Iniziando l’indagine esplorativa dall’intelligenza artificiale [1], termine tanto evocato, anzi quasi abusato, più che praticato, tuttavia, negli ultimi due decenni la “cd. AI”[2] ha conosciuto una rinnovata stagione espansiva. In termini generali e senza approfondire il significato epistemologico del termine, essa nasce dal presupposto della volontà di descrivere accuratamente ogni aspetto dell’intelligenza umana in modo da poterlo simulare e replicare. Si deve a Searle J.R., 1980, “Minds, brains and programs”, in Behavioral and Brain Sciences, la distinzione tra AI “forte”, relativa a capacità cognitive e di pensiero autonomo più simili all’intelligenza umana come nel caso dell’AI neurale ispirata alla struttura del cervello umano e AI “debole”, dotata di elaborate e rafforzate capacità di calcolo; si pensi alle molte applicazioni pratiche come la traduzione linguistica, il riconoscimento vocale, etc.
Allo stato attuale, le “AI” con le quali quotidianamente ci interfacciamo e che costituiscono di fatto l’ambiente digitale nel quale ci muoviamo, sono sempre più in grado di interagire con noi, non solo da un punto di vista informativo ma anche in una prospettiva esistenziale ed emotiva. La combinazione “intelligenza artificiale” sta per scienza che studia i fenomeni teorici, le metodologie e le tecniche che consentono di progettare sistemi hardware e software atti a fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che appaiono di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana. Una definizione relativamente standard è che l’AI è lo studio e la progettazione di soggetti intelligenti, mentre un “soggetto intelligente” è un sistema in grado di osservare l’ambiente circostante e agire per raggiungere un obiettivo.
Possiamo pensare all’intelligenza artificiale come all’apprendimento automatico. Si deve al contributo di Alan Turing [3], considerato il padre dell’informatica, il fondamento di questa scienza. L’intelligenza artificiale viene definita anche nell’art. 3 della Proposta di Regolamento UE sull’intelligenza artificiale (cd. “Artificial Intelligence Act”)[4] come «un software sviluppato con una o più delle tecniche e degli approcci elencati nell’allegato I,[5] che può, per una determinata serie di obiettivi definiti dall’uomo, generare output quali contenuti, previsioni, raccomandazioni o decisioni che influenzano gli ambienti con cui interagiscono».
Tale Proposta stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione. Approvata dal Parlamento Europeo il 14 giugno 2023 al fine di tenere fede all’impegno politico della Presidente Von Der Leyen e attuare un duplice obiettivo: quello di promuovere l’adozione dell’AI e di affrontare i rischi associati a determinati utilizzi di tale tecnologia, creando un cd. ecosistema di fiducia proponendo un quadro giuridico per un’AI affidabile. Non è un caso che i più recenti testi normativi dell’Unione europea che concernono l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’innovazione (Intelligenza Artificiale, Big Data e Digitalizzazione) e che possono avere ripercussioni sui dati sensibili e i diritti fondamentali dei cittadini, invochino l’elemento “fiducia” a sostegno dell’innovazione[6]. Dopo tutto, l’intelligenza artificiale è stata creata proprio per potenziare le funzionalità e le capacità dell’essere umano, anche al di là dei modelli tradizionali di azione e ragionamento.
È stato detto che «i dati rappresentano il punto iniziale del processo che conduce alla decisione robotica» [7], invero, se negli ultimi decenni l’intelligenza artificiale ha avuto un’espansione[8] senza precedenti, dopo una stagione di stagnazione dello sviluppo intelligenza artificiale il cd. “inverno digitale” dovuta alla sfiducia in tale tecnologia, ciò è merito non solo dell’aumentata capacità di calcolo delle macchine ma soprattutto per la produzione di una gran mole di dati, da parte degli utenti di Internet, più o meno inconsapevolmente.
Ciò ha reso possibile l’assunzione dei Big data [9] da parte delle piattaforme digitali nonché “nutrire” gli algoritmi che elaborano tali dati secondo sequenze di codice occulte. Ed ecco il secondo elemento di contesto del metaverso: “i nessi della produzione dei dati”. Nella società occidentale, infatti, la produzione dei dati è percepita dai cittadini-utenti da un punto di vista soggettivo-psicologico, come un fattore di libertà [10]; essi pur di avere in tempi record la possibilità di ricerche on line, ovvero di indicazioni stradali, o servizi simili, accettano il monitoraggio, la profilazione.
