coevo dibattito giurisprudenziale. In primo luogo, la giurisprudenza di merito supplisce all’originaria incertezza normativa, qualificando i rider di Foodora come lavoratori eterorganizzati (Corte d’App. sez. Lav. Torino n. 26/2019, confermata da Cass. sez. Lav. n. 16630/2020). In secondo luogo, il Legislatore emana il decreto “rider” D.L. 101/2019 (conv. in L. 128/2019), muovendosi lungo un duplice crinale: da un lato, modifica in senso estensivo la nozione di eterorganizzazione; dall’altro, detta una disciplina residuale al Capo V-bis, riservata ai “lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all'articolo 47, co. 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali”.

Quanto al primo profilo, la nuova formulazione dell’art. 2.1 D.lgs. 81/2015 estende la disciplina protettiva del lavoro subordinato alle collaborazioni continuative solo “prevalentemente” personali, superando la precedente formulazione che richiedeva l’“esclusiva” personalità. Inoltre, la nuova nozione di eterorganizzazione prescinde dal fatto che il coordinamento del committente si esplichi “anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”, rendendosi compatibile col lavoro prestato mediante piattaforme digitali. Rimane ferma, in ogni caso, la possibilità di derogare allo statuto protettivo del lavoro subordinato mediante la stipula di contratti collettivi nazionali di lavoro da parte dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.

Quanto alla disciplina del Capo V-bis, la ratio retrostante risiede nella volontà di definire un apparato normativo valevole per le prestazioni autonome caratterizzate da occasionalità, non sussumibili nella nozione di eterorganizzazione. Tra le previsioni di maggior rilevanza, si segnala la possibilità di definizione del compenso a mezzo di contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Ai sensi dell’art. 47-quater co.2 D.lgs. 81/2015, i rider autonomi non possono essere retribuiti a cottimo, in caso di mancanza della contrattazione collettiva.

In virtù di queste premesse, il contratto collettivo stipulato in data 15 settembre 2020 da parte di Assodelivery e UGL rider risulta problematico per un duplice ordine di questioni: da un lato, è revocata in dubbio la maggior rappresentatività di UGL rider, additato come “sindacato di comodo” da parte delle sigle confederali. Del resto, questo sindacato non è mai comparso in alcuna delle vertenze metropolitane del triennio 2017-2019, né ha mai preso parte ai tavoli ministeriali. In secondo luogo, il meccanismo retributivo elaborato all’ art. 10 del CCNL rider maschera, nella sostanza, una forma di “cottimo a tempo”. Invero, la base di calcolo della retribuzione oraria, fissata a 10 euro lordi, riguarda i soli frammenti temporali di “lavoro effettivo”, non già gli intervalli di attesa tra una consegna e l’altra, in cui il lavoratore mantiene la sua “disponibilità” al lavoro. In definitiva, la retribuzione remunera soltanto il segmento in cui il rider realizza il singolo opus, senza considerare che l’an della stessa prestazione dipende unicamente dalla effettiva presenza di ordinativi di consegna.

Tonelli 63 BrochureNella stipula del contratto collettivo in esame, occorre notare che tra i “grandi assenti” figurano le Union metropolitane, nate nel contesto urbano nei primi anni di diffusione dell’economia su piattaforma. Queste ultime hanno costituito un imprescindibile espediente di aggregazione collettiva dei fattorini del food delivery, apprestando una prima rete di collegamento tra prestatori di lavoro, cittadinanza e istituzioni locali. Dal circolo virtuoso così innescato sono nate alcune testimonianze di sindacalismo informale, culminato nella stipula della Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano (Carta di Bologna), primo accordo territoriale europeo sulla gig economy. Stipulato nel 2018 tra il collettivo autonomo Riders Union, il Sindaco della città, l’assessore al Lavoro, i segretari di CGIL, CISL, UIL e i vertici delle società Sgnam e Mymenu, l’accordo in esame costituisce espressione compiuta del cosiddetto “sindacalismo dei movimenti sociali”. Con questa locuzione si intende la capacità del soggetto sindacale di “fare rete” con altre realtà territoriali, coniugando il bisogno di aggregazione dei lavoratori fuori dai luoghi di lavoro con la necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica nelle mobilitazioni per la giustizia sociale. Tra le molteplici iniziative avviate dalle Union metropolitane, si segnala il sostegno offerto alle sigle confederali nella contestazione avverso il CCNL rider del 2020, rispetto alla scarsa rappresentatività del sindacato firmatario.