Il metaverso ha riconcettualizzato il modo in cui si accede, visualizzano e gestiscono i dati, aiutando così a migliorare il processo decisionale[11]. Ebbene, quello che appare offerto ai cittadini-utenti come un servizio squisitamente gratuito, in effetti sconta un prezzo rischioso, quello di minare alle fondamenta il diritto fondamentale del nostro ordinamento e in genere, delle democrazie occidentali, quello alla cd. privacy con riguardo al trattamento dei dati personali[12], cd. dati sensibili[13].
Alla lente attenta dell’osservatore, non può sfuggire che i servizi offerti dal metaverso, come gli altri servizi, sono il frutto di precise “visioni” e di “concrete strategie” che influenzano necessariamente sia la politica sia il diritto. Invero, la diffusione veloce e disordinata delle tecnologie dell’informazione ha dato forma ad un sistema di potere nel quale non solo le grandi multinazionali ma anche, per usare un’espressione di Alan Cooper[14], gli “inmates” esercitano una signoria che può competere con quella degli Stati. D’altro canto “i governati” sperimentano tramite le piattaforme un senso di libertà, la creazione di un mondo “altro”, ove la fantasia umana può proiettare le aspirazioni nascoste, ma anche esternare le paure, conduce questi a rifugiarsi volentieri nella solitudine mediata degli schermi di smartphone, sicuri di essere liberi oggi nel cyberspazio e domani nel metaverso!
Terzo ed ultimo contesto è rappresentato dalla digitalizzazione, in particolare quella della PA, avviata sin dalle Leggi Bassanini[15], ha avuto un percorso lento e difficile anche a causa delle resistenze verso i processi di digitalizzazione e nella diffidenza culturale nei confronti del documento informatico in relazione alla capacità di costituire prova nei procedimenti giudiziari. Del resto, secondo la visione dell’epoca i ritardi accumulati nella digitalizzazione dell’amministrazione pubblica rappresentano la conseguenza dell’indolenza del dipendente pubblico, bollato dalla pubblicistica, come «un fannullone».
Un processo di accelerazione, invece, si è registrato con l’entrata in vigore nel 2006 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) [16] fino ad avere nuova linfa con il decreto semplificazioni, risalente all’epoca pandemica, che ha modificato il CAD in più parti, e poi ad irrobustirsi anche tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Su questo punto, si osservi che l’Italia ha presentato il 30 aprile 2023 alla Commissione Europea il PNRR (per fronteggiare la crisi pandemica) destinando circa il 27% delle risorse[17] relative ai finanziamenti UE al nostro Paese, alla trasformazione digitale. Infatti, l’Italia aveva accumulato considerevoli ritardi nell’adozione delle tecnologie digitali tanto nel sistema produttivo quanto nei servizi pubblici che si sommano alle limitate competenze digitali dei cittadini; non a caso molte risorse sono destinate a colmare il cd. divario digitale. Detto anche “Digital divide”, in estrema sintesi fa riferimento al divario presente tra coloro che hanno accesso alle tecnologie e coloro che ne sono esclusi interamente o parzialmente per ragioni differenti: condizioni economiche, istruzione, infrastrutture, differenze di sesso ed età, provenienza geografica e appartenenza a gruppi etnici differenti.
Da un punto di vista delle fonti del diritto dell’informatica, il CAD rappresenta il cuore della normativa primaria nazionale in materia di digitalizzazione, viene emanato con il d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82 ed entra in vigore il 1° gennaio 2006; alla versione attuale del CAD si è giunti dopo ben trentotto interventi normativi correttivi, ultimo dei quali è stato il d.l. 2023 n.13 (cd. decreto PNRR) conv. in L. n. 41/2023. Il Regolamento eIDAS (rectius il Regolamento Europeo e del Consiglio) del 23 luglio 2014, invece, è al centro della normativa sovranazionale in materia e le cui norme sono collocate, nella gerarchia delle fonti del diritto dell’informatica, al vertice; esse, infatti, prevalgono sulle norme nazionali incompatibili con le clausole sostanziali in esso contenute.
A partire dal 1° luglio 2016, gli effetti giuridici di tale regolamento sono simultaneamente, automaticamente e uniformemente vincolanti in tutte le legislazioni nazionali. A partire dal 1° luglio 2016, gli effetti giuridici di tale regolamento sono simultaneamente, automaticamente e uniformemente vincolanti in tutte le legislazioni nazionali. È affidato alla neonata Agenzia per l’Italia Digitale (cd. AgiD)[18] già dalla legge istitutiva risalente al 2012[19], il potere di emanare le Linee Guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo per l’attuazione del CAD[20]; l’AgiD ha provveduto ad emanare un nutrito gruppo di Linee Guida[21], che hanno tra l’altro, carattere vincolante e assumono valenza erga omnes [22]; il loro inquadramento nella gerarchia delle fonti è appunto di “atto regolamentare”, di natura tecnica. La scelta del legislatore di affidare a regole tecniche l’attuazione del Codice dell’Amministrazione digitale risiede nella consapevolezza che le stesse rappresentano uno strumento normativo più duttile al rapido mutamento delle tecnologie e comunque idoneo a regolare profili più tecnici rispetto all’impianto normativo primario.
Da ultimo, è da osservare che relativamente al DESI, (Indice di digitalizzazione dell’economia e della società)[23], l’Italia, rispetto ai 4 settori di riferimento e cioè: capitale umano e competenze digitali, infrastrutture e connettività; tecnologie digitali per il settore produttivo, servizi pubblici digitali, occupa il ventesimo posto[24] con punteggio pari a 45,5 rispetto al venticinquesimo posto del 2020. Ciò significa che, nonostante gli sforzi, l’Italia continua a collocarsi al di sotto della media europea, pari a 50,7, risultando avanti soltanto a Cipro, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Grecia, Bulgaria e Romania. La situazione migliora anche se di poco, nel 2022, salendo al diciottesimo posto con punteggio pari al 49,3% rispetto ad una media UE del 52,3.
In conclusione, le prospettive de iure condendo sono incoraggianti se si pensa che ogni settore abilitante del metaverso è ancora da esplorare e ha delle potenzialità che le grandi potenze internazionali cd. G.A.F.A.M.[25] sono pronti a contendersi. Certo la realtà virtuale, e con esso il mondo parallelo che si affianca a quello reale, permette a ciascun individuo di essere se stesso, libero dalle regole, dagli schemi, dagli ostacoli, anche di carattere etico, della vita reale ma è proprio per questo che necessita al più presto di una regolamentazione anche a livello legislativo.
[1] Cfr. anche Soffientini M., 2023, “Intelligenza artificiale e forza lavoro”, in Diritto & Pratica del Lavoro nn. 47-48.
[2] L’acronimo sta per Artificial Intelligence nella lingua inglese. La necessità di creare una definizione generalmente accettata di “Artificial Intelligence” e di robot è espressa nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017, [2015/2103 (INL)], seguita dalla Risoluzione del medesimo Parlamento del 12 febbraio 2019 sulla politica industriale europea in materia di robotica ed intelligenza artificiale [2018/2088 (INI)] nonché da ultimo la Risoluzione del 3 maggio 2022 [2020/2266 (INI)] e dalla recente Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di armonizzazione delle regole sull’intelligenza artificiale (legge sull’intelligenza artificiale) dell’aprile 2021, approvata dal Parlamento Europeo il 14 giugno 2023. L’art. 59 della stessa Proposta di Regolamento Europeo prevede che: ciascuno Stato membro istituisca o designi autorità nazionali competenti per garantire l’applicazione dell’Artificial intelligence ACT.
[3] Cfr. Turing A., 1950, “Computing machinery and Intelligence”, in Mind, new Series, 59. È il matematico inglese considerato l’inventore dell’informatica, famoso, fra l’altro, per il suo impegno nella decifrazione dei messaggi durante la II guerra mondiale, ritenuto decisivo per la conclusione del conflitto. Per riprendere una citazione di Turing A. “Possiamo sperare che le macchine saranno alla fine in grado di competere con gli uomini in tutti i campi puramente intellettuali. Ma quali sono i migliori per cominciare? […] Ignoro quale sia la risposta esatta […]”.
[4] In https://eur-lex.europa.eu.
[5] L’allegato I contempla i diversi modelli di apprendimento automatico già menzionati: apprendimento supervisionato, apprendimento non supervisionato e apprendimento per rinforzo. V. per approfondimenti sulle diverse tecniche di apprendimento, Sofferini M., 2023, op. cit..
[6] In tal senso il Libro Bianco sull’IA del 2020, definito un approccio europeo all’eccellenza e alla fiducia. V. altresì il Data Governance Act del 2022, quest’ultimo in riferimento alla circolazione dei dati per fini altruistici (rectius cioè di interesse generale) all’art. 18 delinea le condizioni necessarie per aumentare la fiducia degli interessati nel mettere a disposizione i loro dati.