Inoltre, un apporto significativo è stato registrato nella trattativa che ha condotto alla stipula del contratto di secondo livello tra i sindacati di categoria Filt, Fit, Uil Trasporti e Takeaway.com, società italiana operante per la piattaforma Just Eat. Quest’ultima, nel 2021, si è sganciata dal Ccnl di Assodelivery, applicando ai propri rider un accordo similare a quello del settore della logistica. La peculiarità di simile contratto risiede nel fatto che esso individua nel part-time, sia orizzontale, sia verticale, la forma comune di lavoro in azienda, articolando la disponibilità dei rider in regimi orari di 10, 20 o 30 ore. Sebbene presenti il pregio di far convergere circa 3 mila ciclofattorini verso la sfera della subordinazione, l’accordo in esame attira le critiche di chi ravvisa nella centralità assegnata al part-time una forma di “istituzionalizzazione del lavoretto”. In ogni caso, occorre sottolineare che il sostegno offerto dalle Union metropolitane alle sigle confederali non si è tradotto nella firma dell’accordo da parte dei collettivi dei ciclofattorini. Rimane, dunque, ancora aperta la questione circa la natura di tali realtà cittadine, collocate in una posizione mediana tra manifestazioni di sindacalismo informale e nuove forme associative, rilevanti ai sensi del TU 2014 sulla rappresentanza.


Le soluzioni di tutela collettiva sperimentate nell’ordinamento tedesco


Per approfondire la comprensione del complesso mondo della gig-economy, un interessante spunto di riflessione può trarsi volgendo lo sguardo oltralpe. In particolare, una realtà ricca di suggestioni è quella dell’ordinamento tedesco, ove la diffusione dell’economia su piattaforma ha consentito ai sindacati di sfruttare a loro vantaggio le potenzialità della tecnologia digitale.

Al riguardo, la lungimiranza delle sigle confederali IG Metall e Ver.di ha permesso la graduale apertura del mondo sindacale a lavoratori autonomi e imprenditori individuali, offrendo anche ai crowdworker un punto di riferimento rappresentativo. Inoltre, dalla padronanza degli strumenti digitali è stato concepito un applicativo virtuale noto come Faircrowdwork, che funge da contro-piattaforma a disposizione dei lavoratori per recensire i loro committenti.

Tonelli 63 2Oltre alle iniziative sindacali che trovano nella realtà virtuale la loro sede d’elezione, si segnala il ricorso ai tradizionali strumenti del repertorio sindacale per rispondere all’esigenza rappresentativa dei lavoratori su piattaforma. Al riguardo, il risultato più significativo nel settore del food delivery consiste nella costituzione dei consigli di fabbrica (Betriebsrat) presso i principali municipi tedeschi (nel febbraio 2024 se ne contano 18, oltre a un Gesamtbetriebsrat, ovverosia un consiglio di fabbrica unitario). Espressione del diritto di “cogestione” (Mitbestimmungsrecht), il consiglio di fabbrica rappresenta il personale dipendente a livello aziendale, ove fa valere le istanze di tutela provenienti dal basso. In particolare, i membri del Betriebsrat possono essere eletti da e tra il personale dipendente di un’impresa (§ 1 Abs. 1 BetrVG).

Nel mondo della gig-economy, l’affermazione dei consigli di fabbrica costituisce l’approdo di una tortuosa vicenda di rivendicazione che mobilita opinione pubblica e rider. In origine, il tentativo di insediamento di consigli di fabbrica cittadini viene osteggiato dalle principali piattaforme di food delivery, che lasciano scadere i contratti subordinati a termine per instaurare solo collaborazioni con lavoratori autonomi. A questo punto, i fattorini di Foodora e Deliveroo organizzano una serie di flash mob a Colonia e Berlino, teatro delle prime rivendicazioni sindacali dei rider tra il 2018 e il 2019. Grazie a un ampio coinvolgimento dell’opinione pubblica a mezzo della pagina Facebook “Liefern am Limit” (Consegnare ai limiti), le movimentazioni dei ciclofattorini sortiscono il risultato sperato, avviando l’insediamento dei consigli di fabbrica nei principali municipi tedeschi.


Uno sguardo all’Europa


Rompendo gli argini del territorio nazionale, le istanze di tutela dei lavoratori della gig-economy sono giunte a Bruxelles, dove il Parlamento Europeo ha dato il via libero definitivo per la direttiva che aumenta le loro garanzie di tutela. La nuova normativa, che dovrà essere oggetto di recepimento da parte degli Stati membri, obbliga a introdurre una presunzione di subordinazione in presenza di indicatori univoci dell’esistenza di un rapporto di lavoro, quale controllo e direzione. Questa presunzione legale determina l’inversione dell’onere della prova a carico della piattaforma, che dovrà dimostrare l’assenza di una relazione di subordinazione per estromettere le tutele del lavoro dipendente. Simile risultato conferma che la rapida diffusione della gig-economy sollecita un’attivazione collettiva da parte degli Stati dell’Ue, apprestando una base normativa uniforme per regolare un fenomeno così articolato. Del resto, le stime della Commissione europea del 2021 rilevano l’esistenza di più di 500 piattaforme di lavoro digitali attive, ove operano circa 28 milioni di persone, destinate a diventare 43 milioni entro il 2025. Mentre la maggior parte dei lavoratori delle piattaforme digitali è formalmente autonoma, i dati raccolti evidenziano che circa 5,5 milioni di persone potrebbero essere erroneamente classificate come tali. Quadrato Rosso

[*] Laurea Magistrale in Giurisprudenza; vincitrice del “Premio Massimo D’Antona”, Ministero del Lavoro, Edizione 2021

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