[7] Il pensiero è di Carcaterra A., 2019, Macchine autonome e decisione robotica, in Carleo A., Decisione robotica, Bologna, 38.
[8] Dopo una stagione di stagnazione dello sviluppo intelligenza artificiale il cd. “inverno digitale” dovuta alla sfiducia in tale tecnologia.
[9] Per talune implicazioni dei Big data (rectius della disponibilità dei dati), si V. Schonberger-Cukier, 2013, “Big Data: A Revolution that Will Transform How We Live”, Work and Think, Boston.
[10] Cfr. Caravita B., 2020, Principi costituzionali e intelligenza artificiale, in U. Ruffolo (a cura di), Intelligenza artificiale, Il diritto, i diritti, l’etica, Milano, 453-454.
[11] Cfr. Al-Sartawi, A., 2020, “Information technology governance and cybersecurity the board level” International Journal of Critical Infrastructures, Vol.16 No.2, pp. 150-161, doi: 10.1504/IJCIS.2020.107265.IJCIS.2020.107265.
[12] La locuzione “dati personali” è in questa sede utilizzata nell’accezione individuata nell’art. 4 del Regolamento (UE) 2016/79, in quanto attualmente è l’unica contemplata dall’ordinamento giuridico europeo.
[13] La protezione dei dati personali, quale diritto fondamentale riconosciuto, in primis a livello europeo, dall’art. 8 della Carta dei Diritti Fondamentali che recita: “1.Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. 2. tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica. 3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”.
[14] Cooper A., 2004, The Inmates are Running the Asylum, Sams Editore.
[15] Il legislatore italiano, al fine di dare attuazione all’art.15, co. 2, L. 59/1997, (cd. L. Bassanini) ai sensi del quale: «gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge», ha fornito una prima definizione di firma digitale con il D.P.R. n. 613/1997, ben prima della Direttiva Europea 1999/93/CE sulle firme elettroniche.
[16] Ricordiamo che prima del Codice dell’Amministrazione Digitale, l’Italia, prima fra i paesi europei, con la cd. Legge Stanca la n. 4/2004 (dal nome del ministro che la introduce), tutela i cittadini che abbiano disabilità nell’uso dei servizi pubblici digitali; l’anno successivo nasce il CAD esteso nel 2010 con il d.lgs. n. 235, anche alle società partecipate, il decreto, costituisce uno dei correttivi salienti al CAD.
[17] Stimate attualmente in un importo superiore ai 200 miliardi di euro.
[18] L’AgiD svolge i compiti prima affidati alla Digit PA e alla Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione tecnologica che deve attuare gli obiettivi dell’Agenda Digitale italiana. È sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o del ministro da lui delegato.
[19] Il riferimento è al d.l. n. 83/2012 conv. in L. n. 134/2012.
[20] Ai sensi dell’art. 71, co.1, del CAD, rubricato: “regole tecniche”: «l’AgiD, previa consultazione pubblica da svolgersi entro il termine di trenta giorni, sentite le amministrazioni competenti e il Garante per la protezione dei dati personali nelle materie di competenza, nonché acquisito il parere della Conferenza unificata, adotta Linee Guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo per l’attuazione del presente Codice.»
[21] Ricordiamo quelle in materia di accessibilità (18 settembre 2020), quelle sul documento informatico (18 settembre 2020), quelle sulla sicurezza informatica (7 maggio 2020), quelle per la cd. «sottoscrizione Spid» dei documenti (23 aprile 2020), quelle sulla generazione dei certificati elettronici qualificati, firme e sigilli elettronici qualificati e validazioni temporali elettroniche qualificate (20 giugno 2019) ed infine, quelle sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici (queste ultime entrate in vigore il 7 giugno 2021), sono certamente quelle di maggiore e più diffuso interesse. Si noti emanate tutte in era pandemica.
[22] In tal senso, V. CdS parere n. 2122/2017 del 10/10/2017, reso sul correttivo del CAD.
[23] Introdotto dalla Commissione Europea nel 2014 al fine di monitorare i progressi compiuti dagli Stati membri nel settore digitale.
[24] Tuttavia, rispetto ad un solo settore quello dell’integrazione delle tecnologie digitali, occupa il 10° posto.
[25] Cioè i colossi di Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft.
[*] Dottoranda di ricerca presso Università Mercatorum di Roma. Cultore della materia in Economia Aziendale presso Università Parthenope di Napoli. Ispettore del Lavoro presso ITL di Napoli. Le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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